Il libro che non c’è ha scalato le classifiche. Lo ha fatto grazie anche a un’importante campagna di stampa che le voci dicono finanziata interamente dall’autore, una manna per l’editore, alla qualità del libro, al passaparola, ma non alle recensioni sui giornali. Stranamente Le ossa dei Caprotti. Una storia italiana (Feltrinelli) scritto da Giuseppe Caprotti figlio di Bernardo, ex patron dell’Esselunga, non ha rimbalzato da una pagina della cultura all’altra, anzi a volte è finito nell’economia. E se volete un esempio dell’imbarazzo che c’è attorno a questo libro basta ascoltare Lucia Annunziata e Davide Bellasio che intervistano l’autore su Radio 24 (dal minuto 33). Parlando di un libro che ha il suo core nelle vicende di famiglia, Bellasio dice “Noi vogliamo stare fuori dalle polemiche che ci sono state. Lei è stato per vent’anni all’interno di Esselunga. Nel libro racconta il suo ruolo, volendo stare fuori dalle polemiche…”.
Ma c’è dell’altro. In una surreale intervista Marina Caprotti, figlia di Bernardo e sorellastra di Giuseppe, racconta di avere deciso di ripubblicare Falce e carrello, il libro scritto dal padre Bernardo dove raccontava della sua lotta contro le Coop. L’incredibile scoop è di Stefano Lorenzetto “senza il quale mai avrei fatto – si fa per dire – lo scrittore” scrisse il fondatore di Esselunga nei ringraziamenti del suo libro che all’epoca venne distribuito e inviato a casa gratuitamente a giornalisti e altre figure professionali. Io stesso ho ricevuto almeno 3 o 4 copie della preziosa opera. L’intervista a Marina “in memoria di un uomo che non può più difendersi” spiega che “il ritorno di Falce e carrello è quasi un atto dovuto dopo che un altro libro ha cercato di demolire la figura del fondatore della catena di supermercati. A firmarlo è stato l’unico figlio maschio, nato dal primo matrimonio”. Vietato citare il titolo del libro e il nome dell’autore.
Questo è il contorno che dice molto di un libro scomodo, che disturba e mette in crisi l’immagine di Bernardo Caprotti, conservatore ma illuminato, uomo che il sabato andava a visitare i suoi negozi ma grande innovatore. Non sta proprio in questi termini, almeno secondo il racconto del figlio che in Esselunga ci ha lavorato per una ventina d’anni, ha contribuito a portarla al successo con la sorella Violetta, come rivendica nel libro, ed è stato poi cacciato dall’umorale genitore.
Perché Bernardo Caprotti, e questo lo sapevamo, aveva un brutto carattere. Litiga con i fratelli, si fa dare in prestito dalla madre 300 milioni di lire che non restituirà e, addirittura, se la prende con le auto parcheggiate sotto casa. “Casa nostra, in via del Lauro, è vicinissima al Teatro alla Scala e nelle sere d’opera in strada il parcheggio è disordinato, con tante auto fuori posto. Bernardo fa di tutto, con il Comune, per ottenere che vengano collocati dei panettoni di cemento che impediscano la sosta davanti al nostro ingresso. Non c’è verso: l’autorizzazione gli verrà negata per anni. Papà allora passa alla giustizia fai-da-te: quando qualcuno parcheggia davanti al portone, va giù di persona e gli taglia le gomme” scrive Giuseppe Caprotti.
Aspetti coloriti di una storia che l’autore di Le ossa dei Caprotti prende da lontano raccontando le vicende di famiglia pre-Esselunga e rivelando come l’introduzione della grande distribuzione in Italia fosse ben vista dagli americani che anche in questo modo, spargendo negozi pieni di merce a prezzi allettanti, volevano combattere il comunismo. Sempre meglio che mettere bombe nelle banche.
Senza spoilerare altri succosi contenuti del libro, con l’avvio dell’avventura nella grande distribuzione la storia prende quota. Giuseppe va all’estero per studiare cosa fanno gli americani, negli anni prende corpo la lotta, che è anche politica con la destra contro la sinistra, con le Coop. Giuseppe torna in azienda, ha voglia di fare e lo fa. Costruisce la sua squadra di manager, introduce i superstore e li riempie aprendo al non food per arrivare poi all’e-commerce. A Bernardo però certe cose non interessano, come il non food o quella roba del commercio elettronico. Lui è un architetto mancato e gli piace parlare di negozi, mentre si adopera per contrastare l’operato dei figli in azienda. Il suo cerchio magico lo aiuta, il rapporto con Giuseppe ha qualche alto, raro, e moltissimi bassi fino alla deflagrazione finale con lo showdown del licenziamento e le quattro Mercedes nere che portano fuori dall’azienda Giuseppe e qualche dirigente del suo gruppo.
Una sorta di Dallas (per chi ha una certa età) o Succession per stare a serie Tv più attuali, dove compaiono anche una denuncia per diffamazione del padre verso il figlio, altre vicende giudiziarie, un’ipotesi diagnostica tutt’altro che benevola su Bernardo e il figlio che passa momenti terribili che mettono a rischio la sicurezza sua e della sua famiglia. Sembra impossibile che Esselunga sia riuscita a svilupparsi negli anni e a raggiungere l’eccellenza nel suo settore con un dietro le quinte di questo tipo.
Il libro, sicuramente di parte, è denso di fatti. Racconta di un’azienda tormentata dove il terrore è pratica quotidiana. Scrive Giuseppe: “Una volta ci viene a trovare in azienda Alfredo Ambrosetti, uno dei più noti consulenti d’impresa in Italia. Mentre siamo in mensa con altri colleghi, chiede a Bernardo che cosa spinga i dipendenti a lavorare. Lui risponde: la paura”. E teorie e manuali di gestione del personale se ne vanno in fumo. A Bernardo Caprotti non interessa il benessere di chi lavora con lui. Anche se è un familiare. Il nemico è ovunque.
Per fortuna non si è mai dato alla politica. Su questo avremmo già dato.
Il libro. Giuseppe Caprotti Le ossa dei Caprotti. Una storia italiana. Feltrinelli