Niente fu più deleterio per l’architettura delle sceneggiature dell’avvento dei cellulari, costrette da quel dì a scornarsi con la reperibilità, laddove prima bastava smarrirsi su una montagna o nella pazza folla, avventurarsi per cantine o mettere in atto diabolici piani per consumare allegre nottate fedifraghe per portare a casa esili trame blockbuster. Sarà quello “il mondo dietro” dove non era necessario inventarsi smarrimenti patetici, mancanze improvvise di campo, cadute accidentali, disattese ricariche per portare a buon fine crimini e misfatti laddove un semplice trillo, neanche una videochiamata ormai alla portata tecnologica di una badante per anziani peraltro sgamati al punto di gestire chat e social con disinvoltura, manderebbe a ramengo tre quarti della cinematografia cosiddetta moderna? […] L’escamotage più banale, un complesso blackout definitivo pure a livello satellitare perché proprio non si possa questionare sulla sospensione dell’imbecillità, diviene da foglia di fico per sceneggiatori in sciopero verso la loro stessa materia grigia il nucleo post-atomico del plot leggero anzi leggerissimo.
Metti una famigliola bianca borghese di Brooklyn a caccia del week-end rilassante tra i boschi della vicina Long Island, dove seppellire le consuete stucchevoli problematiche disfunzionali che aleggiano nei soliti rapporti di coppia allargati alla prole, nella magione countryside versione extra luxury della residenza padronale in una piantagione (ma eco sostenibile perché sia evidente che si tratta di un punto di vista critico ai trend che diventano midcult autoaffermandosi come highbrow) di una corrispettiva famiglia black emancipatasi dalla schiavitù immobiliare con madre momentaneamente assente ma con padre aitante e più introdotto nell’élite del corrispettivo professore con moglie sia pur vittima di chicchissimo burnout al top nel problem solving relazionale di un’azienda pubblicitaria, meno nell’aristotelica gestione domestica, e conducili per mano a dimostrare l’assunto che è chiaro a tutti, almeno a coloro che hanno nozioni di base di come funziona il mondo, quello al di qua almeno della complessità quantistica: se si interrompono le trasmissioni e ti trovi in un posto isolato sei socraticamente fottuto, sai che scoperta!
Basterebbe allora affidarsi al manzoniano buon senso senza ambizioni di costruirvi un senso comune e godersi per il tempo che resta – dilatatosi oltre il contratto d’affitto – la villa sguazzando in piscina e quand’anche bussassero alla porta dei presunti padroni di casa sbattergliela in faccia come farebbero tutti al posto loro soprattutto non avendo questi, per la mancanza di cui sopra, modo di provare la loro identità. Qua invece per tener viva un’attenzione già morta prima che si spegnessero i satelliti, le petroliere arrivassero sul bagnasciuga senza incagliarsi prima, gli aerei si schiantassero ma i droni fossero abilitati alla distribuzione di volantini pubblicitari (e perché allora non un bel biplano sardonico con gli auguri di Happy New Year?), le Tesla si zombificassero in un modo sconosciuto pure a Musk, entrassero in scena – dopo l’Uomo Nero anzi Black terrificante la sera quasi quanto una camomilla Sogni d’Oro non essendo nemmeno in grado di turbare il sonno dei bianchi che riposano comunque al piano padronale – simbolici cervi e fenicotteri del realismo magico del Pigneto, radiazioni sonore portassero clienti odontoiatrici non ai dentisti ma ai membri complottisti di QAnon, tocca assistere all’ennesimo confronto/scontro sociale tra classi bianco e nere con la variante pauperista della colf sudamericana, nelle intenzioni per alzare allargandolo il livello dato per risolto il primo: un total black out ma con meno spessore di un episodio di “Blacked” quando la fidanzata degli americani, la Julia Roberts il cui fascino ormai è appeso agli Aviator, passa con la stessa rapidità di una scena porno dal vituperare l’intruso a ballarci assieme appassionatamente (siamo sempre in fascia protetta anche se esposti alla fine del mondo) e ovvio simmetricamente la teen si diverte a sedurre il professore meno sgamato di un membro di “FuckMyDaughter”, pronto a smentire l’assunto white guilt del razzismo inverso della giovane Ruth, siamo tutti uguali nella semplificazione di Netflix ma la parte giusta è una sola, per il quale dei bianchi non ci si può fidare.
La zillenial Rose vuole vedere come finisce la serie tv dei suoi amici preferiti? Ha ragione, almeno fino a quando la fiction è più interessante della vita, tolti gli inutili coetanei e le parti noiose in mezzo. Il mondo privo di senso, o a senso unico, è solo un’assurda complicazione da lasciarsi dietro. Ma che nello sfidare l’ignoto la salvezza venga da un bunker stile Guerra fredda e da un vhs pare un inutile rifugio nel si stava meglio una volta. Meglio sempre diffidare dei False friends.
- Il mondo dietro di te (Leave the World Behind) è un film del 2023 scritto e diretto da Sam Esmail e visibile su Netflix
- Per altri (S)visti di Gabriele Nava, qui