Dovrebbero promulgare una legge per vietare l’utilizzo di A whiter shade of pale dei Procol Harum nelle colonne sonore a venire. Direi che dopo The big chill (Il grande freddo) di Kasdan nel lontano 1983, e financo Compagni di scuola di Verdone, qualche anno dopo, quel che l’iconico brano poteva regalare in termini di struggimento e nostalgia l’ha già regalato a sufficienza.
Michel Franco, Gran Premio della Giuria a Venezia nel 2020 con Nuevo Orden, in Memory lo usa assai, tanto da farlo assurgere a paradigma dell’unico difetto di questo buon film: non aver avuto più coraggio, finale compreso. Franco non osa allontanarsi dagli stilemi più rassicuranti, per andare fino in fondo – magari lasciandoci un dubbio scomodo – nel suo interrogarsi sui meccanismi mentali di un tema pesante e duro come la memoria.
Sylvia (Jessica Chastain) è una madre single, sui quaranta, fa l’assistente sociale e grazie agli Alcolisti Anonimi ha chiuso da molti anni con un passato di dipendenze. La sua vita si snoda tra lavoro e accudimento della figlia adolescente (Brooke Timber). A New York, vive in una casa con vista autostrada, il quartiere è grigio e triste, mentre la sorella Olivia (Merritt Wever), che ogni tanto accetta di ospitare la nipotina, è ben maritata e abita una lussuosa villa. Una sera Sylvia partecipa di malavoglia alla festa commemorativa del suo liceo.
Unica tra tutte, non si è agghindata per l’occasione, ma viene ugualmente notata da un ex allievo, Saul (Peter Saarsgard), che addirittura la segue fin sotto casa. Con tutti i pori, siamo nella paura di Sylvia, che cammina a passo veloce per raggiungere la metropolitana, scruta lo stalker, tira fuori dalla borsetta con gesto convulso le chiavi per aprire più in fretta possibile il portone di casa e chiudersi alle spalle l’incubo.
Ma non è come sembra: il mattino dopo, l’uomo è disteso per strada, privo di conoscenza, e Sylvia scopre che è un alto borghese di mezza età che soffre di demenza. Di tanto in tanto Saul, che ricorda perfettamente fatti e persone degli anni più lontani, perde la memoria a breve termine.
Il fratello e la nipote si prendono cura di lui, ma chiedono a Sylvia di lavorare per loro e aiutarli. Anche nel passato difficile di Sylvia, dove alberga una madre gelida con la quale non ha più rapporti, c’è chi ricorda e chi ha deciso scientemente di rimuovere, ed è proprio Saul che scoperchia il vaso pieno di sporcizia e violenza trattenute a stento nel volto sempre in allerta della donna, nella sua paura di lasciar crescere la figlia, nella sua vita ordinaria e solitaria fino all’eccesso.
Chastain, ora dimessa con capello raccolto e scarponcini bassi, ora sensualissima quando il suo corpo non è più un nemico, è molto brava. Bravissimo soprattutto Saarsgard, in un ruolo molto difficile, dove basta un attimo per diventare caricaturali. In equilibrio tra una condizione oggettivamente problematica e il diritto inalienabile al libero arbitrio – in fondo lui sceglie di seguire proprio Sylvia, fin dall’inizio – ci lascia con molte domande cui è difficilissimo dare una risposta.