Mercoledì 11 maggio 1887: questo pomeriggio Alexandrina Victoria vedova Saxe-Coburg assisterà finalmente al grande spettacolo che ha debuttato due giorni prima a Londra, nell’arena costruita a Earl’s Court proprio per questo evento. È molto curiosa: i quotidiani della capitale inglese ne parlano da giorni. I giornalisti che hanno assistito a quel primo spettacolo raccontano che è stato un successo, tutti i trentamila posti sono stati occupati. Quello spettacolo arrivato dall’America è davvero singolare: mai vista a Londra una cosa del genere, un avvenimento degno del giubileo d’oro della Regina. La vedova, dopo aver letto quegli articoli entusiasti, ne ha parlato con il figlio, e ha deciso di assistere allo spettacolo. Ha sessantotto anni, è una vecchia signora inglese, nata a meno di cinquant’anni dalla guerra d’indipendenza, ma desidera ancora conoscere tutto quello che succede nel mondo e quello spettacolo promette di raccontare come è avvenuta la conquista dei grandi territori dell’ovest di quelle che un tempo erano le Tredici Colonie delle Indie occidentali.
Le aspettative della signora Alexandrina non vengono certo deluse. Duecento artisti, tra cowboy e indiani d’America, tiratori scelti e musicisti, cavallerizzi e acrobati, e poi centottanta cavalli, diciotto bisonti, dieci alci, cinque grandi manzi; tutti arrivati dall’America con il piroscafo State of Nebraska, insieme a un’autentica diligenza e ai pali e alle tende per costruire alcuni tepee. Il colonnello William Frederick Cody ha fatto davvero le cose in grande per la sua prima tournée europea.
I cowboy, montando i loro cavalli, dimostrano come radunano i bisonti e i manzi in quelle vaste praterie. Poi gli indiani attaccano una diligenza – anzi la vera diligenza di Deadwood, come dice il colonnello nella presentazione di quel numero – finché non arrivano in soccorso i suoi uomini a mettere in fuga i “cattivi”. A dire la verità a Deadwood quella diligenza è stata attaccata non dagli indiani, ma da banditi, ovviamente bianchi, ma allo spettacolo poco importa. Annie Oakley colpisce la punta di un sigaro tenuto in bocca da suo marito. Mustang Jack è saltato su un cavallo, atterrando in piedi e ci riesce anche una seconda volta, tenendo in mano due manubri da dieci libbre. Gli indiani in pochi minuti costruiscono un villaggio e poi si esibiscono in una loro danza di guerra, guidati da quello che dicono essere un loro grande capo, chiamato Toro Seduto. Ancora Annie, la vedette dello spettacolo, da trenta passi con il suo fucile riusce a colpire diverse volte una carta da gioco prima che cada a terra e alcune monete da dieci centesimi, riesce a sparare anche voltata, tenendo la canna del fucile sulla spalla e guardando il suo obiettivo attraverso un piccolo specchio. E infine gli indiani, sempre per finta, attaccano alcune capanne di tronchi fino a che non vengono messi in fuga dal colonnello e dai suoi cowboy. La signora Alexandrina si è divertita moltissimo: quel Cody sarà anche americano, ma è proprio bravo a organizzare quegli spettacoli.
A dire la verità quel mercoledì pomeriggio sono solo ventisei gli spettatori di quello spettacolo che dura novanta minuti: se Sua Maestà Alexandrina Victoria di Hannover, Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e Imperatrice dell’India, chiede una rappresentazione privata del Buffalo Bill’s Wild West Show, non le si può certo dire di no. Quella speciale rappresentazione inizia con un cavaliere che porta una grande bandiera a stelle e strisce, segno di pace e di amicizia, come annuncia il direttore del circo, e, inaspettatamente, la regina Vittoria si alza e fa un leggero inchino: la prima volta che un sovrano inglese rende un tale omaggio alla bandiera degli Stati Uniti. Poi il colonnello Cody si avvicina al palco, con eleganza si leva il cappello, fa un inchino e dice: “Benvenuta, Sua Maestà, nel profondo west d’America”. E a questo punto lo spettacolo può davvero cominciare.
La regina lo ha apprezzato molto. Il colonnello Cody le ha fatto un’ottima impressione: un vero gentiluomo, per essere un cowboy delle colonie. In cinquant’anni di regno Vittoria ha già visto i rappresentanti di tanti popoli “selvaggi”, considerando che il suo regno va dalla Nuova Zelanda alla Nigeria, dal Canada all’India: è la regina di un quarto della popolazione mondiale e del 40% della superficie del globo. Quegli “indiani”, con le loro piume e i loro gridi di guerra, non la colpiscono molto. Probabilmente trova bizzarro che un loro grande capo come Toro Seduto, l’uomo che prima ha guidato le sue tribù in una battaglia in cui le truppe americane sono state massacrate e dopo è stato duramente sconfitto, decida di partecipare a uno spettacolo di quel genere: una cosa forse troppo “moderna” per Vittoria, una donna dell’Ottocento, che non capisce che sta nascendo un nuovo mondo in cui there’s no business like show business.
Tra gli indiani che prendono parte allo spettacolo c’è anche Alce Nero, che da giovanissimo ha partecipato, con Toro Seduto, alla battaglia di Little Bighorn, e che nel 1890 rimarrà ferito nell’eccidio di Wounded Knee. Molti anni dopo Alce Nero ricorderà di aver stretto la mano a quella che lui chiama “Grandmother England”: la mano piccola e morbida di una grande donna, il capo di una immensa tribù, una grande sciamana.
Alla regina piace in particolare quella donna giovane e minuta – è alta solo un metro e cinquanta – che è così brava a tirare con il fucile. Le fa molte domande: sulla sua età, sulla sua famiglia, su come ha cominciato a sparare, sul suo futuro.
Phoebe Ann Mosey è nata lunedì 13 agosto 1860, in una contea rurale dell’Ohio, ai confini con l’Indiana. Non esiste ancora il Regno d’Italia, ma Alexandrina Victoria è già regina da ventitré anni, anche se non ha ancora il titolo di imperatrice dell’India e non è ancora vedova di Alberto. La piccola impara a sparare molto presto, perché andare a caccia è l’unico modo di mantenere la sua famiglia, che è molto povera, anche perché il padre è morto e i figli sono in tutto nove. Quando ha solo quindici anni nella sua cittadina arriva un immigrato irlandese che si guadagna da vivere facendo spettacoli di tiro a segno nelle campagne americane. Di solito arriva in una cittadina e sfida gli abitanti: scommette cento dollari che nessuno di loro riuscirà a batterlo. E per lo più è così, perché Frank Butler è un tiratore davvero eccellente. Ma quando arriva in quella parte dell’Ohio dicono che c’è qualcuno che può batterlo. Frank non riesce a crederci: quella ragazzina alta un soldo di cacio spara meglio di lui. E Frank perde i cento dollari. Ma trova una moglie e una compagna di lavoro.
È stato un lungo matrimonio: e quando Annie morirà a 66 anni, alla fine del 1926, Frank smetterà di mangiare e si spegnerà diciotto giorni dopo. Buffalo Bill, quando fonda a metà degli anni Ottanta il Wild West Show, ingaggia subito Frank e Annie, che nel frattempo ha cominciato a usare il cognome Oakley. William Cody ha fiuto per lo show business e quei due, una coppia nella vita e nell’arte, diventano una delle attrazioni più importanti del suo spettacolo. Con buona pace di Frank, che ha ormai accettato che sua moglie è più brava di lui, Annie diventa una vedette. Durante uno spettacolo a Berlino, il principe di Prussia le lancia una sfida: deve riuscire a far saltare la cenere dalla sigaretta che egli tiene in bocca. Naturalmente Annie riesce: se avesse sbagliato la mira, Guglielmo non sarebbe diventato Kaiser e forse non sarebbe scoppiata la prima guerra mondiale.
A differenza di Annie, Dorothy Fields è una “figlia” di New York. Nasce venerdì 15 luglio 1904: la regina Vittoria è morta solo tre anni prima, Buffalo Bill porta ancora in giro il suo spettacolo, che però ha ormai più fortuna in Europa che in America. Annie non ne fa più parte. Nel 1901 il treno che porta gli artisti e il materiale del Wild West Show deraglia per un grave incidente, Annie rimane paralizzata e subisce cinque operazioni spinali. Ricomincia a camminare e a sparare, con la stessa precisione di prima, ma ormai non riesce più a sostenere la fatica di quelle lunghissime tournée. Scrivono per lei lo spettacolo The Western Girl: Annie interpreta il ruolo di Nancy Berry, una donna della frontiera che sconfigge un gruppo di fuorilegge. In provincia lo spettacolo funziona, ma non può arrivare a Broadway.
Invece Dorothy cresce proprio a Broadway. Suo padre è Lew Fields, un immigrato ebreo polacco che, insieme a Joe Weber, costituisce il duo comico più famoso del teatro americano della fine del diciannovesimo secolo e, pur continuando a recitare, diventa, all’inizio del Novecento, uno dei più geniali e produttori di musical: è Lew che fa debuttare il diciannovenne Richards Rodgers. Il vecchio Lew non ne vuole sapere che la figlia intraprenda la carriera teatrale, ma Dorothy è irresistibilmente attratta da quel mondo, there’s no business like show business. Recita in qualche rivista, ma capisce presto che il suo talento è un altro: quello di scrivere i testi delle canzoni. In quasi cinquant’anni di carriera Fields ne ha scritte più di quattrocento e ha lavorato a quindici musical e ventisei film, ha collaborato con tutti i grandi musicisti, è stata una delle regine di Broadway.
Nel ’45 Dorothy sente che vuole fare qualcosa di più e decide di scrivere il libretto di un musical. È convinta che questo sia il vero contributo degli Stati Uniti alla storia del teatro, il genere veramente americano, e con Oklahoma! Rodgers e Hammerstein hanno dimostrato che con il musical si può raccontare anche l’epopea del west, ossia l’unica storia di quel paese così giovane. E lei decide che farà lo stesso, raccontando però la storia di una donna, la più grande donna del west, e comincia a immaginare il libretto di Annie Get Your Gun.
Il produttore Mike Todd boccia l’idea, ma Richards Rodgers e Oscar Hammerstein II, che nel frattempo hanno deciso di diventare anche produttori, la sostengono: lei e suo fratello Herbert scriveranno il libretto, mentre le canzoni le scriveranno Herbert e il compositore Jerome Kern. Ma alla fine del ’45 Kern muore. Hammerstein crede nel progetto e chiama Irving Berlin, che all’inizio rifiuta: pensa di non riuscire a scrivere canzoni che debbano anche raccontare una storia, è una cosa di cui non si sente pronto. E poi lui scrive sia i testi che le musiche. Herbert si ritira e Hammerstein riesce a convincerlo. In pochi giorni Berlin compone le prime canzoni. E si convince che dopo tutto può accettare quella sfida.
Annie Get Your Gun debutta a Broadway, all’Imperial Theatre, il 16 maggio 1946 e rimane in cartellone per 1.147 repliche. Nell’ottobre del 47 parte la tournée negli Stati Uniti che dura fino alla metà dell’anno successivo. Il 7 giugno 1947 debutta anche nel West End e rimane in cartellone al London Coliseum per 1.304 repliche. Ha successo perfino in Francia: Annie du Far-West rimane in cartellone per oltre un anno al Théâtre du Châtelet di Parigi, dopo il debutto del 19 febbraio 1950.
Anche il film prodotto dalla MGM nel 1950 ha avuto buoni incassi, nonostante non sia il capolavoro che avrebbe potuto essere. Rischiamo di ricordarlo più come un’occasione perduta per Judy Garland nella fase più drammatica della sua vita. E non è stato il trampolino per il successo della pur brava Betty Hutton.
Questo musical è certamente il più grande successo di Dorothy Fields e di Irving Berlin, anche per merito delle prime interpreti, perché Annie è una delle più belle parti femminili del genere. Per Ethel Merman, che pure aveva già interpretato tanti successi dei fratelli Gershwin e di Cole Porter, questo sarà il ruolo della vita, quello che la consacrerà come la più grande tra le regine di Broadway.
Irving Berlin, poco prima delle prove, sta per togliere dallo spettacolo la canzone che diventerà più famosa: crede, sbagliando, che a Rodgers non piaccia. Per fortuna cambia idea. Non la canta Annie, ma la interpretano insieme, in una scena davvero divertente, Frank, il colonnello Cody e Charlie Davenport, il manager dello spettacolo. Devono convincere quella ragazzina cresciuta tra i boschi e le praterie, che non sa leggere e scrivere, ma solo sparare, a unirsi allo spettacolo, perché there’s no business like show business. Annie lo capisce immediatamente: e così quella “selvaggia” ragazza delle praterie un giorno potrà incontrare la più grande regina del mondo.
Nella foto in alto, Annie Oakley nel 1922
- Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni). Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale, per saperne di più qui