Non me la ricordavo Miriam Toews (si pronuncia Teivs, Wiki dixit), scrittrice canadese oggi sessantenne insignita di numerosi premi, finché non ho visto il film Women Talking – Il diritto di scegliere, uscito nel 2023 e ora in rete, della regista Sarah Polley: è tratto dall’omonimo romanzo della Toews Donne che parlano (Marcos y Marcos 2018). Dove, a parlare, sono le vittime di fatti accaduti tra il 2005 e il 2009 in Bolivia, in una colonia di mennoniti, rigoroso movimento religioso anabattista che rifiuta la società dei consumi, niente auto né elettricità, proibiti giochi e musica (“l’arte è una menzogna”), gli uomini a lavorare nei campi, le donne a occuparsi della famiglia e degli animali sempre nel timore di Dio che punisce, il tutto parlando il basso-tedesco, una lingua orale risalente al medioevo che mescola tedesco olandese pomerano e frisone.
Dunque: a molte di queste donne e ragazze capitava di svegliarsi la mattina piene di dolori, il corpo coperto di lividi per via delle violenze subite nella notte “a opera di demoni e fantasmi come castigo inflitto a loro da Dio o da Satana per i loro peccati”, sostenevano alcuni membri della comunità.
In realtà si scoprì che i demoni e fantasmi erano in carne e ossa otto uomini della colonia stessa, alcuni persino parenti stretti di quelle donne: spruzzavano dalle finestre delle loro camere un anestetico utilizzato per il bestiame (un prodotto naturale, certo, estratto dalla belladonna) che le rendeva incoscienti e poi le stupravano. (Per la cronaca, nel 2011 i responsabili furono condannati da un tribunale boliviano, e poi comunque nel 2013, mentre i colpevoli erano in carcere, si venne tuttavia a sapere di violenze e abusi sessuali che continuavano a ripetersi nelle colonie).
Le otto donne che parlano – nel film e nel libro – si riuniscono segretamente nel fienile dei loro lavori serali per decidere se denunciare i fatti e come farlo, e poiché sono analfabete incaricano l’insegnante della comunità, August Epp, di redigere gli atti delle loro riunioni illustrando con dei disegni le azioni che intendono fare e che mettono ai voti. Le opzioni sono tre: 1) Non fare niente, 2) Restare e Combattere, 3) Andarsene.
Il film, due candidature e un Oscar vinto, ha un cast di attrici strepitose capaci di “rendere” ciò che quelle otto donne hanno nella testa e nell’anima senza dare l’idea di interpretarle per lo schermo. Quanto al libro, lo vado a ripescare nello scatolone dove (mancanza di spazio) avevo riposto tutta l’opera della Toews.
Lo apro a caso – un “gioco” che a volte dà dei risultati sorprendenti – e leggo a pagina 100: “possono dei ragazzi di tredici o quattordici anni fare del male alle donne della colonia?”, chiede Ona, una delle violentate all’insegnante Epp. Il quale risponde che “sì, è un’età sfrontata. Questi ragazzi sono dominati da impulsi sconsiderati, da un’esuberanza fisica, da un’intensa curiosità che spesso sfocia nell’oltraggio, da emozioni sfrenate incluse una profonda tenerezza ed empatia […] sono alte, muscolose creature sessualmente indiscrete e con una scarso controllo dei propri impulsi, ma sono dei bambini. Sono dei bambini e possono imparare”… Mi sembrano parole su cui riflettere anche oggi, anche qui.
Pesco altri libri dallo scatolone. Ritrovo Un complicato atto d’amore (Adelphi 2005). Lo apro: “Noi siamo mennoniti. Per quel che ne so, è la setta più sfigata a cui si possa appartenere a sedici anni… gente che per tenere lontano il Male ha trasformato la vita in un fac-simile della Morte”, leggo nella prima pagina. E ritrovo la voce della Toews, quel dire le cose terribili della vita con un suo secco umorismo, parole che sono “imperfette offerte d’amore e pallottole che mi sparo in testa” come dice un personaggio di Mi chiamo Irma Voth (Marcos y Marcos 2011) nel quale la scrittrice, nata in una comunità mennonita del Manitoba (dalla quale se n’e andata a diciotto anni), raccontando di una troupe cinematografica che arriva lì a girare un film, parla praticamente di sé: “ingaggiata” sul campo come attrice dal regista messicano Carlos Reygadas per il film Luz silenciosa del 2007, ha lasciato una memorabile interpretazione nel film nel ruolo di Esther, una delle protagoniste.
Pur amando il cinema, però, Miriam, ha scelto di scrivere e ha fatto bene, a quanto pare. Definita fin da subito dalla critica “una giovane Holden mennonita”. Imitata-copiata-scimmiottata, in seguito, da una pletora di giovani scrittrici (anche nostrane) autobiografanti in modalità flusso di pensiero senza punteggiatura, la sua scrittura, la sua voce mi suona tuttora come l’originale. Mi sa che li tolgo dallo scatolone gli altri suoi libri I miei piccoli dispiaceri, Un tipo a posto, eccetera. Mi sa che a Miriam Toews ritrovo posto su uno scaffale della libreria.
- Jonne Bertola, giornalista milanese. Autrice del romanzo Swinging Giulia, di Piacenza (Morellini) e di Di chi è questo corpo (Luoghinteriori)
Le fotografie di Miriam Toews sono di Alessio Jacona (Credit:”Miriam Toews 2015 (19269944925)” by Alessio Jacona from Rome, Italy is licensed under CC BY-SA)