Mercoledì 13 novembre alle 18, alla Casa della Memoria di Milano (via Confalonieri 14) Luigi Ferro e Monica Triglia presentano, nell’ambito di BookCity, il loro Verità nascoste (Zolfo editore). L’incontro è aperto a tutti.
Storie di uomini e donne che, partendo da un dramma individuale, costruiscono movimenti collettivi. Cercano l’appoggio della stampa, del mondo della cultura e delle istituzioni, della società civile. Suppliscono con il loro lavoro a indagini giudicate carenti se non completamente sbagliate. Lo fanno con un impegno lungo e difficile, in un cammino disseminato di ostacoli, a partire dai depistaggi. È Verità nascoste (Zolfo editore) scritto da Luigi Ferro e Monica Triglia (due nomi molto noti a chi scorre i testi di Allonsanfàn.it) che raccoglie cinque storie di Associazioni di familiari delle vittime di stragi italiane. La bomba alla stazione di Bologna, l’aereo civile che a Ustica si è trovato in un contesto di guerra in tempo di pace, il traghetto Moby Price andato a fuoco, gli studenti della scuola di Casalecchio di Reno uccisi da un aereo militare, piazza Fontana a Milano: storie molto diverse tra loro ma unite dalla volontà dei familiari delle vittime nel chiedere verità e giustizia, mantenere vivo il ricordo, combattere la falsificazione della storia. Verità nascoste ha l’autorevolezza del libro storico e la vivacità della testimonianza raccolta in diretta.
Perché avete scelto di raccontare le storie delle Associazioni di familiari delle vittime?
Monica. È un’idea nata da un articolo che Luigi ha scritto per Allonsanfàn.it sul documentario Il mistero Moby Prince trasmesso su RaiPlay. Luigi terminava il suo pezzo con queste parole “Andrebbe raccontata per intero la storia dei familiari delle vittime di stragi e altro, della loro lotta contro i mulini a vento, del loro essere veri cittadini consapevoli che rivendicano il diritto alla verità, mentre lo Stato ti combatte in nome a volte della Ragion di Stato e più spesso per biechi fini politici”. Insieme abbiamo deciso che quelle storie – almeno alcune – andavano davvero raccontate.
Che storie sono?
Luigi. Sono storie diverse tra loro ma con un elemento in comune: l’impegno dei familiari delle vittime. Uomini e donne che, partendo da un dramma individuale, hanno costituito movimenti collettivi e cercato l’appoggio della società civile. Che hanno affrontato il dolore e unito le forze con l’obiettivo di ottenere verità e giustizia. Sì, sono storie che sono partite da tempi, contesti e vicende personali completamente differenti, ma tutte si sono articolate in lotte, proteste, iniziative per supportare indagini e processi e per mantenere vivo il ricordo e combattere la falsificazione della storia.
Nel libro si cita Emmanuel Carrère: «Per le vittime si prova pietà, ma è dei colpevoli che si cerca di capire la personalità. Sono le loro vite che vengono passate al setaccio per scovare il punto di rottura, il momento misterioso in cui hanno deviato verso la menzogna o il crimine». È vero?
L. Sì e questo è anche comprensibile. Capire le motivazioni del male è importante, ma cedergli completamente la parola come è successo per lungo tempo in Italia è eccessivo. Quando i brigatisti hanno terminato le loro deprecabili attività finendo in carcere, la parola l’hanno avuta soprattutto loro. Perché se è vero che la storia la scrivono i vincitori, in questo Paese si è spesso riusciti a farla scrivere agli sconfitti. In decine e decine di libri e documentari.
M. Poi però qualcosa è successo. Esaurito il filone delle presunte verità degli ex terroristi, è arrivato il momento dei familiari. Spingendo la notte più in là: Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo è il titolo del libro di Mario Calabresi che racconta la vita della sua famiglia dopo l’omicidio del padre e le storie di altri come lui. Dopo Calabresi è stata la volta di Benedetta Tobagi, figlia di Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera ucciso quando lei aveva pochi anni. Giovanni Fasanella con Antonella Grippo sono andati alla ricerca di vicende, alcune dimenticate, nel libro I silenzi degli innocenti, mentre Sabina Rossa ha ricordato Guido Rossa, suo padre, operaio ammazzato dalle Br. E ancora Massimo Coco, figlio del magistrato Francesco Coco ucciso dalle Br, ha scritto Ricordare stanca e Andrea Casalegno ha raccontato la vicenda di suo padre, il vicedirettore de La Stampa, Carlo Casalegno, ucciso dalle Br, nel libro L’Attentato.
Perché il libro si apre con la strage alla stazione di Bologna?
L. La prima associazione che si è strutturata in modo formale è stata quella di Bologna. Dove la chiamata a raccolta è partita subito dopo le assoluzioni di Catanzaro nel processo di piazza Fontana. “Non deve succedere anche qui” si sono detti i familiari delle vittime della bomba alla stazione, che si sono organizzati di conseguenza.
Perché termina con piazza Fontana?
L. Perché abbiamo voluto chiudere il libro tornando in piazza Fontana dove tutto è iniziato.
Qual è il rapporto dei familiari delle vittime con il perdono?
M. Per ognuno, dal giorno dell’evento, è iniziata una nuova vita che aveva di fronte a sé un cammino lungo, tortuoso e impegnativo. Tutti hanno ripetuto di non essere in cerca di vendetta, ma di voler dare un senso al loro dolore nella ricerca di quanto successo e dei responsabili. Tutti sono andati, e ancora vanno, in cerca di quella serenità della memoria che può arrivare solo quando si è data risposta a mille domande.
L. C’è sempre qualcuno che chiede se hanno perdonato. Ma si tratta di un processo individuale da affrontare caso per caso e che, se arriva, lo fa dopo che sono state accertate le responsabilità, dopo che è stata fatta luce su tutto e sono state eliminate le zone d’ombra. Il problema è che nelle storie che abbiamo raccontato sono stati raggiunti differenti gradi di verità e giustizia. E allora come fai a perdonare se non hai una verità certa, se non hai avuto giustizia.
Scrivete: cittadini normali diventano personaggi pubblici che entrano a fare parte di una dimensione completamente diversa dalla loro vita precedente.
M. I familiari delle vittime di tragedie collettive, delle quali si occupa questo libro, diventano protagonisti sollecitando le indagini, supportando l’azione dei magistrati che possono anche essere aspramente criticati, invocando la politica affinché non lasci solo chi indaga, non lo ostacoli e non neghi gli strumenti necessari. Lo fanno con un impegno lungo e difficile dove prevalgono gli ostacoli come il trascorrere del tempo che sbiadisce i particolari, le testimonianze, i contesti, vede mancare le persone.
L. L’associazionismo dà la forza per superare i propri limiti. Ti aiuta a non rinchiuderti in un comprensibile dolore e a trovare la forza e la determinazione per andare avanti. Quello che colpisce di queste storie è proprio la determinazione delle persone capaci di sostenere anni di impegno con indagini che vanno a rilento, assoluzioni in tribunale senza mollare mai. E lo fanno trasformandosi da normali cittadini in persone in grado di confrontarsi con forze dell’ordine, magistrati, politica, diventando a loro volta soggetti politici. Da un punto di vista personale per qualcuno è stato un passaggio molto difficile.
M. Nessuno è preparato a vivere questa sovraesposizione e nessuno immagina che per molti il compito del familiare della vittima sia quello di vivere in modo silenzioso il proprio dolore. Perché è persona che piace tanto più tace. Le si permette il dolore, il ricordo del morto, una generica richiesta di verità e giustizia, ma tutto deve finire lì. Per il resto ci sono le forze dell’ordine, la magistratura e la politica. I ruoli devono essere ben distinti. In un mondo ideale potrebbe anche essere giusto, se non fosse che chi è coinvolto nelle storie che raccontiamo ha scoperto che lo Stato di cui fa parte non giocava con lui, ma spesso contro di lui.
L. Il familiare della vittima che non accetta la sua parte deve mettere in conto che non appena lascerà il suo ruolo silenzioso molta della solidarietà raccolta se ne andrà. Lo hanno provato tutti. Dai genitori dei ragazzi morti nella scuola di Casalecchio di Reno definiti in alcuni casi “sciacalli” ai tanti protagonisti delle vicende narrate nelle pagine del libro. C’è chi accusa i familiari delle vittime di voler fare politica, altri di “sollevare un polverone”, altri ancora di cercare un tornaconto personale. Non ci sono ideali da difendere, non c’è la memoria delle vittime da onorare. Ma avidità, sete di notorietà, potere, guadagno. E se protesti devi per forza essere un parente stretto. Se il morto è un figlio, un marito o una moglie va bene, ma quando si parla di una sorella succede di sentir dire: «Ma quello lì che si impegna così tanto, cosa vuole. In fondo gli è morta solo una sorella».
Il nostro è un Paese senza memoria e verità, e io per questo cerco di non dimenticare. È la frase di Leonardo Sciascia che citate in apertura…
L. Il nostro libro vuole essere un piccolo strumento di memoria. In un momento in cui qualcuno cerca di raccontare il passato in modo diverso e falso, vogliamo recuperare brandelli di memoria e rendere omaggio al lavoro di persone che hanno dato un senso pieno alla parola cittadinanza.
M. Non solo non vogliamo dimenticare ma vogliamo anche far conoscere. Noi, ragazzi degli anni Sessanta, le storie che raccontiamo le ricordiamo. Ma sono tanti i giovani di oggi che non ne hanno neppure mai sentito parlare. Ci piacerebbe che Verità nascoste li aiutasse a sapere.
- Verità nascoste è stato al Salone del Libro di Torino 2024. Qui sopra la locandina.