Mi trovai tra le mani da ragazzino, prestato da un amico più grande, il 45 giri di The Unknown Soldier (Il Milite Ignoto) dei Doors, quinto singolo da Waiting For The Sun (Elektra, 1968): un pezzo molto corto, un testo di Jim Morrison breve e concitato fatto di un brandello di strofa ripetuto, un quasi refrain che diventa un finale ad lib, mentre una scena teatrale – la fucilazione del milite ignoto? Di un disertore pacifista? – irrompe nella canzone, fratturandola prima di rinascere in un simil bridge ricco di pathos.
Un Ufo piovuto dal cielo del rock ed entrato in un gracchiante mangiadischi. Era qualcosa di arduo da capire per me che ero abituato a – nomino due pezzi coevi – La fisarmonica di Gianni Morandi oppure Il ragazzo della via Gluck.
La cosa che più mi colpì (così si scriveva nei temi delle medie): la quartina sotto vuoto spinto, letteralmente esplosiva, in cui la voce di Morrison mette in secondo piano qualunque suono stiano producendo in quel momento Ray Manzarek, Robby Krieger e John Densmore. E mi colpirono le parole. L’accenno alla routine quotidiana si mescola all’immagine ultramondana di vivi non nati e di morti viventi parcheggiati chissà dove e al pericolo esotico ma non troppo di una guerra in terra straniera…
Breakfast where the news is read
Television children fed
Unborn living, living dead
Bullet strikes the helmet’s head
Capii improvvisamente quello che Morrison voleva dire, attingendo forza dalla concentrazione delle parole e dalle rime che “abbreviano” il discorso: la mattina, qualcuno in America, prepara la colazione ai bambini e ascolta le notizie, mentre in Vietnam c’è qualcun altro che muore… Quel children fed fa rima bene con helmet’s head e i suoni com’è giusto in una poesia appiccicano insieme significanti e significati.
And it’s all over
For the unknown soldier
It’s all over
For the unknown soldier
Va da sé che l’esplosione del proiettile sbocchi in un dolente distico – e che le ripetizioni di parole nel finale creino un gorgo che quasi cancella la guerra e la morte nell’abracadabra dello sciamano Morrison, che rabbioso e sdegnato per un attimo vorrebbe salvare e consolare tutti…
La celebrazione di un debole mago
Penso oggi che Jim Morrison sia stato un mago debole, un poeta veggente di cui il mondo alla fine non ha ratificato le visioni – i vari mr Jones e i signor Rossi del tempo non avrebbero preso sul serio neanche Rimbaud, e figuriamoci Nietzsche, questo per citare i due fari dell’impulsivo ragazzo americano.
Il mago debole Jim poneva tutta la sua fede in “the insight that truth is hidden, the visible world illusion, and only a quest to attain the transcendent can procure wisdom”.
Beat e hippy, Morrison diceva, nel delirio di chi crede di potersi appropriare della verità nascosta del mondo, “Io sono il Re Lucertola/ posso far tutto/ posso fermare la terra nel suo cammino/ io ho mandato via le auto blu…”. Limpida affermazione di superiore potere e pure straziante come tutti i pronostici incongrui o votati a un disastro personale.
I am the Lizard King
I can do anything
I can make the earth stop in its tracks
I made the blue cars go away
The Celebration of the Lizard, in versione completa, che ascolto ora in un live a New York del gennaio 1970, finisce con queste parole “Domani entreremo nella mia città natale, voglio essere pronto”. Jim Morrison muore a Parigi il 3 luglio del 1971. Cinquanta anni fa più o meno.
Essendo un poemetto articolato in più parti, quando anni più tardi lessi all’Università Statale The Waste Land di T. S. Eliot, pensai candidamente che anche la Celebration potesse essere così complicata, ricca di echi enigmistici e di riferimenti letterari e mitologici; che, più precisamente, dovesse esser composta di frammenti con cui il sedicente King Lizard, l’uomo che si credeva il Re Lucertola, “faceva argine alle proprie rovine”…
È un po’ vero. La Celebration stupisce anche in assenza di musica per il parlato-recitato che si appropria del lato più teatrale ed epico della poesia americana, a partire da Whitman/Ginsberg, dopo aver raccattato simboli da William Blake… Soliti nomi, sì, ma ficchiamo tra questi anche il lisergico e spettacolare Michael McClure.
Dopo la tragedia greca di The End, la Celebration è, più che il Vangelo, lo Zarathustra secondo Jim. Non è poi vero che “il profetico in letteratura indica la qualità dell’autorevolezza del poeta” (Northrop Frye)?
“Aspetta! Qui c’è stato un massacro”. La storia di Re Lucertola e la commemorazione del Milite Ignoto che mi affascinò tanti anni fa dicono ancora oggi che forse è possibile sognare un mondo meno squallido e ambire a un ritorno a casa, ma che la guerra non termina mai. E infatti.