Alle otto del mattino di una domenica d’aprile, a Bruxelles c’è il sole, ma la città non si è ancora svegliata. I café sono quasi tutti chiusi, le sedie ripiegate, i tavolini vuoti. Qualcuno però lo trovi sempre, che a cinque minuti dalla Grand Place va a caccia del pain au chocolat più buono della città, almeno così dicono, alla panetteria Charli, rue Saint-Catherine, zona vivace, fresca, à la page.
Qui la serranda è già sollevata alle sette e cinquantacinque. Hanno il magazzino a vista, oggi usa così, e uno dei tanti scaffali che arrivano dal laboratorio di sotto è già lì, pieno di delizie.
Il commesso riccetto, magrolino, giovane, è da solo, si affanna più veloce della luce a disporre i croissant e le monoporzioni di torte in vetrina. Nel frattempo, da un cesto pieno di targhette, rapido estrae quelle che dovrà usare, sceglie quelle giuste, poi va alla cassa e raccoglie le prime ordinazioni, spiega gentile che i pain au chocolat non sono ancora pronti, suggerisce alternative, mette sotto alla macchinetta del caffè una tazza, torna in magazzino, prende un’altra fila di tartelette al limone e la piazza in vetrina.
Formidable il fatto resti garbatissimo e sorrida a tutti, al tizio col barboncino in braccio, alla coppia di nordici robusti con la pelle rossa come aragoste perché per loro sole è uguale a bermuda e t-shirt, guai a trasgredire, poi però si scottano. Alla vecchia clochard che si siede al tavolino all’angolo e spera arrivi qualcuno che le offra croissant e café au lait. Infatti qualcuno arriva, succede sul serio, non solo nei racconti edificanti su Facebook: sottovoce un ragazzo in kilt scozzese e camicia bianca, le chiede se vuol mangiare e bere qualcosa, poi paga per lei.
Sorride anche a me, il riccetto, a me che già ieri mattina ho scelto questo osservatorio per guardare da vicino il Belgio e i belgi, a me che non riesco fare a meno di dirgli: “Ma sei fantastico! Sei nella merda, qui da solo, eppure sei così gentile”. Lui si schermisce con una faccia buffa, minimizza, deve arrivare la sua collega che è in ritardo, ma intanto va così, voilà, sorriso e avanti il prossimo.
Sono quasi solo belgi, i clienti. La mattina presto l’assalto dei turisti non è ancora iniziato. Giovani o vecchi, tutti, ma proprio tutti, hanno il loro sacchetto di tela in mano, qui la plastica è davvero roba d’altri tempi. C’était au temps où Bruxelles chantait! C’était au temps où Bruxelles rêvait! C’era una volta la Bruxelles che cantava, c’era una volta la Bruxelles che sognava: la città la cantava così, Jacques Brel, una delle glorie nazionali, insieme, absit iniuria verbis, almeno un po’ di tempo fa, all’emigrato Salvatore Adamo, quello che dedicava una canzone alla nostra Dolce Paola, Paola la principessa di Liegi, italiana bellissima e più bionda delle fiamminghe.
Roba d’altri tempi anche le macchine, buttate fuori dal centro. Se ne vedono pochissime, battono le strade soprattutto biciclette e monopattini, eppure i negozi sono strapieni lo stesso, prendiamo nota, milanesi che più o meno abbiamo lo stesso numero di abitanti, un milione e trecento contro un milione e due. Girano i camion che trasportano verso le birrerie uno dei due indotti nazionali, pronto per riempire calici d’appassionati. L’altro è il cioccolato: Neuhaus, Leonidas, Godiva: il gioco a individuare il più buono è lo sport dei golosi di tutto il mondo, gli snob adesso dicono Marcolini, ovviamente il più caro.
Dovrei scrivere della questione Vallonia e Fiandre, della bellissima mostra che evidenzia la paternità di Magritte su Folon (al museo Magritte fino al 21 luglio), del Parlamento Europeo, di cose serie. Ma il venerato belga parigino d’adozione Georges Simenon probabilmente avrebbe osservato curioso il via vai in una panetteria, più ancora della fiumana di studenti in gita scolastica all’emiciclo o al Parlamentarium, spazio multimediale con la storia della Vecchia Europa.
Che pure emoziona, l’emiciclo, eccome se emoziona, specie noi italiani, quando nell’audioguida vediamo ancora David Sassoli, il caro, onesto, competente David Sassoli, che ci manca dall’11 gennaio del 2022, e che l’ultima volta che hanno girato il video, era ancora il Presidente del Parlamento Europeo in carica.
Emoziona anche vedere tutta questa gioventù nuova, molto diversa da quella che l’ha preceduta anche solo di poco. Belgi internazionali, cosmopoliti, che parlano molte lingue. Persino a Brugge-Bruges, cittadina museo dove il fiammingo la fa da padrone, talmente deliziosa da sfiorare il lezioso, principessa del commercio tra il 1200 e il 1300, che conserva tra gli altri tesori del Groeningemuseum un Giudizio Universale di Hieronymus Bosch, uno dei tre esistenti.
Al ristorante De Stove (La Stufa), che non dà sul canale, zero turisti, due coppie di ex biondi naturali in pensione, sentono Italia intorno e ci omaggiano con un: «Delizioso!» rivolto a un piatto effettivamente… delizioso. Parlano fiammingo. Saranno due fratelli con le mogli? Due coppie di amici storici? Di sicuro, buongustai, mangiano che è un piacere, parlano di tutto, forse ramo musicale? Quello con la stazza più imponente, sì, somiglia molto all’altro, sono senz’altro due fratelli, mostra alla cognata il cellulare e le fa ascoltare un brano di musica classica. Commentano, ridono e mangiano la guancia di maialino. Un Nord caldo, chiacchierone. Un Belgio non più fratellino minore della Francia, non più quella strana nazione percepita come anodina, vecchierella, noiosa.
Cosa direbbe Georges Simenon di questa nuova versione del suo Paese? John, il figlio maschio nato dal legame con la canadese Denyse Ouismet, produttore cinematografico con laurea ad Harvard, così spiegava il mancato Nobel a suo padre: «Tutto dipendeva dal fatto che il Pen Club belga, che proponeva poi all’Accademia di Svezia i nomi degli scrittori importanti da candidare, non lo considerava un autore di qualità così elevata da avanzare la proposta di assegnargli il Premio. Potrei dire: nemo propheta in patria». Per poi aggiungere che suo papà considerava il Belgio «il Paese dov’era nato. Restava molto legato a rue Léopold, al quartiere Outremeuse a Liegi che lo avevano visto bambino. Ci sono romanzi in cui ne parla: Pedigree sopra tutti, ma anche altri. Poi, però, non ha mai mantenuto rapporti con il Belgio. C’è ritornato un paio di volte soltanto: nel 1952, per un viaggio, e quando è morta sua madre».
«Non abbiamo parlato molto, d’altronde non ci si è mai parlati molto nel corso di tutta la nostra vita. Però ci siamo guardati, ci siamo guardati a lungo», dice Georges Simenon in una bellissima intervista realizzata nel 1975 dalla Televisione Svizzera. Racconta il momento in cui dall’ospedale di Liegi lo chiamarono per dirgli che era questione di giorni, sua madre Henriette stava morendo. «Non ho ricordi di un vero contatto con mia madre, invece li ho con mio padre. In ospedale, mentre la guardavo, mi sono chiesto come avessimo potuto vivere due vite parallele, destinate a non incontrarsi mai».
Come sono diverse da madame Henriette Brüll in Simenon, prosaica, inflessibile, avara d’emozioni, le fanciulle belghe che s’incontrano per le strade oggi! Anche i ragazzi sono molto diversi da monsieur Desiré Simenon, da quei piccoli uomini dominati da una moglie padrona, che guardano passare la loro vita senza tentare di modificarne la sorte, portando nella tomba il mistero dei loro sogni.
Oggi i sogni si dipanano con allegria, sono negli occhi gentili del giovane pianista jazz, sui vent’anni, che si esibisce il sabato sera con i suoi amici all’Archiduc, il locale dove ogni sera a Bruxelles si fa jam session. Somiglia un po’ all’idolo del momento Timothée Chalamet, con gli altri musicisti ha l’aria da colto studente del conservatorio, e l’aria da studenti lavoratori l’hanno anche i giovanissimi camerieri. Nelle pause, escono tutti a chiacchierare, rilassati, coi loro pantaloni larghi, le magliette, la faccia bella da far vedere agli euroscettici.
Dal 2003, le coppie omosessuali in Belgio possono sposarsi, hanno preceduto di 13 le nostre unioni civili, hai capito gli anodini? Nei locali c’è un’allegra mescolanza che somiglia ai negozietti d’antiquariato dell’ex quartiere popolare di Marolle, da qualche anno gentrificato, dove nacque Bruegel il Vecchio. Dentro a questi negozi puoi trovare di tutto, da una zebra imbalsamata, al vestito da sposa in pizzo e merletti di fiandra, che sussurra illusioni lontane.
Per le strade, una sintesi di questo grande e variegato mix and match di nazionalità, sessi biologici e percepiti, credo religiosi e politici. Quante dimostrazioni pro Palestina e bandiere, ovunque! Ma nella zona dei grandi musei c’è anche la targa omaggio ai “Giusti” del Belgio, che cita la frase del Talmud: “Quiconque sauve une vie sauve l’universe tout entier” (Chiunque salvi una vita, salva tutto l’universo). La Bonne Parole, la buona novella, come il quadro di Magritte con la rosa in un posto che non t’aspetti. Mettete dei fiori nei nostri lampioni.
Le fotografie sono di Giovanna Fumarola