È il luglio del 1999. Sono arrivato finalmente a Los Angeles, dopo sofferti anni di agorafobia, e avrei potuto muovermi senza panico in spazi ampi. Benedicendo anzi il luogo comune che vuole Los Angeles estesa come la regione Lombardia, nel caso la grande scritta Hollywood campeggiasse dalle parti di Varese troveresti invece a Sondrio il museo disegnato da Frank Gehry. Dico per dire. Los Angeles: basta lasciarsi scorrere, mi dico, guidarci in mezzo. Il cambio è automatico.
Mentre mi muovo estaticamente per i Blvd, il luogo che più mi colpisce, come si scriveva nei temi delle medie, è a sorpresa il Trader’s Vic di Beverly Hills – oggi la catena intera è fallita (credo) e quel locale tiki-loving è stato chiuso, dopo 62 anni, il 7 febbraio 2017.
Ma certo! “Ho visto un lupo mannaro bere una Piña Colada al Trader’s Vic” – a dire il vero, la canzone di Warren Zevon cita il locale sito a Londra, ma amen – e nello stesso minuto secondo realizzo che metà della mia mitologia musicale alberga da queste parti.
Nel secondo minuto secondo capisco che qui potrei trovare le tracce di Zevon, il nevrotico e spericolato Warren Zevon, songwriter amatissimo e forse sradicato genius loci di una megalopoli regale e torbida: potrei caracollare sfatto per Echo Park, ripercorrendo i passi del ragazzo tossico, scrittore o outlaw che sia, sul punto di annegare in Carmelita, lasciare in pegno la mia intera civiltà al big gorilla dell’L.A. Zoo porgendogli le chiavi dell’auto (della BMW, biemdabliù, per esigenza di rima con zoo), scambiare il mio biglietto aereo al LAX, suggestionato dalla vicinanza delle Hawaii, per unirmi agli ambigui cori degli Hula Hula Boys. Io sono entusiasta di Los Angeles, patria ideale di Warren Zevon, ma in verità questi prelievi mnemonici dalle sue songs sono indizi di un suo rapporto ambiguo con la città alata che sembra accompagnare con scherno i balzi della mia auto dovuti alla ricerca dell’assente pedale della frizione.
Le canzoni alcoliche
Warren Zevon, il ragazzo molto miope dai capelli biondi sporchi, nasce a Chicago nel 1947 da un piccolo scommettitore ebreo di origine ucraina che di cognome fa Zivotofsky, ma viene trasferito dalla madre sulla West Coast fin dall’adolescenza: Fresno, San Pedro, San Francisco, Los Angeles… Nel 1978, agli albori di una carriera irregolare da songwriter per terzi al soldo di David Geffen, di bandleader e session man, licenzia con Werewolves of London una delle sue canzoni più incredibili, capace di farsi largo a sorpresa nella classifica dei singoli (entra nella Top 40 di Billboard: sarà un picco mai più raggiunto): una canzone enigmatica, quasi un nonsense, un piccolo racconto horror per bambini, forse una parodia, forse un messaggio senza chiave, all’ombra di una citazione letteraria – non era Edgar Allan Poe che definì il flâneur “un licantropo inquieto che vaga nella selva sociale” (The Man of the Crowd)? Ho sempre creduto così, anche perché conoscevo a spanne la genesi del track, ma d’improvviso cambio idea. Accetto la versione di brother Jackson, non foss’altro perché quasi per caso è stato il primo a eseguirla in un concerto, pur senza chissà perché l’intenzione di inciderla.
Dunque. Dopo la morte di Zevon nel 2003, Jackson Browne, sodale di una vita, spesso lui stesso citato dal pestifero Warren come licantropo losangeleno nelle versioni live di Werewolves – per esempio in quella raccolta in Stand by the Fire (1980) – si è detto convinto che la canzone descrive un altolocato seduttore a caccia di vecchiette: “It’s about a really well-dressed, ladies’ man, a werewolf preying on little old ladies. In a way it’s the Victorian nightmare, the gigolo thing”. Ecco il ritratto di un debosciato che non ne combina una giusta, gioca nei club malfamati, frequenta le prostitute, dissipa l’eredità di famiglia – che sia un parente stretto dell’excitable boy dell’omonima e coeva canzone?
Producendo nel 1976 il secondo album di Zevon, Browne gli fa escludere proprio i Lupi mannari e l’Excitable Boy, songs già bell’e pronte, per non oscurare – con la loro loudness e il loro giocoso cinismo – Desperados Under The Eaves e The French Inhaler, che hanno molta “qualità letteraria” (J.B. sul libretto di Preludes: The Rare and Unreleased Recordings, 2007).
Desperados Under the Eaves è lodata da Carl Hiaasen, uno degli scrittori amici di Zevon, come “one of the finest, coolest rock songs ever written” (fonte The Guardian). La scena si svolge all’Hollywood Hawaiian Hotel, luogo da cercare non solo su Google Maps. Un uomo alcolizzato e scazzato, che usa il POV di Zevon o viceversa, ha finito di bere caffè. È in un attimo di pausa, libero dai demoni che lo tormentano, e lucidamente li scorge trasferiti nel luogo dove si trova – per capirsi: gli alberi assomigliano a tanti ladri crocifissi. Zevon sa che finirà, secondo una facile profezia di zingara, a bere tutti i salati Margaritas di Los Angeles, conscio che – oppure augurandosi che – “heaven helps the one who leaves”…
The French Inhaler rende pubblica una privata storia di un amore. Nella sua amarezza, coltivata insieme a sarcasmo macho, la canzone contiene un fuck off diretto all’ex compagna, Tule Livingston Dillow (la madre di suo figlio Jordan, nato nel 1969), colpevole di un tradimento postumo con un altro musicista; in filigrana si racconta anche qualcosa che riguarda Norman Mailer e Marilyn Monroe – forse (ma perché poi?) una critica al fatto che Norman fece su Marilyn un brutto libro di fotografie. Le interpretazioni sono libere, meno quella del fuck off svelato da Tule stessa a Jordan Zevon, il quale sul booklet di Preludes esalta il brano: “It is the greatest ex-girlfriend ‘fuck you’ song of all times”. Tule che ha fatto scoprire il pezzo al figlio commenta: “Isn’t that brilliant?”. E il figlio: “She knew he was a genius”.
La nascita di un Werewolf
C’è qualcosa di molto umido che unisce le due canzoni “protette” dall’occhiuto producer Jackson Browne: infatti, anche in The French Inhaler è citato un bar di Hollywood, dove il narratore si troverà, assieme ad altri phonies, a spendere tutti i suoi soldi in alcol… Per avere un’altro sconsolato ma tutto sommato romantico insight del rapporto con Tule, esiste invece Tule’s Blues nel primo album, Wanted Dead or Alive (1970), aggiunto poi come bonus a una riedizione di Excitable Boy.
Comunque. Werewolves of London è nata pressapoco così. Cito da Wikipedia. “Nel 1975 Phil Everly ebbe un’idea folle. La leggenda del rock, meglio conosciuta come la metà di The Everly Brothers, aveva appena visto il film horror del 1935 Werewolf of London e pensava che il titolo e il tema sarebbero stati fantastici per una canzone pop. Everly ha condiviso questo brainstorming con il suo tastierista itinerante, un musicista e cantautore allora sconosciuto di nome Warren Zevon. Insieme agli amici LeRoy Marinell e Waddy Wachtel (a casa del primo, a Venice), Zevon scrive al volo Werewolves of London, un’ode oscura e divertente a un animale che vaga per la capitale inglese, consumando cibo cinese e mutilando donne anziane […] Wachtel inizia a scrivere il testo su un lupo mannaro che mangia carne di manzo da Lee Ho Fook, ristorante cinese di Londra. ‘Ero appena tornato dall’Inghilterra’ dice Wachtel. E sputa il primo verso”. Aggiungo: sembra che sia stata la moglie di Zevon, Crystal Ann Brelsford, sposata nel 1974, a prendere saggiamente nota delle parole, che diversamente sarebbero andate perdute.
Senza un briciolo di verve, ridotta a karaoke song, Werewolves of London è la canzone eseguita dall’attore Adam Sandler nel tributo postumo Enjoy Every Sandwich: the Song of W.Z. (2004). Meno noto il plagio che ne fa nel 1985 Kevin Rowland, leader dei Dexys Midnight Runners, in One of Those Things, usando il giro di accordi dei Lupi mannari e accreditandolo al suo autore solo in un secondo tempo (nella reissue del 1997). Nel 2008, i Werewolves riappaiono nel singolo All Summer Long di Kid Rock, che li mescola per somiglianza di riff con l’anthem sudista Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd: segue grande successo – ed è curioso notare che l’idea a Kid Rock potrebbe arrivare direttamente da Play All Night Long (dall’album Bad Luck Streak in Dancing School, 1980), dove Warren Zevon invita a gran voce a suonare Sweet Home Alabama, canzone di una notoriamente sfortunata dead band. Non trovo altre cover interessanti, da quella mexicana di David Lindley fino a una versione sgasata dei tardi Grateful Dead, finché non incappo su YouTube nell’ululato di David Bowie, già sperimentato in Diamond Dogs.
Morsi di sandwich
Nella canzone, il Werewolf beve una Piña Colada al Trader’s Vic – è un cocktail assai dolce a base di rum chiaro, latte di cocco e succo d’ananas – ma in quel periodo Zevon vive davvero a mollo in super alcolici di meno leziosa composizione. Non riesce a mantenere la promessa di smettere fatta alla moglie Crystal quando nasce la secondogenita Ariel, e non è affatto contento di sé. “From what I know about alcoholism, I’d say there’s nothing romantic, nothing grand, nothing heroic, nothing brave – nothing like that about drinking. It’s a real coward’s death”. Così dice al giornalista e amico Paul Nelson nella famosa intervista a Rolling Stone del 1981. L’anno prima Zevon ha fatto volontaria riabilitazione – non senza spettacolari ricadute – al Pinecrest, una clinica privata di Santa Barbara. Dice a Nelson: “The last time I detoxed, I really thought I was going to die. I had my hand on the phone, I was afraid that I was going to start hallucinating and shooting guns – I didn’t know what was going to happen”. Siamo vicini anzi addirittura dentro a una canzone alla Zevon, nel caso una delle sue big and loud and funny songs, Detox Mansion, che compare su Sentimental Hygiene (1987): guest stars in cameo Liza Minnelli e Liz Taylor. Ma prima di arrivare in rehab dobbiamo fare i conti con la pistola e la “medicina” (Bombay Gin) che compaiono in un track più sarcastico che maledetto del solito secondo album, I’ll Sleep When I’m Dead: “I’ve got a .38 special up on the shelf / I’ll sleep when I’m dead / If I start acting stupid/ I’ll shoot myself”. Per completezza, riguardo le armi citate nell’Lp, segnalo la variante nel testo di Carmelita: il ragazzo in rota d’eroina, per comperare droga, impegna la Smith-Corona; una macchina per scrivere che diventa una Smith & Wesson nella versione di Linda Ronstadt (1977), nel demo recuperato in Preludes e spesso nei live di Zevon.
Sono circa diciassette gli anni di sobrietà – li conto dal 1985 – quando Zevon ricomincia a bere in seguito alla diagnosi del mesothelioma pleurico che lo condanna a morte. È il 2002 e, senza programmarlo, commuove l’America partecipando al David Letterman Show – che cosa è cambiato, gli chiede l’amico e fan Letterman? “You’re reminded to enjoy every sandwich” – Zevon canta al piano con la voce che gli si spezza Mutineer, la canzone che comincia con “Yo ho ho and a bottle of rum”, ma qui l’alcol è soltanto una piratesca citazione letteraria da R.L. Stevenson. Zevon riesce a scrivere e registrare un ultimo disco. La sua canzone d’addio è Keep Me in Your Heart, l’album pieno di amici musicisti si intitola The Wind (2003).
Molto parziali conclusioni
A margine, per gli amanti dei chiaroscuri, la storia del Lupo mannaro Waddy. Nel 1998, Robert Waddy Wachtel, affermato session man e chitarrista per nomi come Linda Ronstadt e i Fleetwood Mac, viene arrestato e messo in libertà vigilata per tre anni dopo aver dichiarato di non contestare il possesso di materiale pedopornografico. A Wachtel è ordinato di fare una donazione di 2.500 dollari a Children of the Night, e di sottoporsi a sei mesi di cure psicologiche. Un’accusa simile contro la moglie di Wachtel, Annie, viene respinta. L’ufficio del procuratore distrettuale afferma che il materiale illecito è stato scoperto dopo che Wachtel ha portato il suo pc a riparare in un negozio.
Conclusione. Dice Warren Zevon nell’intervista con Paul Nelson: “‘They don’t care if you die […] It’s just next week’s issue.’ I looked at those pictures of me that used to be in the bathroom, and there was Jackson and Crystal and John Belushi – all these people – and me standing there looking like a fat clown. I said, ‘You’re not a fucking boy and you’re not a fucking werewolf, you’re a fucking man, and it’s about time you acted like it’”. You’re not a fucking werewolf, già – qualsiasi cosa voglia dire.
Al dunque, nel mio breve pellegrinaggio losangeleno, la caracollante automobile non mi ha condotto nei luoghi zevoniani. Sono stato più semplicemente attratto e distratto dalle “cose” che stavano guardando gli altri, molto note a tutti: lo Chateau Marmont dove è morto Belushi (luogo però che trattiene anche il fantasma di Zevon), il set sulla spiaggia di Santa Monica apparecchiato per le formose bagnine di Bay Watch (ma Pamela Anderson è nel trailer), i disegni degli extraterrestri e gli homeless che ciabattano sulla spiaggia di Venice, la sagoma sinistra della casa di Psycho di Hitchcock e l’ottovolante tra i pupazzi di dinosauri jurassici all’interno del kitsch spettacolare degli studios… Tutto qui. Dopo una giornata da perfetto turista tra le ville di Bel Air, scendo di macchina e mi acquartiero in uno scassato motel di Santa Monica; appena stappo una birra, sento alla radio Warren Zevon che chiama a raduno i Werewolves: “It was midnight in Topanga (non è molto lontano da dove mi trovo, ndr) / I heard the DJ say / There’s a full moon rising / Join me in L.A.” Luna piena! Non dev’essere stata una giornata buona la sua perché Zevon canta anche: “I was at the Tropicana (un altro locale, ndr) / On a dark and sultry day / Had to call someone long distance / I said, Join me in L.A.”
Nella foto in apertura, Warren Zevon nel 1976. (Credit: Trader Vic’s Mai Tai by Sam Howzit is licensed under CC BY 2.0. United Kingdom – England – London – Lee Ho Fook – Miscellenaeous” by CGP Grey is licensed under CC BY 2.0.Late Show with David Letterman, NYC, 11/20/08 – 1 of 7 by goodrob13 is licensed under CC BY 2.0. David Letterman by Alan Light is licensed under CC BY 2.0.)