Nel 1988 c’erano ancora l’Unione Sovietica e il Pci. Noi avevamo più o meno vent’anni, ma se lo racconti a quelli che adesso hanno più o meno vent’anni è come se parlassi del Risorgimento.
Sanremo era, come sempre, Sanremo: e infatti vinse Massimo Ranieri, sgolandosi, con Perdere l’amore, una canzone fatta, con artigiana maestria, proprio per vincere il festival. In gara c’era anche Fiorella Mannoia con Le notti di maggio, un bellissimo brano scritto per lei da Ivano Fossati, perché allora – forse più di adesso – il festival era un incrocio di cose molto diverse e comunque fatte da persone che le sapevano fare. E Luca Barbarossa arrivò terzo con L’amore rubato, una canzone in cui si parlava in maniera piuttosto esplicita di violenza sessuale, un tema che allora faticava a entrare nella comunicazione mainstream.
A me però interessa ricordare un’altra canzone, che ha avuto, comprensibilmente, meno successo: La valle dei Timbales
La presentò un gruppo nato per quell’occasione, I figli di Bubba, e che dopo quel disco si sarebbe sciolto. Il nucleo di quella composita band erano Franz di Cioccio e Mauro Pagani, che era anche l’autore del brano. Intendiamoci: La valle dei Timbales non è Impressioni di settembre, ma, nel suo piccolo, è un capolavoro di armonia e di ironia, che vi invito a riascoltare – se magari l’avete dimenticata – o ad ascoltare per la prima volta – se siete troppo giovani per sapere cosa succedeva quando noi avevamo più o meno vent’anni. Prima di tutto scoprirete che per fare bene i cretini facendo musica bisogna essere bravi e loro erano – e lo sono ancora per fortuna – tra i più bravi a fare musica. Ma soprattutto racconta cos’era quel paese; e cosa sarebbe diventato. La valle dei Timbales è la parodia della perfetta canzonetta per il festival, che suona già “vecchia” nella scelta delle parole e degli accordi, e una caustica presa in giro della società di allora. La canzone è sanremese anche nella censura: all’inizio il testo recita “fanculo all’esclusiva, fanculo alla tivù”, un verso che divenne per le serate televisive “saluti all’esclusiva, saluti alla tivù”, perché c’erano parole che non potevano assolutamente essere dette al festival e su Rai1. Ma durante l’ultima serata Pagani la cantò come doveva essere cantata.
La canzone racconta la storia di uno che fugge dalle ansie di questo mondo – dal “logorio della vita moderna” avrebbe detto qualche anno prima Ernesto Calindri – per rifugiarsi in un fantomatico e lontano paradiso – la valle dei Timbales appunto – tra “peones, marones, salmones, daiquiri e bon bons”, una terra dove la femmina è – o almeno si spera che sia – procace, e vorace. Tra i motivi che spingono l’ignoto protagonista della canzone a lasciare il paese in cui vive c’è “la faccia di Andreotti” e la certezza che nella valle dei Timbales non ci saranno più né il sette e quaranta, né Celentano, né la Carrà.
Trentasei anno dopo non c’è più il sette e quaranta, anche se qualcuno continua a chiamare così la dichiarazione dei redditi, così come allora mio nonno la chiamava ancora “denuncia Vanoni”, dal nome del ministro delle Finanze che riformò il sistema tributario italiano dopo la guerra. La Carrà non c’è più, anzi è diventato il personaggio di un’opera lirica moderna e una sorta di icona della cultura gender. Celentano c’è ancora – e gli auguriamo lunga vita – ma tace. Andreotti non c’è più, ma temo finiremo per rimpiangerlo, perché anche per essere politici disonesti bisogna essere capaci e questi che abbiamo ora… meglio che non ne parliamo.
Tra le cose di cui è sicuro di non sentire la mancanza il nostro amico esule in quel lontano paradiso tropicale, ci sono anche le “lasagne surgelate, la maschera antigas, le ferie intelligenti, la turbo e l’ananas”. Su questo temo sia rimasto deluso. Magari adesso aspiriamo all’auto elettrica e non più al turbo, ma il risultato non cambia. La società dei consumi impera anche e soprattutto laggiù nella valle dei Timbales. Non c’è luogo in cui poter sfuggire. Neppure sulla luna, visto che ormai perfino la Nasa ha appaltato ai privati la corsa allo spazio.
Adesso che non ho più vent’anni e ovviamente non penso più che riuscirò a cambiare il mondo, ho la tentazione di fuggire nella valle dei Timbales. Se non fosse che correrei il rischio di ritrovarmi insieme a migliaia di miei “bravi” connazionali, loro sì davvero voraci, che vanno laggiù per sfogare le loro perversioni sui bambini e le bambine di quel paradiso.
Certo che siamo stati davvero stronzi: a quelli che adesso hanno più o meno vent’anni non abbiamo lasciato né il Pci né la valle dei Timbales.
- Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni). Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale. Per tenersi informati, qui