Mica facile fare gli entomologi, cercare di capire che animale sia Giulio Base, classe 1964, regista, attore, neodirettore del Torino Film Festival 2024. Definire un uomo con una vita che sfugge ai cliché, e che accetta di prendersi in giro: «Ho fatto di tutto, anche le commediacce». Che per insolita passione da biblista, ha deciso addirittura di prendere una seconda laurea in Teologia: «Mi alzavo alle 6 del mattino per andare in Vaticano. Ed eccomi, io e 16 sacerdoti a parlare di patristica, non per entrare nella militia christi, come potrebbe pensare qualcuno, quanto perché mi interessa l’uomo che interpreta la parola di Dio, tra fede e dubbi». Che si ricorda, ovviamente, il primo film visto: «Credo di avere avuto 4 o 5 anni, era Per un pugno di dollari di Sergio Leone, non certo in prima visione perché il film ha esattamente la mia età», e che nel 2008 ha girato un documentario, Cartoline da Roma, con un unico lungo piano sequenza, entrato nel Guinness dei Primati, mentre correva per le strade di una Capitale pigra, stropicciata dall’alba, insieme a Pietro Mennea, Ornella Muti, F. Murray Abraham, Fausto Brizzi. Capito il tipo? No, non è facile incasellare Base.
Quest’anno, ha vinto il Ciak d’oro per il Migliore Film d’Essai con l’ultima pellicola da regista e attore, À la recherche, atipica anche questa. Trama da cinéphile, un uomo (lui) e una donna (Anne Parillaud) che si chiudono in una villa dei castelli romani per scrivere una sceneggiatura tratta da Proust, da proporre al maestro Luchino Visconti.
«Non tradirò la colonna portante del Torino Film Fest, graffiante e cinefila, ma voglio allargare l’offerta», racconta. «Mi interessa sia esclusivo? Sì per quanto riguarda il valore delle opere che proporrò, voglio siano belle da vedere. No, perché partendo dall’etimologia, che contiene il termine ex, ex significa fuori, e io spero invece il contrario, che vengano anche i torinesi che non sono mai venuti, che il mio Festival non escluda nessuno».
Festival pop? Nell’accezione migliore: intanto, Base ci rivela che sono arrivati quasi 1.000 film, rispetto alla media dei 500 del passato. «Anche la retrospettiva che dedicherò a Marlon Brando è popolare. Non mi è sembrato vero ricorresse il centenario di questo grandissimo attore proprio l’anno in cui ho l’onore di dirigere io il Festival. È stato l’uomo che ha cambiato per sempre il concetto di recitazione, incredibilmente moderno nel modo di porsi. Ambientalista ante litteram quando andò a vivere a Tetiaroa, un’isoletta della Polinesia, e si impegnava per il rispetto della natura. Sensibile nei confronti delle minoranze, basti pensare che mandò una nativa americana a ritirare la statuetta del suo Oscar per Il Padrino».
Poi c’è il comitato di selezione: il più vecchio, Davide Abbatescianni, critico, è del 1991; il più giovane, Ludovico Cantisani, già direttore del Balkan Film Festival, è nato nel 2001. Gli altri, Martina Barone, Elvira Del Guercio, Veronica Orciari, Davide Stanzione in media non arrivano ai trent’anni. In Italia, una vera anomalia: «Li ho scelti con molta cura e attenzione, perché già da tempo li seguivo, leggevo quel che pubblicavano. Quando li ho contattati, non se lo aspettavano, proprio perché non appartengono a nessun giro di privilegi».
A occhio e croce, neppure Base, che ci racconta una storia da film: «Mio padre era nato a Napoli, nel 1936. Primo di cinque fratelli, restò orfano a 9 anni e giovanissimo, venne responsabilizzato a occuparsi della famiglia. Smise di studiare, e iniziò a lavorare proprio in un cinema, come venditore di noccioline e di gazzose. Bisogna immaginarsi le sale di quell’epoca, con le prime proiezioni mattutine per gli sfaccendati, poi quelle dove arrivavano i militari che entravano gratis, e la sera, i mariti e le mogli. Mio padre si guardava tutti i film, rapito, più volte. Risultato? Una cultura cinematografica quasi da Grazzini, da Claudio G. Fava! (Giovanni Grazzini, 1925-2001, critico del Corriere della Sera e presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici italiani; Claudio Giorgio Fava, 1929-2014, critico e autore anche per la Rai, ndr). Mi ha trasmesso questa passione, che ho vissuto sempre alla Pessoa, ovvero senza etichette, da sfaccettato. Un rischio che ho corso, che pago anche, ma continuerò a cambiare. Ho scritto la tesi di laurea su Tarantino, amo Fritz Lang e Charlie Chaplin, ma anche Luciano Salce e Fantozzi. Fellini è imprescindibile, Scorsese un maestro. Il film del cuore, immortale, visionario, modernissimo resta Blade Runner di Ridley Scott».