UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Com’è difficile parlare di pace in tempo di guerra

Come si parla di pace? Me lo sto chiedendo da tempo ma non so cosa rispondere… Se discuti di pace, se la invochi, se la pretendi anche, finisci in mezzo a un’altra guerra, quella verbale, dove cerchi di destreggiarti tra due fazioni opposte e spesso rabbiose, dove rischi di essere accusata del peggio: di essere dalla parte di dittatori feroci e di terroristi sanguinari.

Come chiedere pace in un tempo di guerra? Un modo giusto (giusto almeno per me, e profondo) l’ho trovato recentemente nel racconto, nella musica, nel teatro. E lo scrivo qui, mentre spero in una pace che sembra essere sempre più lontana.

***

Sul palco del Salone del Libro di Torino lo scrittore Paolo Giordano racconta cosa ha visto qualche mese fa in Ucraina, dove si era recato per alcuni reportage pubblicati poi sul Corriere della Sera. Accanto a lui, al pianoforte, il cantautore Brunori Sas.

«La mia» dice Giordano «è storia di fatti e di persone. Un semplice attraversamento di esperienze». E poi cita «la canzone di guerra che ritengo più importante», Day after tomorrow di Tom Waits. «In una manciata di versi c’è tutta l’esperienza dei giovani in guerra».

È così dura / ed è così freddo qui / e sono stanco di prendere ordini
Mi manca, non ci crederai / anche spalare la neve e rastrellare le foglie

Oggi compio 21 anni…

Ci riempiono di bugie / a cui tutti credono / su cosa significa essere un soldato
Ancora non so cosa dovrei provare / per il sangue che è stato versato
Chiudo gli occhi / ogni notte / e sogno di poterti stringere…

Brunori San canta E se ci diranno, scritta da Luigi Tenco nel 1967. «Ma così giusta per i ragazzi che vivono in questo nostro tempo inaspettato» spiega.

Noi che abbiamo troppe volte visto ammazzare / Per poi dire troppo tardi che è stato un errore

Noi che non abbiam finito ancora di contare / Quelli che il fanatismo ha fatto eliminare…

Paolo Giordano racconta di Artur, ucraino poco più che ventenne che prima della guerra era stato assunto nell’ufficio stampa di una casa editrice e nel tempo libero scriveva poesie. «La notte dell’invasione russa, il 24 febbraio, Artur aveva pregato a lungo. Durante il giorno aveva fatto volontariato in una parrocchia, ma aveva capito che il volontariato non sarebbe stato sufficiente per lui. Così, all’alba del 25, si era messo in coda per arruolarsi nelle Forze di difesa territoriali. A marzo si addestrava con altri neofiti come lui, usando dei fucili di legno; ad agosto era in Donetsk a scavare trincee».

Un giorno di ottobre Artur stava minando un campo per rallentare l’avanzata dei russi trincerati dalla parte opposta, ma è bloccato dai colpi di un carro armato. A causa delle vibrazioni inizia ad avere dolore alla testa, nausea… Grida che ha bisogno di Doc, il medico. Ma Doc è appena morto, insieme ad altri due. Aveva 52 anni.

Ricorda Giordano: «Artur, insieme al soldato Cola, porta via il corpo di Doc. “Quando l’abbiamo sollevato, mi dice, ho sentito il peso dell’amore che aveva per noi, l’ho sentito fisicamente”. Poi aggiunge: “Era pieno di schegge”».

Giordano Brunori canzoni guerra Salone Libro Torino
Paolo Giordano e Brunori San al Salone del Libro di Torino.

Nei primi otto mesi di guerra Artur non aveva scritto un solo verso, «sembrava non esserci più spazio per cose del genere nella sua vita». Ma quella sera, con la testa rintronata dai colpi di carro armato e il morale al minimo, «butta giù una poesia intera». Che inizia così:

Prima del confine salva questo amore

Che cresce dappertutto come le more selvatiche…

***

Libri al rogo, scrittori e intellettuali messi a tacere, guerre e minacce nucleari.

Sul palco del Teatro Melato di Milano cinque attori del collettivo toscano Sotterraneo (Flavia Comi, Davide Fasano, Fabio Mascagni, Radu Murarasu, Cristiana Tramparulo) portano in scena Il fuoco era la cura, ispirato a Fahrenheit 451, capolavoro dello scrittore statunitense Ray Bradbury pubblicato nel 1953. François Truffaut nel 1966 ne ha fatto un film.

Fahrenheit 451 è un romanzo ambientato in un futuro distopico, nel quale un regime totalitario ha posto al bando i libri e la lettura. E dove i vigili del fuoco, anziché spegnere gli incendi, danno alle fiamme i volumi e anche chi si ostina a non rinunciare alla sua biblioteca. Il racconto segue la progressiva presa di coscienza del protagonista, il pompiere Guy Montag, inizialmente convinto del proprio ruolo, ma a poco a poco – anche grazie all’incontro con la giovane dissidente Clarisse – sempre più critico nei confronti del regime. Mentre una comunità clandestina, le persone-libro, si impegna a imparare a memoria i grandi classici della letteratura mondiale, per salvarli dall’oblio e tramandarli alle generazioni future.

I cinque attori si chiedono – insieme al pubblico e attraverso il linguaggio teatrale – dove si annidino nel nostro presente i rischi di possibili derive totalitarie.

Il fuoco era la cura Fahrenheit
Una scena dello spettacolo Il fuoco era la cura @MasiarPasquali

«Il libro è uscito più di 70 anni fa» spiegano «ma è ambientato nel futuro, cioè negli anni ’20 del ventunesimo secolo, cioè oggi. E tu, che stai leggendo ora questo testo, ti chiedi: Bradbury si è sbagliato? Oppure è un allarme sul presente che continua a rinnovarsi?».

Perché è un’apocalisse quella descritta da Bradbury: si parla delle “fatwe” virtuali lanciate contro gli scrittori che si tramutano in linciaggi. Si immaginano test volontari per valutare le conoscenze degli elettori europei con risultati miserabili e ininfluenti sulla politica della UE. Si ritrae un 2050 in cui musei e biblioteche sono scomparsi e gli spettacoli sono stati rimpiazzati da numeri di “clown bianchi” che dominano la tv e i teatri, entertainment allo stato puro, sostituzione di ogni opera creativa con la barbarie della distrazione sistematica…

E si vive sotto la minaccia di un conflitto nucleare: la gente smette spontaneamente di leggere perché l’inconsapevolezza è più rassicurante. Qualcosa che ha un sapore fin troppo attuale, purtroppo.

Proprio l’ultima battuta dello spettacolo racconta di un’esplosione, di una luce fortissima e di una guerra che inizia – e finisce – nello stesso istante.

La domanda che ci si pone tutti, al termine, è: se Bradbury si fosse sbagliato solo di qualche anno, se Fahrenheit 451 accadesse davvero, noi cosa faremmo?

***

Come si racconta una guerra? Avevo scritto su questo dieci anni fa, guardando il collegamento da Gaza di Wael Al Dahdouh, un giornalista della tv Al Jazeera, che raccontava la strage di Sajaya, quartiere periferico di Gaza da dove secondo Israele sarebbero partiti i razzi palestinesi contro Tel Aviv e altre città. Mentre parlava dei morti in un bombardamento lungo 14 ore, e dei sopravvissuti che fuggivano a migliaia nelle strade con le mani alzate sventolando bandiere bianche, Wael si è messo a piangere.

Ecco cos’è la guerra, ho pensato.

Credit foto in apertura: “Air Force family adopts child from Ukraine” by DVIDSHUB is licensed under CC BY 2.0.

I social: