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Allonsanfàn
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Nella notte del nazismo. Gli impiegati di Kracauer e l’Hitler di Fest

Iniziamo parlando di un lunapark. Scrive Siegfried Kracauer ne Gli impiegati, dove scandaglia l’inedita classe media, né borghese né proletaria, che sarà sedotta dall’incantatore nazista: “I giochi d’acqua [di un lunapark] assomigliano alla vita di molti impiegati. [Questa vita] si salva dalla sua povertà con la distrazione, si fa illuminare dai bengala e si dissolve nel vuoto notturno immemore della propria origine” – Einaudi pubblica il libro nel 1980, mezzo secolo esatto dopo l’originale.

Se Thomas Mann ha raccontato il crollo della borghesia, Kracauer, sceso di uno scalino, inquadra il disagio della classe emergente nella Germania degli anni Venti, una classe di salariati che, per paradosso, richiedono consumi culturali ma poi non sanno elaborare un pensiero sulla propria condizione.

Siegfried Kracauer (1889-1966)

La notte al lunapark richiama alla mente altri fuochi sinistri. La glamourizzazione della morte, che Adolf Hitler media da Richard Wagner, va di pari passo con la predilezione del Führer per le grandi adunate notturne, epiche e lugubri, svolte in un buio rischiarato dalle fiaccole. Nella notte, scoppiano fuochi d’artificio che riproducono l’effigie del dittatore sempre impegnato a studiare l’immagine vincente di sé. Il ricco docu del 1977, Hitler: una carriera, di Joachim Fest e Christian Herrendoerfer, visibile su Netflix, riprende immagini de Il trionfo della volontà (Triumph des Willens), famigerato film di propaganda del 1935, diretto da Leni Riefenstahl. È significativo che Hitler ami arrivare dall’alto, come accade qui al convegno di Norimberga, in aeroplano, scendendo con i suoi fedeli sgherri da un cielo che gli impiegati non hanno quasi il coraggio di guardare.

Scrive infatti Kracauer: “La massa degli impiegati si distingue dal proletariato perché è spiritualmente senza tetto. Per il momento non sa trovare la strada che lo porti tra i compagni, e la casa dei concetti e sentimenti borghesi che aveva abitato finora è crollata, poiché lo sviluppo economico l’ha privata delle sue fondamenta. Al presente vive senza una dottrina su cui poter alzare gli occhi, senza uno scopo da poter interrogare. Vive dunque nella paura di alzare gli occhi e di interrogarsi fino in fondo”.

Questa mancanza di domicilio sembra perseguitare paradossalmente anche l’Hitler indagato da Fest – il difetto del famoso storico e biografo è sempre e semmai quello di attribuire a un uomo solo, per quanto carismatico, l’avventura più nefasta del Novecento. Comunque: il Führer di Fest vive come un artista vagabondo, che crea e rafforza la propria identità esponendosi costantemente al giudizio plaudente della folla. Hitler progetta architetture straordinarie per l’intera Germania con l’imaginifico e fedele architetto Albert Speer, eppure non ha lui stesso una dimora. Forse la possiede, prima che nel bunker, quando si ritira al Berghof tra le montagne la cui vista lo ispira – ed ecco nel docu le peraltro squallide riprese a colori con Eva Braun e i gerarchi in visita. La grande scrivania di Hitler e la sala delle riunioni, nel monumentale e quasi tombale nuovo palazzo della Cancelleria, progettato da Speer, vanno sempre deserti.

La ricerca sul campo per Gli impiegati mette in secondo piano anche nella testa di Kracauer Georg (Einaudi 1985): è un romanzo incredibilmente misconosciuto, complesso e sofisticato nella forma – un flusso di coscienza dominato in terza persona con l’apparire di correlativi oggettivi espressi dai personaggi manco fossero ectoplasmi di medium -, Georg che è insieme un’educazione sentimentale e uno studio sociale sulla Repubblica di Weimar. Kracauer lo termina nel 1934 ma – nel mondo culturale che accoglie distrattamente la polimorfia intellettuale del tedesco – viene pubblicato postumo in Germania soltanto nel 1977.

Georg – sorta di alter ego goethiano che Kracauer intende superare senza pagare lo scotto romantico e tragico del suicidio – cresce da giornalista in erba e poi ribelle in giornate prive di verità o almeno di un credibile e accettabile scopo – giornate fatte di grandi ideali appena evocati, di visite a dubbi maestri e di articoli goffi e indecisi (pacifismo o no? Cattolicesimo o no?), tra processi di cronaca nera a mostri persino noiosi e raduni cui partecipa una folla di personaggi in preda a insicurezza e confusione.

Nel capitolo quarto, siamo nella redazione di un quotidiano radicale, il Morgenbote, dove Georg ha cominciato a pubblicare i suoi articoli. I cinici giornalisti e i sussiegosi correttori di bozze smontano e scompaiono uno a uno bofonchiando i propri mali e le proprie incertezza. “In fondo al corridoio arde una piccola fiammella”. Niente fuochi artificiali.

La fiammella, così come i fiammiferi venduti nella stupenda pagina finale da un mendicante travolto dalla folla veloce e stolida degli impiegati-formiche che invadono il  Kurfürstendamm, non reca luce (speranza?) alcuna: forse serve soltanto a far stagliare sui muri del romanzo le sagome di questi uomini inconcludenti, quasi fossimo nel bianco e nero spettrale di un film espressionista.

Siegfried Kracauer, allievo di Simmel, sodale di Benjamín, poi tramite Adorno vicino alla Scuola di Francoforte, è stato un grandissimo scrittore, sociologo e architetto ma pure uno studioso e critico di cinema. Si dovrebbe trovare ancora in traduzione italiana Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco (Mondadori 1954, Lindau 2001), dove il cinema di Weimar è trattato, arbitrariamente ma genialmente, come il realistico specchio della Germania in cui Hitler ascende al potere.

Seguendo Simmel via Marx, Kracauer stima che si possa giungere alle più profonde correnti dell’anima attraverso i più triviali e superficiali elementi di un’arte popolare. Donde il ritratto di Kracauer lasciatoci da Benjamín: lo descrive acutamente come “uno straccivendolo [che] all’alba raccoglie con il suo bastone brandelli di discorsi e frammenti verbali e li getta, borbottando e ringhiando, un po’ ubriaco, nel suo carro, non senza lasciare che uno o l’altro di quei resti di cotone sbiadito – ‘umanità’, ‘interiorità’ o ‘assimilazione’ – svolazzino derisi nel vento (trad. dall’inglese mia)”.

Gli impiegati di Siegfried Kracauer sono stati ristampati da Meltemi nel 2020.

Nella foto in apertura, La Cattedrale di luce (Lichtdom) progettata da Albert Speer per il Raduno di Norimberga del 1936.

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