Edgar Allan Poe (1809-1849) è uno scrittore moderno perché concepisce racconti da leggere in modalità “one session”, tutti in una volta, forse assecondando il veloce ritmo dei tempi nuovi – quelli individuati dallo scrittore quasi medianicamente ne L’uomo della folla. Detto a un livello meno prosaico: il racconto, così come una poesia, per Poe dev’essere breve – non bisogna impiegare più di un’ora a terminarlo – altrimenti perderemmo l’unità dell’effetto che ci viene servita.
Nello spettacolare saccheggio che di Edgar Allan Poe è stato fatto per trasferire i suoi tales su uno schermo cinematografico o dentro un televisore, brilla il controsenso di aver dovuto allungare i racconti a dismisura, e sceneggiarli, spiegando o inventando di sana pianta sul tema.
Oltre il tempo, gli spazi. Nessun trasloco mediatico può ricostruire oggi le architetture fantastiche descritte da Poe, così essenziali e arcane, perfette per ambientare e insieme annientare la nostra nullità di uomini atterriti. Penso alla maestosa dimora in rovina dentro la quale è maturata la disgrazia del febbricitante Roderick Usher, ai saloni dai diversi colori e arredati nel lusso dal gaudente e orgoglioso Prospero ne La maschera della morte rossa, oppure alla cella buia, e nelle prime pagine così buia da essere indescrivibile dall’eretico prigioniero, de Il pozzo e il pendolo…
Dicevamo. Sono spazi immaginari e necessari per circoscrivere e rilanciare quasi vivessero di vita propria la paura dei protagonisti – essendo poi la più temibile morte quella di venire seppelliti vivi tra le strette assi di una bara, come crede per un momento il terrorizzato narratore de Il pozzo e il pendolo, e come confermato in altre storie da incubo.
Di fronte a queste sofisticate coordinate temporali e spaziali in cui si inscrive il Poe autentico, il Poe rifatto diventa la baracconata medioevale di Roger Corman che gira un improbabile Settimo Sigillo appendendolo ai baffi di Vincent Price (La maschera della morte rossa) o si snoda oggi voluttuosamente nella tecnologica normalità di montaggio del nostro tv dinner, in una serie venduta come il best of dello scrittore ma che al meglio prende qua e là da Poe qualche nome e qualche superficiale spunto.
Quello che manca e mancherà sempre a ogni remake visivo, per quanto nobile, è il posto materiale dove si svolgono i racconti, che è la carta, pronta a chiamare la nostra attenzione (e la nostra spaventata collaborazione) mentre voltiamo le pagine e ogni tanto guardiamo l’orologio che segna il tempo necessario a entrare e uscire, magari all’ultima riga (e per fortuna!), da una storia.
La caduta della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher) è una miniserie tv in onda su Netflix, l’ha ideata l’esperto Mike Flanagan. Ogni puntata dovrebbe rifarsi a un racconto o a una poesia di Edgar Allan Poe, e collegarlo con il filo conduttore del disastro degli Usher, diventati qui la dinastia industriale farmaceutica del brand Fortunato (!?!). Tra i tales citati: La maschera della morte rossa (trasformato in un rave party che richiama Carrie lo sguardo di Satana), I delitti della Rue Morgue (non si capisce dove stia nascosto il primate assassino), Il gatto nero (trasformato in una belva assassina), Il cuore rivelatore, Lo scarabeo d’oro, Il pozzo e il pendolo (eccetera eccetera)… Si può vedere, e divertirsi, ma non cercateci davvero Poe – per quello sono meglio e più fedeli le stringate e popolari riduzioni a fumetti di Zio Tibia–Uncle Creepy.
(Credit: Edgar Allan Poe restored & reframed by Laurel L. Russwurm is marked with CC0 1.0. Edgar Allan Poe Statue by mkfeeney is licensed under CC BY 2.0.)