Siamo nel 1974, Anna Maria Ortese abita murata con la sorella in un buco di due stanze, un pianoterra a Montemario. Campa con una pensione di 72.000 lire, è malata infelice sfiduciata riguardo la sua carriera di scrittrice, non legge, esce poco, per angoscia dorme vestita, si ritira in uno strampalato “rifugio afonico” che si è costruita per sfuggire il chiasso dei vicini. All’amica Helle, racconta i suoi guai con la cupezza irredimibile e quasi sprezzante di chi ha tratto un bilancio finale.
Con Helle Busacca, benestante amica dalle non riconosciute velleità letterarie, Ortese tiene contatti via lettera dal lontano 1938 e da lei accetta pacchi dono e vestiti, ringrazia cerimoniosamente per una vestaglia celeste quasi nuova, ma restituisce risoluta il denaro. Il denaro, la sua mancanza, la diffidenza e il disgusto verso di esso sono uno degli argomenti ricorrenti nelle lettere. Siamo nel 1974, Ortese è una scrittrice sfinita, che si ritiene derisa dalle 1.ooo copie vendute per libro: manca pressapoco un anno all’uscita di Il porto di Toledo e alla riedizione in veste economica de Il mare non bagna Napoli…
Sto leggendo le ultime pagine dell’epistolario Ama ciò che ti tortura – Lettere a Helle (1938-1974), pubblicato da De Piante, e lo faccio come se si trattasse di una lunga nota a piè di pagina a una o più opere di Anna Maria Ortese nelle quali, nascosta o travisata, è sempre presente una consistente dose di autobiografia.
Queste Lettere a Helle si devono al gusto dell’indagine e all’intraprendenza di uno scrittore e giornalista, Dario Biagi, che curando questo piccolo e prezioso libro ha reso evidente prima agli studiosi e poi ai curiosi un fatto inconfutabile: l’universo di Anna Maria Ortese è tuttora un continente largamente inesplorato (e spesso travisato).
Per esempio. Biagi ha scovato le lettere inedite a Helle seppellite in un archivio pubblico di Firenze e, insieme alle frasi secche e spesso apodittiche di quest’infelice e fiera Ortese privata, si è imbattuto in sei racconti inediti e non censiti della scrittrice, pubblicati sul settimanale Grazia – il più interessante dei quali, almeno ai fini biografici, sembra essere Finestra illuminata.
Lo racconta Biagi nella sua introduzione che ha un notevole punto di forza (possiamo pure chiamarlo scoop): l’individuazione del reale modello per il personaggio chiamato Giovanni Conra o Maestro d’Armi o D’Orgaz in quel diario cifrato che è Il porto di Toledo. L’uomo così amato da Ortese – e poi, sia detto per inciso, anche da Helle – non è come da vulgata il vecchio maestro, cioè il canuto Massimo Bontempelli, ma il ben più prestante Corrado Pavolini, uomo dallo scuro fascino etrusco, critico scrittore fratello del potente gerarca Alessandro – nella realtà, Pavolini si nega con un certo imbarazzo, avendo tra l’altro famiglia.
Comunque: “Amore non è che incantesimo, Helle, incantesimo, magia, luce di nulla fatta, costruzione sul nulla” (lettera del 6 dicembre 1941), scrive crudelmente Anna Maria a Helle, essendo con ogni evidenza risentita poiché l’amica ha seguito in amore le sue orme, soggiogata dal carisma di P., e per di più le ha chiesto consiglio. Proprio l’amore, nelle sue possibilità e impossibilità, in ogni accezione, fino al vagheggiamento di una sorta di masochistico ascetismo, è il più bruciante dei leitmotiv nel romanzo di queste missive, ed è in qualche modo legato al costante pensiero dello scrivere, condiviso dalle due corrispondenti, pur se non è mai chiaro il credito artistico che Anna Maria, sempre in una posizione dominante, concede a Helle. Ebbene, per semplificare che cosa pensa Ortese del fatidico binomio: “…l’arte è un fatto personalissimo di cui noi soli, se ammessi, possiamo essere il re. La vita è necessariamente diversissima e contrarissima all’arte…” (lettera del 29 aprile 1940). Quale di queste due affermazioni dell’infelice Anna Maria verrà davvero smentita?
Ora, però, aspettiamo ulteriori ricognizioni nel continente Ortese, mentre poniamo Ama ciò che ti tortura a fianco di un altro epistolario appena edito, quello delle lettere a Mattia, Vera gioia è vestita di dolore, uscito quest’anno per Adelphi.
Nella foto in alto. Edvard Munch, La ragazza alla finestra (1893), part.