Sono rimaste famose quelle fotografie di Nick Drake scattate da Keith Morris, tanto che molti anni dopo Autumn DeWilde cercò di rifarle simili con un altro songwriter tormentato, Elliott Smith.
Io sono superstizioso: quelle foto, pur così belle – era lui, Drake, molto bello e insieme così aristocraticamente stupefatto, distaccato dal mondo che gli correva stupidamente davanti – non portarono fortuna, né a Nick né a Elliott, però fecero da subito “icona”. Divennero parte del “mito”.
Il 19 giugno 2024 Nick Drake avrebbe compiuto 76 anni (addirittura!), ma non importa più fare di conto, il tempo per il sofisticato songwriter inglese si è fermato, si è rotto, il 25 novembre 1974.
Drake morì a casa dei suoi, a Tanworth-in-Arden nel Warwickshire, per overdose di amitriptilina, un antidepressivo triciclico allora assai comune, commercializzato col nome di Laroxyl – se non l’avete mai preso voi, magari l’ha adoperato vostro cugino, sembra che Drake abbia esagerato, ma chissà poi se lo fece apposta oppure no…
Nick Drake ci ha lasciato la miseria (cioè lo splendore) di tre dischi incisi per la Island Records. Sotto contratto a vent’anni, appena uscito da Cambridge, nel 1969 pubblicò il suo album di debutto, Five Leaves Left, dove già era chiaro che i sabati di sole non erano fatti per lui. Nel 1972, uscirono due altri lp, Bryter Layter e Pink Moon. Non vendettero quasi niente, ma per (nostra) fortuna, dopo la morte del musicista l’Island li tenne in catalogo.
L’ultima immagine – non l’immaginetta dei dubbi eroi rock morti giovani – che ho di Drake è quella di un ragazzo sull’orlo di un abisso, che registra Pink Moon, il suo scheggiato ed enigmatico capolavoro, forse un cifrato testamento.
Lo incise in due notti agli studi Sound Techniques di Londra, in spettrale e astrale solitudine, come ha raccontato l’unico testimone, l’ingegnere del suono John Wood, che in quelle session lunari, da one take, guardava suonare Nick con occhio quasi paterno – andate a cercare il bel docu ND Songs in a Conversation di Giorgio Testi.
Ai tempi, Drake non voleva neanche più suonare live, era impacciato dai laboriosi cambi di accordatura richiesti dai suoi brani, né desiderava concedere niente al pubblico – per esempio, considerava un traditore il sodale John Martyn perché usava per la chitarra diavolerie elettriche. “Because he had gone electric and was using pedals and things”.
Già. John e Nick, due tipi così diversi, erano legati da amicizia e forse da un bond segreto: Drake era la “dark shadow” di Martyn, la vulnerabilità che John nascondeva e lasciava intravvedere semmai nelle canzoni. C’era di sicuro rivalità tra i due – John ammirava l’impeccabile tecnica chitarristica di Nick, la perfezione quasi senza sforzo, più in generale gli invidiava il côté borghese da cui proveniva… Comunque. La celebre canzone che Martyn dedicò a Drake, Solid Air, è il riconoscimento di un legame forte, dell’eccezionalità dell’amico, e forse un invito impotente a un ragazzo che sta per scomparire nella depressione – Drake pare che abbia trovato la dedica intrusiva, quel “ti seguirò” addirittura minaccioso…
Non tutti lo sanno: c’è un’ultima canzone di Drake che si aggiunge al pugno di tracks che conosciamo. Riemerge dieci anni fa nel 2014 in un album, The Phoenix and the Turtle, firmato da Beverley Martyn, vedova di John. La canzone si intitola Reckless Lady e non è stata creata con arti magiche, collegandosi con l’aldilà. Iniziata poco prima della morte di Drake, venne finita da Beverley decenni dopo… Beverley la incise apposta con un arrangiamento orchestrale che ricorda quelli di Robert Kirby – avete presente il cello in The Thoughts of Mary Jane o gli archi sontuosi di River Man?
Beverley raccontò di Nick: “He was the most introverted character I’ve ever met. Locked in. Sometimes he’d talk, sometimes he’d have a cup of tea and hold it for three hours looking out at sea. I think he felt safe with me, and I tried to take care of him”. Quando tutti e tre gli amici abitavano vicino al mare, Nick sedeva in spiaggia lontano da tutto, era una sorta di “messiah” che non predica, oppure un gatto che si fa i fatti suoi.
Preferisco chiudere il giorno di questo mancato compleanno parlando della “luna rosa”, l’estremo lascito. Metto sul giradischi Pink Moon un’altra volta, l’ennesima, come facevo da ragazzo quando bigiavo scuola e stavo seduto per terra coi miei compagni di classe a casa di Pipa. Chissà che stavolta la “luna rosa” possa finalmente spiegarsi, farsi capire almeno un po’.
26 minuti e 30 di musica suonata dal solo Nick, pezzi brevi o brevissimi, da 3 minuti e 23 a uno e 18, a uno, quasi frammenti, uniti da quel binomio voce chitarra così particolare. essenziale nella poetica di Drake: se ne può isolare la traccia sul mixer anche nei due album precedenti, azzerare il resto e poi forse è lo stesso – a patto, invece, e chissà perché, di non togliere alla canzone Pink Moon la piccola cascata di note di piano sovraincise dallo stesso Drake nelle notti dell’ottobre 1971.
Pink Moon affronta il presagio di una futura catastrofe nel track omonimo – “La luna rosa vi prenderà tutti” -, si volge in Place To Be a guardare a ritroso le illusioni del passato, affronta il moncone di strada di Road dove ricompare significativamente la dualità Luna-Sole (e l’io di Drake appartiene alle suggestioni della Luna) auspicando un viaggio alla scoperta di sé fino ad arrivare alla prima vera canzone d’amore del disco, Which Will, o più propriamente alla prima canzone “sull’ansia d’amore” – la love song vera è Free Ride anche se biograficamente infelice. Drake sfida poi la nostra comprensione con quella specie di monolite che è Horn o con una citazione blues da Robert Johnson, manifesta in Know, affascinante quanto più il solitario ragazzo inglese ha vissuto lontano dal mitico Delta…
Tutto il disco è concepito come un “abbozzo”, e il “non finito” è la forma di perfezione scelta da Drake, forse l’unica che gli era concessa. La stessa Pink Moon è una “canzone interrotta” dove la nota più bassa, grave, di un ritornello che non ritorna – poiché eseguito una volta sola! – è quasi imprendibile da Drake. Quel “pink moon” estremo, dove la voce si sfalda, si disgrega, è forse il presagio di un dramma… – ringrazio per questa lettura del disco il musicologo Ennio Speranza, autore del fondamentale ND e Pink Moon. Una disgregazione (Galaad).
“Pink moon gonna get ye all”, e scusaci, Nick, se ti abbiamo trattato sempre come un geniale fratello maggiore, un mago introverso o un abbagliante crazy diamond, e mai come un ragazzo che abitava all’inferno.
Nella foto di apertura, una foto di Keith Morris, per visitare il suo sito, qui