Vito Giusto Scozzari e Frederick Paul Draper II sono quasi coetanei. Il primo è nato a San Francisco il 26 gennaio 1918, mentre il secondo a Chester, in Pennsylvania, il 2 settembre 1923.
Vito ha il teatro nel sangue. Ha trascorso i primi anni di vita a Napoli, dove i suoi genitori hanno deciso di tornare prima di trasferirsi definitivamente in America, questa volta a New York, quando lui ha sette anni. La madre recita in italiano a teatro per le famiglie degli emigranti e presto il bambino sale sul palcoscenico: prima solo per qualche comparsata e via via recita le prime battute. Fa il mimo, il giocoliere, il mago, quello che serve in quegli spettacoli popolari. Si fa chiamare Vito Scotti, perché è più facile da pronunciare rispetto al suo vero cognome.
Frederick invece non è figlio d’arte, ma, visti i suoi scarsi successi scolastici, pensa di poter diventare un attore: sempre meglio che lavorare. E poi così può trasferirsi a New York e iscriversi all’American Academy of Dramatic Arts, una scuola in cui ci sono molte belle ragazze. Fred non ha tutti i torti: in quegli anni frequentano l’istituto al 120 di Madison Avenue Grace Kelly e Anne Bancroft.
Dopo una lunga gavetta a Broadway Vito, come tutti i giovani attori di belle speranze, va a Hollywood. Nel 1949 ottiene la sua prima, piccolissima, parte – quella di un bandito messicano – in Illegal Entry, un film sul problema dei cittadini messicani che tentano di entrare negli Stati Uniti e sono vittime dei trafficanti, di qua e di là del confine: cose che succedevano in quel paese settant’anni fa. E così Vito Scotti comincia una carriera che terminerà cinquant’anni e duecento ruoli dopo, tra cinema e televisione. Naturalmente per lo più interpreta personaggi in cui deve fare l’“italiano”, come in Life with Luigi, ma è stato anche un medico russo, un marinaio giapponese e un venditore ambulante emigrato dall’India. Molti dei film in cui è apparso – diverse volte, specialmente all’inizio della carriera, senza essere accreditato – non sono proprio memorabili – anche se nel 1972 è Nazorine nel Padrino di Francis Ford Coppola – ma alcuni continuano a passare in televisione con successo. Vito dà il meglio nelle commedie: nel 1968 in How Sweet It Is! – incomprensibilmente tradotto in Italia come Uffa papà quanto rompi – è il cuoco che bacia l’ombelico di Debbie Reynolds. E un anno dopo è l’attempato latin lover spagnolo che tenta, senza riuscirci, di sedurre Ingrid Bergman in Fiore di cactus. Nel 1970 è sua la voce di Peppo, il gatto italiano che suona la concertina in quella vera e propria “internazionale” del jazz messa insieme da Scat Cat sui tetti di Parigi negli Aristogatti. Vito è un artigiano del cinema, uno dei tanti che hanno reso grande Hollywood.
Mentre frequenta i corsi dell’American Academy Fred divide una stanza con un altro studente, un ragazzo di sei anni più giovane di lui, i cui genitori sono arrivati in America dalla Grecia settentrionale e che dimostra subito un discreto talento, ma anche una notevole indisciplina. John Cassavetes vuole recitare e soprattutto vuole fare i suoi film, ma al di fuori degli studios e delle loro “regole”. John lavora in televisione, è il protagonista della serie Johnny Staccato, un detective privato che è anche un pianista jazz nei locali del Greenwich. In un episodio della serie recita anche Vito Scotti. Con i soldi che guadagna in televisione Cassavetes realizza i suoi primi film, Ombre – che ottiene un premio al Festival di Venezia del 1959 – e Blues di mezzanotte. Anche Fred lavora in televisione, qualche piccola parte, per lo più non accreditata. A metà degli anni Sessanta è il barista in sei episodi di Peyton Place. John realizza quasi tutti i suoi film coinvolgendo un gruppo fidato di amici, Ben Gazzara, Seymour Cassel, Peter Falk. Naturalmente si ricorda anche del suo vecchio compagno di stanza al Greenwich, che è diventato un buon attore, e così Fred recita in cinque film diretti da John: Gli esclusi del 1963, con Judy Garland e Burt Lancaster, Volti del 1968, Mariti del 1970, Una moglie e La sera della prima, la cui protagonista è Gena Rowlands, che John ha conosciuto ai tempi dell’Academy e che è diventata sua moglie nel 1954. Dopo questo film, che è del 1977, Fred Draper decide di ritirarsi a Rancho Cucamonga, vicino a San Bernardino. È soddisfatto della sua carriera, delle poche cose che ha fatto, di quell’avventura cominciata per caso.
Si conoscevano Vito e Fred? Non credo fossero amici, probabilmente Fred non è mai stato invitato a una delle famose cene organizzate a casa sua da Vito, che era un ottimo cuoco e che si divertiva a preparare i piatti della tradizione italiana, seguendo le ricette che gli aveva lasciato sua nonna. Ma certamente si conoscevano: dopotutto Hollywood era una piccola città. Forse hanno già lavorato insieme – ma, visto che spesso i loro nomi non comparivano nei titoli, neppure di questo siamo sicuri – quando nell’estate del 1974 si ritrovano entrambi sul set di Negative Reaction, il secondo episodio della quarta stagione di Colombo, il ventisettesimo della serie, in Italia conosciuto con il titolo Una mossa sbagliata. Il regista è Alf Kjellin, che nella sua lunga carriera ha diretto decine di telefilm, da Il dottor Kildare a Dynasty, da Bonanza a La famiglia Bradford. La sceneggiatura è di Peter S. Fisher, che oltre ad aver scritto diversi episodi di questa serie destinata a diventare un vero e proprio cult, sarà lo sceneggiatore di quasi tutti gli episodi di Ellery Queen e uno dei creatori di La signora in giallo. Il “cattivo”, come avviene spesso negli episodi di Colombo, è un grande dello spettacolo, Dick Van Dyke, che qui sfoggia una bella barba grigia. Van Dyke interpreta il fotografo vincitore del premio Pulitzer Paul Galesko che, dopo averne inscenato il rapimento, uccide la moglie Frances – interpretata da Antoinette Bower, un’altra “veterana” del genere – e poi l’ex galeotto che l’ha aiutato e a cui cerca di addossare la colpa dell’omicidio di Frances. Nel corso dell’indagine il tenente Colombo si imbatte in un possibile testimone del secondo delitto, un barbone che però confessa che in quel momento era troppo ubriaco per ricordare qualcosa di quello che è avvenuto a pochi metri da lui, se non gli spari. Quel barbone, che pure dimostra una certa cultura e forse nasconde un passato misterioso, è Vito Scotti, in una delle scene più divertenti dell’episodio, perché quando Colombo va nella missione per interrogarlo, la suora, visto il suo impermeabile, lo scambia per uno dei senzatetto che si ritrovano lì all’ora di pranzo e gli dà un piatto di zuppa di manzo. In un’altra scena, Colombo chiede informazioni a un tecnico di laboratorio e quel collega della scientifica è Fred Draper.
Vito e Fred negli anni Settanta appaiono rispettivamente in cinque e sei differenti episodi di Colombo, interpretando ogni volta un personaggio diverso. Oltre al barbone di Una mossa sbagliata, Vito è un sollecito maitre di un ristorante di lusso che Colombo mette in difficoltà con le sue richieste di vini pregiati in L’uomo dell’anno, in cui l’assassino è Donald Pleasance, il grande attore inglese che sarà il primo interprete di Ernst Stavro Blofeld, il capo della Spectre. Poi Vito è un sarto snob in Candidato per il crimine, con il “cattivo” Jackie Cooper, da bambino una delle Simpatiche canaglie delle comiche di Hal Roach. Poi un impresario di pompe funebri in Il canto del cigno, con Johnny Cash che uccide Ida Lupino; questa scena, assolutamente inutile nell’economia del racconto è un pezzo di bravura di Falk e Scotti, da vedere e rivedere. E ancora un produttore di uva, ovviamente di origini italiane, in Doppio gioco, in cui Patrick McGoohan uccide Leslie Nielsen. E sempre il suo personaggio permette a Peter Falk e agli autori di Colombo di creare una di quelle gag che hanno caratterizzato quella serie e hanno reso così popolare quel personaggio.
Fred, arrivato direttamente dalla “banda” Cassavetes, oltre al tecnico di laboratorio dell’episodio con Van Dyke, è un tassista in Incidente premeditato. È il dottor Murcheson, un chimico di grande talento, ma con il vizio dell’alcol che crea una portentosa crema di bellezza di cui dimentica la formula e che rimane fedele alla donna di cui è da sempre perdutamente innamorato, la proprietaria di una fabbrica di cosmetici, in Bella, ma letale. E questa “cattiva” è la sempre affascinante Vera Miles, una delle bellezze che Fred sognava di incontrare ai tempi della scuola. In Testimone di se stesso Fred fa uno dei suoi piccoli ruoli, ma partecipa a uno dei finali più belli di tutta la serie. Il dottor Marcus Collier – un subdolo George Hamilton – ha ucciso il marito della donna di cui è l’analista e l’amante. Fuggendo dalla scena del crimine per poco non investe un cieco che, guidato dal suo cane, passeggia lungo la strada, davanti alla casa dove è avvenuto il delitto. Colombo per incastrare il dottore organizza un confronto tra Collier e un presunto testimone, ma invece dell’uomo cieco fa accomodare il fratello, interpretato appunto da Fred Draper. A questo punto Collier si tradisce: accusa Colombo di aver organizzato una messinscena, perché sa che quell’uomo non può averlo visto. Ma se lui sa che è cieco, significa che era lì al momento del delitto, cosa che ha sempre negato: e così un cieco diventa, seppur indirettamente, il testimone oculare che incastra il colpevole. Poi Fred è Joseph, un attore scalcinato, in Ciak si uccide in cui l’assassino è il capitano Kirk, in un momento di “vacanza” dal comando dell’Enterprise. Infine a Fred tocca l’onore di essere un “cattivo” in L’ultimo saluto al commodoro, un episodio della serie che ha un andamento diverso da quello solito.
Noi spettatori pensiamo che l’assassino sia Robert Vaughn – da giovane uno dei Magnifici sette, ma poi un “cattivo” di tanti telefilm – e assistiamo alle indagini di Colombo cercando di capire come lo smaschererà. Ma quando anche lui viene ucciso, allora la storia cambia completamente e il tenente scopre l’assassino dopo aver riunito tutti gli indiziati, tra cui il vecchio avvocato interpretato dal grande Wilfrid Hyde-White, il colonnello Pickering di My Fair Lady, nella stanza dove è avvenuto il primo omicidio, come Poirot o Ellery Queen, ma rimanendo sempre Colombo. E l’assassino è proprio il nostro Fred Draper, che interpreta Swanny Swanson. E il tenente lo incastra con uno dei suoi soliti trucchi: solo lui poteva sapere che l’orologio del commodoro non poteva funzionare. E così il vecchio Fred si toglie la soddisfazione di essere un assassino di Colombo, come lo è stato il suo amico John in Concerto con delitto.
Credo che anche Vito Scotti avrebbe meritato questo onore. Comunque quando la serie viene ripresa alla fine degli anni Ottanta, nel primo episodio, intitolato Autoritratto di un assassino, Peter Falk vuole che ci sia anche Scotti, che così raggiunge le sei partecipazioni. È Vito, il proprietario di un bar in cui si svolgono diverse scene e, ancora una volta il vecchio attore regala una bella interpretazione.
Forse il vecchio Stanislavskij o forse qualcun altro ha detto:
Ricorda: non ci sono piccole parti, solo piccoli attori.
Ricordatelo anche voi quando leggete i titoli di coda. The end
- Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni). Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale. Per tenersi informati, qui