“Se fossi stato capace di parlare di me alle donne che mi hanno amato, forse avrei pensato meno a me stesso. Forse il mio cuore ora non sarebbe una grossa varice piena di sangue nero e velenoso. Parlare! Sì, ma quando?” (pag. 158).
Tempo di guerra. Il debole e colto pianista Gervais, protetto e quasi istigato dall’amico Bernard, ricco e rozzo commerciante, scappa da un campo tedesco e si trova a scambiare rocambolescamente la sua identità con quella del volitivo sodale.
Raggiunta Lione, rimarrà prigioniero – da solo e sotto falso nome – di due sorelle, una zitella smunta forse in cerca di marito e una ragazza nevrotica che si spaccia per veggente (o lo è per davvero?). Qui si troverà a giocare la partita della vita per trovare la pace che non ha mai avuto oppure per dire la verità che non ha mai confessato neanche a se stesso…
Commedia nera come la pece, romanzo noir come pochi, Le lupe (Adelphi, traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala), è chiuso claustrofobicamente in un mistero che sembra insolubile, da spaccare il cervello – credo capiti in tutti i romanzi, che sono più di una trentina, della premiata ditta Boileau e Narcejac. I due prediligono enigmi centrati su una fissazione di cui ci nascondono, sino al colpo di scena finale, se sia realtà o delirio: vedi al proposito I diabolici, I volti dell’ombra, La donna che visse due volte, per nominare tre famosi titoli precedenti a questo Les Louves che è del 1955. Tra i centrini da tavola e i piccoli grandi imbrogli della minuta borghesia francese, si scopre che è un bene aver ridato lustro ai due prolifici scrittori, per me capaci di battersi alla pari con il Simenon dei romanzi duri.
Ecco. Volevo scrivere che Boileau e Narcejac sono autori di romanzi da treno – non per niente qualcosa di loro è apparso in edicola nel Giallo Mondadori – ma non è una diminutio, anzi: garantiscono il miglior passatempo per chi si rifugia nelle loro pagine avvincenti. Mentre leggiamo siamo anche noi prigionieri come Gervais-Bernard pure se – si spera – non vigliacchi, irrisolti, disonesti, falsi furbi come lui…
Noto anche che, nei romanzi e nella realtà, il ritorno dalla guerra è il momento ideale per il tema dello scambio d’identità. Forse perché è un tempo che contiene più di altri il sogno di ripartire da capo, la possibilità di diventare “altri da sé”, dopo che certe distanze sembrano inaspettatamente cadute: in fondo, ricchi e poveri per una volta sono stati davvero vicini, mescolando il loro sangue nella carneficina della battaglia.
Ho appena letto Io? di Peter Flamm (Adelphi) e ricordato il celebre caso italiano di Bruneri e Canella – nel caso, si trattava della prima guerra mondiale. Che sia la seconda conta per Le Lupe perché i quesiti riguardo l’identità – è il tema principe di Boileau e Narcejac che ha affascinato e reso richieste le loro trame da giganti di un cinema sofisticato e popolare come Hitchcock e Clouzot – si mescolano con comportamenti sessuali e spunti esistenzialisti che sono nell’aria degli anni Cinquanta.
“…a dire la verità mi erano sempre piaciute le maschere, i travestimenti, tutto ciò che esalta il banale gusto delle emozioni e accende l’immaginazione, la stimola, la eccita. A volte, prima di sedermi al pianoforte, indossavo uno dei vestiti di scena di mia madre”. Chiudo citando un rivelatore passo molto freudiano e insolitamente pacifico del molto cupo racconto (pag. 37).
Sarà capace Gervais-Bernard di risolvere, insieme a una serie di misteri, il suo problema bipolare di acquiescenza-ribellione violenta con le donne, le lupe, e di compiere il suo difficile riscatto?
Nella foto, dalla copertina Hands, Hands, Hands, 1941, di Horst P. Horst, part. (Courtesy Horst estate)