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Allonsanfàn
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Gli indesiderabili. Lo sgombro del Bâtiment 5 di Parigi

È sicura ed efficace la scena d’apertura, che si svolge in ambienti in rovina, muri sporchi, macchie d’umidità. È morta una vecchia, una fiera matriarca, e la famiglia che la veglia porta per le scale la cassa fino in strada. L’ascensore è rotto. Un minuto dopo, il sindaco del comprensorio, munito di fascia tricolore, muore d’infarto dopo aver dato il via al grande botto che distrugge un casermone, colossale esempio di edilizia sociale…

Dopo il successo de I Miserabili, il regista francese Ladj Ly riparte da capo: firma il secondo lungometraggio, Gli indesiderabili (Bâtiment 5), senza staccarsi dalla comunità della periferia parigina. Ladj Ly conosce per via biografica il Bâtiment 5 attorno a cui si polarizza il film e che spiace un po’ non ritrovare nel titolo italiano, il quale sembrerebbe giocato tra il giornalistico e la categoria moraviana – apprendo però, mentre come al solito mi lamento, che il film aveva incominciato la sua vita chiamandosi Les Indésirables anche in patria. Mi scuso.

Se ne I miserabili Ladj Ly affrontava la questione del comportamento della polizia, e nello specifico della BAC (Brigata Anti-Criminalità), qui prosegue “il discorso politico sul difficile rapporto delle comunità periferiche con le istituzioni, esplorando il tema dell’edilizia abitativa, portando l’attenzione sugli sfratti imposti ai residenti dei quartieri popolari, vittime delle riqualificazioni urbana” – così recita la schedina del film che in qualche modo “mente”.

Nel senso che non ci troviamo in un’opera, sospesa e meticcia tra fiction e docu, né in qualcosa che assomigli a un trattato di sociologia – non aspettatevi nemmeno un rigoroso film alla Stéphane Brizé –ma anzi, come si intuisce da subito, avremo “molto spettacolo”. Ci attende un film tutto sommato tradizionale in cui i personaggi fondamentali esemplificano ciascuno una delle forze in campo, e ciascuno dei comprimari è diversamente sito nella carta geografica che ha per polo i due protagonisti – non siamo dalle parti del realismo figurale quanto piuttosto in quello dgli individui trasformati in mere funzioni storiche alla romanzo di Ken Follett. Comunque. I due poli della vicenda sono Haby (Anta Diaw), giovane donna impegnata nella vita della comunità, e il grigio sindaco Pierre Forges (Alexis Manenti): pediatra prestato alla politica, succeduto al maire defunto, è abbastanza cinico e menefreghista – ma forse è solo uno dei tanti ipocriti benpensanti senza cuore – per comandare la demolizione dell’isolato dov’è nata Haby.

Dicevamo. Lo scontro narrativamente personalizzato, come da racconto popolare e didattico, rende Bâtiment 5 scorrevole e emotivo, se non capace di emozionare. Non a caso il film si chiude, in chiasmo con l’incipit  funerario, con una drammatica sequenza che coinvolge un’altra famiglia, una famiglia borghese, sotto un incongruo albero di Natale.

Ma Bâtiment 5 è ben fatto, ben confezionato, a onta di qualche banalizzazione dovuta alla sceneggiatura e al bisogno di render chiaro (spettacolarizzandolo) l’oscuro, indigna il giusto, intrattiene e persino diverte – chissà se in Italia, quei sepolcri imbiancati dei giornalisti di destra, nascosti dietro gli slogan dei loro “giornalini”, parlandone, riusciranno a tirare in ballo Ilaria Salis e ad applaudire il sindaco insensibile (o soltanto “responsabile”). Ma poi: viva la France.

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