Leggo uno dei romanzi dell’estate, Paradiso di Michele Masneri, e mi chiedo: ma ha ancora senso, cioè quale senso ha nel 2024, scrivere un romanzo sui dubbi fasti di Roma caput mundi o capoccia che sia e intanto mitizzarla, smitizzarla, sfotterla o lodarla? Non è un quesito retorico, in fondo al post rispondo, e la risposta credo sia semplice. Ma intanto proseguiamo a domandare.
E dunque: che senso ha scrivere il suddetto romanzo nel caso il protagonista sia uno sfigato giornalista milanese, un free lance di lombarda acribia sguinzagliato a caccia di un fantomatico regista scazzato – autore di un titolo già cult, America Latrina, titolo peraltro da Call My Agent ennesima stagione e preso di peso ai due ben noti gemelli trash – e inciampato subito, il milanese senz’ombra di budget, cioè pagato niente, poiché tra l’altro il giornalismo è morto, altro che Il Mondo di Pannunzio e compagnia scrivente, in uno sfaccendato e leggendario fannullone della Capitale, un Virgilio della sòla munito di Rolls Royce, tal Barry Volpicelli il quale, anche nel nome, ricorda e probabilmente prende in giro salendogli in spalla, non si capisce subito se da gigante o da nano, tal Jeb Gambardella. Punto di domanda.
Sia detto per inciso. Prima di indossare a sua volta la “maschera mortuaria romana” e porsi in catatonico sonno creativo, Volpicelli avrebbe naturalmente scritto un indimenticato libro, ispiratogli da una gioventù Beat in California. Del resto, l’America è per lui un “paese tribale […] passato dalla barbarie alla decadenza senza mai essere borghese”, mentre a Roma la mediocre paura del confronto soffoca ogni entusiasmo, anzi lo punisce – si sta “col calicino in mano, tra le rovine”. C’è “il cast fisso tra le rovine”.
Ma procediamo. Il giornalista milanese, che tra l’altro si chiama Federico Desideri (nomen omen), finito in un pranzo di zombie assortiti al sole di Sabaudia, tra gente che disquisisce di preti eccentrici e di docu mai girati su Antonioni, a un tratto si sente proprio tanto come Roberto Mariani scaricato e abbandonato lì da Bruno Cortona – e allora, dunque: riecco la commedia all’italiana nella corsia del Sorpasso, tra la Dolce Vita e la grande bouffe sorrentiniana, con estri circensi di ballerine ed elefanti, e il solito marziano di Flaiano munito d’aforisma d’ordinanza. È acquattato anche lui dietro la Gran Beltà dei ruderi che ha fatto da defibrillatore felliniano a una città eterna ma per ossimoro specchiata nel Verano (il cimitero vero, non quello di Shelley e delle rockstar estere), che… – e qui metteteci voi un motto di spirito tratto dal romanzo quasi saggio, nell’accezione di libro narrativamente molto giornalistico ma forse desiderante attestarsi come potente e svelto (sono 187 pagine) collettore di luoghi comuni secondo il magistero arbasiniano. Io ho scelto il seguente: Roma è una città che figurati se usa la schwa, non avendo mai imparato a scrivere nemmeno sauté (di cozze).
Comunque, continuando pigramente e a strappi, Volpicelli conduce Desideri in un luogo da favolaccia al contrario: “il Paradiso, immenso compound di ville e bungalow sgarrupati sul litorale laziale, dove vive in compagnia di un ristretto gruppo di vecchi freak amabili e strampalati” (dalla scheda di lettura). Segue sfilata dei medesimi caratteri. Dove sembra a tratti di ripassare il bestiario di uno stagionato “enigma in luogo di mare” di Fruttero & Lucentini – poiché anch’essi eccelsi luogocomunisti – oppure visi e corpi da casting di un Arbore Doc, quando faceva la raccolta delle figurine birichine (pardon, se ho usato anch’io un aggettivo arbasiniano) de “Le facce di Fellini”.
Comunque. Leggetelo se non l’avete già letto o già visto: Paradiso è griffato Adelphi, che pubblica di rado autori italiani vivi e spiritosi, alive and kicking, non appartenenti al banco dei Gloriosi Letterati Surgelati, ovvero i nostri Grandi Irregolari. L’ha scritto, Paradiso, Michele Masneri, bravo giornalista flâneur, in forza a Il Foglio. Ha già firmato per la maison Calasso un umorale reportage americano, ma qui lo prendo arbitrariamente, secondo un consolidato snobismo, come fosse autore di un “libro unico”. Per saperne di più su Masneri e sul romanzo, è ottima l’intervista di Malcom Pagani, ex direttore di Vanity Fair, apparsa su U, diretto dall’ex direttore di Vogue Emanuele Farneti. Per dire: altro che Comic Sans, la rivistella senza soldi eppure di prestigio per cui si arrabatta Desideri. Ma a guardar bene, ripartendo proprio da qui, il romanzo di Masneri si rivela un divertissement realisticamente tarocco e quindi assai iperrealista e metaletterario (dobbiamo citare tra l’altro, essendo Masneri un cultore di Arbasino, se non Fratelli d’Italia, il Super-Eliogabalo?). Se pure esistesse, Comic Sans, consentirebbe mai di fare tre ore di treno per Roma a un imbranato, senza che abbia insegnato niente al direttore Salvatore il comodo giornalismo da remoto tipo lockdown? E poi non bastava scrivere una mail, come si fa ormai da sempre, con le domande di rito per il regista irrintracciabile?
Comunque. Ogni infima promessa è debito. Do la mia risposta, facile facile e senza neanche citare zio Starobinski, sul senso sopra questionato di Paradiso: ma sì, tutto questo rimasticamento Kitsch della Capitale e dei suoi miti anche collaterali, con tutte le contumelie affettuose che si merita, con il Volpicelli che fa addirittura il Manuel Fantoni, ha senso perché, noi milanesi almeno (Masneri è un milanese di Brescia), di Roma, di un’idea di Roma, di quella immaginata (“la dolce vita non è mai esistita”, sentenzia il sòla Barry) e soprattutto di quella trasfigurata dall’invenzione – mica della Garbatella di Giorgia e camerati affini -, abbiamo sempre un’enorme invidia e un’irresistibile nostalgia.
(Credit: As Anita Ekberg” by estrelas e limóns is licensed under CC BY 2.0.)