Una stanza buia. I suoni fanno silenzio, nessuno canta. I sapori si spengono, e così i desideri. Gli occhi non vedono e, se anche ci fosse luce, sfuggirebbero al mondo cercando un punto cieco.
La ferita mi segue ovunque.
E ovunque mi prende.
Nella notte è nebbia che brucia
più forte di me.
Si allunga. Mi spinge sempre nel mio buio.
Così inizia la storia che incontrerete nel libro Quando ci scopriremo poeti nessuno potrà prenderci di Chicca Gagliardo, da poco uscito per Hacca edizioni.
Ed è in questo tempo senza niente che qualcosa comincia a succede.
Non un silenzio muto, un silenzio nuovo che sta per aprirsi
Ecco un fremito, il suono di un battito d’ali che arriva da chissà dove, un raggio di sole che riesce a superare imposte e finestre chiuse. È un invito: “Vieni?”. E Gagliardo ha l’energia, trova lo slancio per accettare. Prima piccoli passi, in ascolto. Poi uno più ampio, e un altro ancora, il vento a favore, gli incontri esatti benché casuali, un coccio di vetro che non vuole tagliarci, una piuma che ci ricorda che possiamo volare.
E noi, insieme all’autrice, pagina dopo pagina cominciamo a camminare. Iniziamo un viaggio in cui la voce narrante è neutra – la voce di chi non cede al timore di abbandonare le sovrastrutture che illudono di proteggere quando invece appesantiscono – e l’immaginazione è una guida.
L’emozione nella lettura subito ci raggiunge, non tanto per la trama ma per la vita che si dispiega piano piano davanti a noi, l’impossibile diviene familiare, piccole meraviglie appaiono.
Chi ascolta la musica del silenzio vedrà
l’apertura che rivela: non c’è notte
ma luce che avvolge la notte.
Nel sempre – per sempre – non c’è buio.
Queste rivelazioni minime – ma potenti -, Gagliardo le condivide con noi attraverso le parole, certo, ma anche grazie alle immagini: tra le pagine troverete fotografie di riflessi, crepe, pietre che sembrano farfalle, pozzanghere cuori, cielo e terra. Vi troverete a sfogliare un album di famiglia i cui componenti sono scaglie di mondo che ci parlano, suggeriscono la strada, ci fanno sentire parte di un tutto più ampio. Ascoltiamo un concerto.
L’album è quello dell’autrice, certo, ma chiunque può incontrare questi segni nel suo quotidiano, tentativi del cosmo di raccontarci di più. Il libro di Chicca Gagliardo è anche un suggerimento a cambiare punto di vista, provare a spostarlo, anche solo per gioco.
Ed ecco che arriva il plurale del titolo.
Scoprirmi poeta.
“Poeti: è plurale”
La condivisione nel racconto è centrale: e se ciascuno di noi custodisce dentro di sé una bellezza che nessuno potrà annullare sarà la comunione di queste bellezze a renderci più agili nello sfuggire al buio, alla mancanza di senso, a ricucire le ferite.
Mi sono chiesta chi sia quel “nessuno” o meglio quel “qualcuno” intenzionato a catturarci: le risposte purtroppo sono molteplici, ma credo che non si esauriscano in un mondo esterno a noi stessi. Forse la poesia condivisa, lo sguardo capace di cogliere altro ci permette di sfuggire anche a quella voce interiore che, facendosi quintessenza di esperienze cupe, tra passato, fatiche sociali e identitarie, ci tiranneggia.
Basta una nota per scoprire il cielo.
Il libro di Chicca è il ritorno da un viaggio e, per chi lo legge, una partenza.
È un libro di note e poesia, un libro spartito, un libro fisico in cui il mondo ci parla attraverso le frasi, le immagini e lo spazio vuoto della pagina. Un libro di silenzi e di piccole epifanie in cui la vita parla alla vita. Anzi alle vite.