Hiroko Oyamada è un’autrice che sa trasformare la quotidianità, le esperienze che molti di noi vivono, in narrazioni surreali che ondeggiano sulla soglia del perturbante.
Grazie al suo approccio riesce a far emergere le problematiche del contemporaneo in un modo unico, che non offre soluzioni, suggerendo piuttosto interpretazioni, spunti e visioni.
Nata nel 1983 a Hiroshima, attraverso la scrittura, Oyamada esplora e affronta temi legati all’alienazione, alla frustrazione derivante dal mondo del lavoro, e in generale ai rapporti tra individuo e società.
In Italia sono già usciti i romanzi La fabbrica e La buca, ed è stato appena pubblicato, sempre per Neri Pozza e tradotto come i precedenti da Gianluca Coci, Donnole in soffitta, volume che raccoglie tre racconti interconnessi.
Le storie hanno lo stesso narratore, un uomo senza nome, sposato, e altri due personaggi fissi, più o meno presenti, che sono la moglie del protagonista e Saiki, suo amico dai tempi del college. Le vite e gli avvenimenti si intrecciano, in Lutto in famiglia leggiamo di una serata che il narratore ha trascorso con Saiki e il suo amico Urabe: quest’ultimo li ha invitati nel suo appartamento, sopra al suo ex negozio di pesci tropicali, dove vive con la moglie molto più giovane e la loro bambina, nata da poco. In Fino all’ultima donnola incontriamo numerosi mustelidi che infestano, come veri e propri spiriti inquieti, la casa di campagna in cui Saiki si è appena trasferito con sua moglie Yoko. E infine, in Una notte da Yukiko veniamo sorpresi da una tempesta di neve che costringe il narratore e sua moglie ad attendere il giorno successivo nella casa di Saiki e Yoko: la coppia ha appena avuto una bambina, Yukiko.
Protagonisti di queste tre storie, oltre – anzi accanto – agli umani, sono gli animali, sempre presenti nei lavori di Oyamada. Nella Fabbrica abbiamo nutrie dal dorso grigio che costruiscono le loro tane nei canali di scolo dello stabilimento; lucertole lavatrici il cui habitat è l’edificio lavanderia della fabbrica, dove mangiano insetti, residui di detergente, filamenti di tessuto e depongono le uova molto vicino agli elettrodomestici industriali; grandi pennuti – una specie tutta particolare di cormorani dal corpo interamente nero, becco e zampe compresi – che sembrano non morire mai né riprodursi, sebbene il loro numero continui a crescere. Nella Buca incontriamo cicale, cavallette, piccole vite, e poi un animale nero non meglio identificato, delle dimensioni di un grosso cane, zampe pelose e robuste nella parte superiore e sottili come un fuscello in quella inferiore, una lunga coda un po’ ricurva e orecchie tonde.
Creature quasi fantastiche o comunque segnate da stranezze e anomalie si accompagnano a quelle che invece esistono davvero. E la precisione tassonomica, quando presente, riguarda tanto le une quanto le altre, creando anche in questo caso un affascinante dissesto dei confini.
Nel lavoro di Oyamada la vita degli animali, governata dagli istinti, si fa talvolta specchio delle relazioni tra esseri umani oppure reagente, innesco. Gli animali custodiscono sempre il loro mistero, un mistero che attira l’uomo. Famiglie di donnole che infestano una casa come spettri impossibili da debellare, pesci che nonostante depongano tante uova non danno origine a una buona prole.
«Funziona un po’ allo stesso modo anche per noi esseri umani, no?» disse poi Urabe, alzandosi e avvicinandosi alla vasca dei giovani discus con la tazza di sake in mano. «Noi ci conosciamo a scuola, al lavoro, o magari in un negozio. Dovunque sia, ci ritroviamo nel mezzo di un gruppo di nostri simili più che altro per caso. E spesse volte, all’interno di quel gruppo, individuiamo il nostro compagno o la nostra compagna. Se fossimo in un gruppo diverso, finiremmo per imbatterci in altre persone e dunque in compagni e compagne diversi, no? Ma non riflettiamo quasi mai su questo genere di fatti, lasciando che le cose semplicemente accadano […]»
In questi racconti il focus è sulla genitorialità, sulla procreazione, sulla maternità. In Giappone, anche visto il continuo calo della popolazione, la mancanza di figli e i timori per la fertilità sono temi oggi centrali. Oyamada affianca le fatiche degli esseri umani, i dubbi, le incertezze sulla questione, all’istintualità degli animali creando una miriade di spunti di riflessione sui ruoli tradizionali imposti dalla società e il conformismo con il suo carico immane.
È interessante che l’autrice, per raccontare le tre storie, abbia adottato la prospettiva di un uomo: grazie a questa scelta relativa alla voce narrante, Oyamada riesce a mantenere la giusta distanza emotiva, creando un personaggio che spesso sembra non sentirsi davvero coinvolto e responsabile per quanto riguarda le scelte riproduttive della coppia.
Anche il folklore è presente sottotraccia nei racconti dell’autrice: sì, perché in Giappone le donnole, come i più famosi cani procioni e le volpi, sono presenti in fiabe e leggende in qualità di animali dai poteri soprannaturali. Per esempio, c’è una storia che Oyamada mi ha raccontato nel corso di un recente incontro a Bologna: si narra di un villaggio di pescatori in cui si era soliti preparare grandi ceste di tempura, il cibo preferito dalle donnole, e sistemarli vicino al molo. Con il calare delle tenebre, i mustelidi si sarebbero avidamente nutriti delle pietanze fritte e in cambio avrebbero fatto trovare un ricco pescato.
Donnole in soffitta è un trittico: storie brevi che possono vivere autonomamente ma che lette in sequenza si completano e arricchiscono. La consuetudine trascolora, l’immaginazione si impone e i ruoli poi cambiano di nuovo, in un continuo e coinvolgente spostamento di piani. La realtà è apparente e le possibilità sono infinite. Straordinarie.
- L’ultimo libro di Francesca Scotti è Shimaguni. Atlante narrato delle isole del Giappone. Illustrazioni di Uragami Kazuhisa (Bompiani)