Nel 2004, anno in cui è ambientato Iddu – L’ultimo padrino, il super latitante e ultimo dei grandi capi mafia, Matteo Messina Denaro, legge molto per vincere la noia, prigioniero di se stesso nel doppio fondo di una casa siciliana, e scambia con l’esterno, per trasmettere i suoi comandi, “pizzini” evoluti, quasi letterari.
Il politico in disgrazia Catello Palumbo, appena uscito dal carcere con il rossiccio riporto irto e sbiancato, sarà costretto a vendere Matteo, che è il suo figlioccio, incalzato da una poliziotta sveglia e ossessiva. La tattica di Catello: dare vita a uno scaltro scambio epistolare con il latitante, sfruttando il vuoto emotivo in cui si trova il mafioso.
Detto così, sembra materiale per una commedia (pur se nera), anche se Messina Denaro con i morti che ha fatto – così si vantava prima della latitanza – poteva riempirci un cimitero privato. Commedia, dicevo: infatti un tono garbato e leggermente parodistico regge le mosse di Catello, il personaggio immaginario interpretato da Toni Servillo, il quale per gioia o per sventura degli spettatori porta sempre nei film il suo consueto e collaudato personaggio. Mentre il dramma appartiene tutto a un feroce e emotivamente atmosferico Elio Germano che, da quando non è più ragazzo, cerca per sfida i ruoli più difformi dai suoi antichi cliché. I due registri, così incarnati, dovrebbero fondersi, almeno nelle intenzioni dei registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, giunti a compimento di una trilogia di mafia incominciata con Salvo e proseguita con Sicilian Ghost Story.
Hanno dichiarato Grassadonia e Piazza: “C’è una corrispondenza in termini strutturali, tematici, sensoriali, cromatici fra l’evoluzione della messinscena di Catello e l’evoluzione della messinscena di Matteo. Un travaso fra i loro due mondi dettato dallo scambio epistolare. Un progressivo ricongiungimento dei due diversi toni di messinscena che ritma in una progressiva accelerazione l’intreccio della storia, lega il destino dei due protagonisti e sugella il finale nel quale Catello finisce inesorabilmente intrappolato nella stessa dimensione mortifera di Matteo”. Detto bene: a onta della molto ambiziosa scelta narrativa, il meccanismo di Iddu per larghi tratti funziona su queste coordinate e dà piena ragione ai due cineasti. Applausi, quindi, per un film che fa a meno delle baracconate dei soliti mafia movie e dribla tutte le Sicilie macchiettstiche o da barzelletta grottesca alla Cinico tv.