Il dramma dell’esodo forzato degli italiani di Istria e Dalmazia. Un passo di storia ancora contestato e complicato da raccontare. Simone Cristicchi lo sta portando nei teatri da dieci anni con lo spettacolo Magazzino 18. Il debutto nel 2014 al Politeama Rossetti di Trieste, oltre 500 le repliche. E se ora Magazzino 18 è sempre accompagnato dalla partecipazione e dal calore del pubblico (così è accaduto anche recentemente al Teatro Strehler di Milano), all’inizio è stato tutto parecchio difficile. Racconta Cristicchi in un’intervista: «I primi tre anni ho lavorato in teatri presidiati dalle forze dell’ordine, nel timore che qualcuno andasse sopra le righe. La Digos diramava comunicati e c’era la bonifica degli spazi prima del mio arrivo, un intervento di tipo militare. Qualcosa di surreale e inquietante. Poi la cosa è sfumata, come se si fosse piano piano capita la reale natura del progetto».
Magazzino 18 veniva contestato perché tratta di un fatto storico «che divide in maniera forte anche gli studiosi e che a teatro assume ulteriori sfumature emotive. Il vero fenomeno in discussione è quello delle foibe, che non trova una lettura univoca nemmeno sui numeri. Ma lo spettacolo nasce solo dalla volontà di ridare dignità alle vittime, alle persone. E, soprattutto, di provare a interpretare gli eventi in chiave più spirituale, alzando lo sguardo».
Non uno spettacolo di destra, come era stato definito «ma super partes. Gli spettatori non escono da teatro con un’idea politica ma con uno stato emotivo, una maggiore coscienza storica».
Cristicchi, con la regia di Antonio Calenda, racconta con parole e musiche il destino di quasi 300 mila persone che, dopo la tragedia delle foibe, affrontarono l’esodo dalle loro terre a seguito del Trattato di Pace di Parigi del 1947 che, alla fine della seconda guerra mondiale, stabilì il distacco dall’Italia dei territori dell’Istria, di Fiume e di Zara che furono annesse alla Jugoslavia di Tito.
Il magazzino 18 esiste davvero, grande oltre 2 mila metri quadrati si trova al Porto Vecchio di Trieste: raccoglie le cose che le famiglie di esuli portarono via dalle loro case, in attesa di riprendersi le loro vite, e che, invece, rimasero immagazzinate in un “non luogo” dell’anima e della Storia. Partirono con davanti a loro difficoltà, paura, insicurezza, e tanta nostalgia. Molti andarono all’estero, altri a Trieste, altri in tutta Italia.
Nelle due ore di monologo Cristicchi racconta di chi venne gettato nelle foibe, delle violenze atroci subite da tanti, del trattamento dei profughi istriani in Italia stipati in baracche in cui qualcuno trascorse oltre dieci anni, dei circa 2mila operai comunisti di Monfalcone che, dopo essersi trasferiti in Jugoslavia, subirono nel 1948 la “rieducazione” nell’isola di Goli Otok voluta da Tito. Lo fa vestendo i panni di un archivista (il Persichetti) parecchio ignorante che viene mandato da Roma 70 anni dopo quei fatti per fare l’inventario e che, poco per volta, prende coscienza di quanto è accaduto.
Un testo teatrale scritto dal cantautore romano e da Jan Bernas per raccontare una storia che raccontare non è davvero facile. Cristicchi lo fa intrecciando documentazione storica, sensibilità, poesia. E dando vita a un musical civile nel quale ricorda che esiste un undicesimo comandamento: non dimenticare.
Magazzino 18, di Simone Cristicchi Jan Bernas, regia Antonio Calenda, con la partecipazione del coro Mitici Angioletti di Maria Francesca Polli. Coproduzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Corvino Produzioni
credit foto: Simone Di Luca