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Allonsanfàn
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Inganno. L’amore maturo nel fotoromanzo di Corsicato

Che cosa accade quando un affermato regista, anziano ma ancora cool, uno che ha sempre scherzato in carriera con le storie d’amore pop e appassionate, più che sovente in versione queer, firma una mini serie per Netflix in cui, cercando di sopravvivere alla vetustà della trama, ricalca l’arte del fotoromanzo con un linguaggio sottilmente e consapevolmente esagerato, piuttosto Kitsch insomma?

Non accade niente di buono, stavolta, o forse addirittura un melodrammatico pasticcio – di certo per povertà di mezzi più che per rozzezza d’animo e mancanza d’espressione della troupe – il che è avvertibile anche solo fermandosi sul lettering banalmente incendiario del titolo: Inganno (a sorpresa senza punto esclamativo).

La storia. Un’albergatrice di una certa età, anzi una splendida anziana che sta riattando un gioiello dell’hotellerie su una costiera da sogno – hotel inquadrato a mo’ di stacco narrativo come una casa di bambola in un’immagine tipo rendering, che forse mira a ammiccare alla disinvolta finzione del tutto – l’albergatrice, dicevo, che si chiama Gabriella, si innamora di una sorta di tronista, pardon di una giovane canaglia, di nome Elia, che approda al porto lì vicino, con barca, jeep e un passato all’estero di indovinabile mistero. Il che scatena lo sgomento codino e vilmente interessato dei figli e dell’ex marito di Gabriella, cui la signora presenta il bellimbusto dopo avergli sciaguratamente donato, tra brividi e patemi, il corpo non più tonico (e per forza), poi la sua anima, e poi pure il Patek Philippe che apparteneva al padre (googlate per conoscerne grosso modo il valore).

Il “chi è davvero lui” riguardante il giovane Elia (Giacomo Gianniotti), che nelle prime tranche del racconto è caratterizzato dallo sfilarsi in un solo e risoluto gesto il maglione portato a pelle, sembra già risolto alla fine del secondo episodio, ma per quel tempo abbiamo già sofferto abbastanza per Gabriella alias Monica Guerritore, che ripete con coraggio a sessant’anni le pose dei film erotico-soft di quando andava per la trentina, a metà circa degli anni Ottanta (ricordate i patinati, come si diceva allora, Fotografando Patrizia e Scandalosa Giulia?).

Pappi Corsicato, il regista napoletano colpevole del pasticcio, imbeccato da un team formato da Teresa Ciabatti, Eleonora Ciampelli, Flaminia Grassi e Michela Straniero, è riuscito comunque a far recitare male anche Guerritore, mattatrice overproduced anche perché interpreta il personaggio di spicco che deve tenere assieme una sgangherata combriccola di figurine appena ritagliate da un ideale vecchio numero di Grand Hotel – qui poi il Grand Hotel, non per caso, c’è davvero…

Se dico che affonda nella rada davanti all’albergo o in piscina pure Guerritore, forse pecco di ageismoforma di discriminazione basata sull’età, che consiste nel trattare in modo ingiusto o pregiudizievole una persona o un gruppo di persone in base all’età, sia che si tratti di giovani o di anziani (e in effetti tratto male anche Gianniotti) – o più semplicemente esprimo un’ingenerosa disumanità da spettatore deluso. Tengo, però, a evidenziare il ridicolo delle recenti pagine di giornalini e giornaloni: hanno fatto sacrosanti pezzi pensosi firmati pure da vetero e neo femministe sulla liceità dell’amore tra corpi invecchiati. E ci mancherebbe. Ma si sono dimenticati tutti di scrivere che questa sgangherata storia amorosa, nonostante alcune correzioni Lgtb con cui Corsicato cerca di riprendere ispirazione, nonostante un doppio fondo freudiano e un finale che si vorrebbe controcorrente (per questo, dovete arrivare almeno all’episodio cinque, su sei che sono), non rende un gran servizio a una buona causa, facendo spesso più involontariamente sorridere che riflettere.

Tra laltro: Inganno si basa sulla mini serie britannica Gold Digger che ricordo, e non per esterofilia, di un’altra levatura: per la cronaca, laggiù sulle scogliere a picco sul mare i protagonisti erano Julia Ormond e Ben Barnes.

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