È da vedere, perché intelligente e persino molto godibile a dispetto della “trama”, The Apprentice, che per la distribuzione negli Stati Unti si è addirittura affidato a una campagna Kickstarter.
Il film è stato osteggiato perché danneggerebbe, proprio nei giorni imminenti il voto, Donald Trump, commettendo “malicious defamation”, esprimendo “election interference by Hollywood elites”, le consuete elites invise ai ferventi complottisti, e meritando quindi di finire, non visto, “in a dumpster fire”.
Così si è espresso l’entourage del candidato repubblicano all’indomani della proiezione del film biografico (film di fiction, non docu) di Ali Abbasi, che racconta l’apprendistato truffaldino del tycoon e il suo rapporto di soggezione con l’avvocato faccendiere che ne fu il maestro, il losco patriota anti comunista Roy Cohn.
Accadde così: “scorgendo del potenziale in Trump, il controverso legale – che aveva ottenuto le condanne per spionaggio contro Julius ed Ethel Rosenberg e aveva investigato sui sospetti sovversivi insieme al senatore McCarthy – insegna al suo allievo come accumulare ricchezza e potere con l’inganno, l’intimidazione e la manipolazione mediatica. Grazie a lui Trump uscirà dall’ombra del potente padre e riuscirà a farsi un nome nel settore immobiliare della Manhattan degli anni Settanta” (dalla scheda, inappuntabile, del film).
Trump può odiare The Apprentice, ma non ha calcolato che Abbasi, già noto per Holy Spider e per il serial distopico Last of Us, ha svolto un lavoro accurato, presentando l’ex presidente come un personaggio sfaccettato. Soprattutto, Abbasi ha descritto non il semplice demonio in coda e corna stile Capitol Hill ma un uomo, per quanto spregevole, fragile e pasticcione, amorale e sleale, dotato di sentimenti, fornito di uno spessore (quale che sia) umano… E scusate se qui riecheggio il paradossale “come è umano lei” di fantozzesca memoria. Le scene finali di The Apprentice riguardanti il rapporto con Cohn, malato terminale e ormai inutile all’allievo, sono al riguardo le più significative. Abbasi che considera Trump una very smart person, va oltre il fumettistico e feroce prototipo reale, così come è e così come si è solitamente prestato si media, e potrebbe persino aver fatto un piacere al tycoon.
Comunque. Sebastian Stan (Trump) e Jeremy Strong (Cohn) offrono una prova da Oscar in un film che ricorda per rigore e acutezza di sguardo i gloriosi film civili dell’America degli anni Settanta (dove sei, Callisto Cosulich?) e inquadra sullo schermo una controversa e tesa storia contemporanea che corre a una velocità anfetaminica come le pillole ingoiate in continuazione dal giovane e insicuro Trump – il ritmo dei dialoghi nella versione originale è, questo sì, indiavolato.
Per la cronaca, racconta Mia Galuppo su The Hollywood Reporter: “Tra le scene che, a quanto si dice, hanno suscitato l’ira dell’ex presidente e dei suoi sostenitori, ci sono una sequenza in cui violenta la prima moglie Ivana e anche quelle in cui Trump si sottopone a liposuzione”. Be’, certo…