Martedì 23 gennaio 1973: terminato lo spettacolo, ricevuti gli ultimi, timidi, applausi, il giovane protagonista Len Cariou, indossando ancora l’elegante redingote che è il suo costume di scena – la vicenda si svolge tra l’alta borghesia svedese all’inizio del Novecento – annuncia al pubblico del Colonial Theather di Boston che qualche ora prima a Parigi Henry Kissinger e Le Duc Tho hanno firmato l’accordo che mette fine alla guerra del Vietnam. Per la firma ufficiale, in una sala dell’Hotel Majestic, bisognerà aspettare il 27, quando arriveranno anche i rappresentanti del governo di Saigon, che ovviamente possono solo ratificare quello che è stato deciso a Washington. Probabilmente quella notte, tornando a casa, gli spettatori hanno commentato questa notizia, attesa da mesi, dimenticando tutto il resto, incluso lo spettacolo che hanno appena visto. Eppure è la prima assoluta di un nuovo musical, destinato a debuttare dopo qualche settimana a Broadway. Fare queste anteprime in “provincia” era – e lo è ancora – una prassi consolidata. Serve a saggiare le reazioni del pubblico e a capire se ci sono modifiche da fare prima di debuttare sul serio nella grande città. E in quel teatro di Boston hanno iniziato il loro lungo cammino Anything Goes, Porgy and Bess, Oklahoma!, Annie Get Your Gun.
L’accoglienza per quelle prime repliche del nuovo musical di Stephen Sondheim con il libretto di Hugh Wheeler è piuttosto fredda: alcune canzoni sono piaciute, ma nel complesso lo spettacolo non sembra destinato a un grande successo. Gli autori – e soprattutto i produttori – temono la reazione del pubblico e dei critici di New York. Certo Sondheim è l’astro nascente di Broadway: giovanissimo, negli anni Cinquanta, ha scritto i testi delle canzoni di West Side Story e Gipsy, e i suoi Company e Follies – lui vuole scrivere tutto, le parole e le musica – hanno vinto diversi Tony, rispettivamente nel 1971 e nel ’72. Ma non sono mancati neppure i fiaschi, come quello clamoroso di Anyone Can Whistle, che ha chiuso dopo sole nove repliche e non è stato salvato neppure dall’interpretazione di Angela Lansbury. E anche Follies, nonostante il Tony, è stato un flop, almeno dal punto di vista economico, che non è riuscito a recuperare i soldi investiti. Quindi per questo nuovo lavoro c’è un bel po’ di apprensione.
Mentre lo spettacolo è ancora a Boston viene licenziata una delle attrici, Garn Stephens, che per fortuna ha una parte secondaria, quella della cameriera Petra: al suo posto viene ingaggiata in tutta fretta D’Jamin Bartlett. Non è un buon inizio.
Il 15 febbraio è in programma la prima serata di “rodaggio” al Shubert Theatre di New York, il grande teatro sulla 44esima con la facciata in stile veneziano, mentre la “vera” première ci sarà il 25. Dopo cinque delle serate di anteprima la protagonista Glynis Johns si ammala e viene portata in ospedale. Glynis è un’attrice conosciuta sia a Broadway che a Hollywood, ma non è certamente una star. Ha fatto molti film, ha persino sfiorato l’Oscar come attrice non protagonista nel 1961 per I nomadi di Fred Zinnermann, accanto a Deborah Kerr. Ma è nota soprattutto per essere Winifred Banks, la madre politicamente impegnata del film Mary Poppins – troppo impegnata, secondo l’ideologia disneyana. Proprio sulle sue caratteristiche vocali i fratelli Sherman hanno scritto e modellato Sister Suffragette. La première viene rimandata, ma intanto il regista Harold Prince per sostituire la protagonista chiama Tammy Grimes, un’attrice che ha già vinto due Tony, uno per la prosa e uno per il musical, e che è conosciuta come una spigliata interprete delle commedie di Coward. A Tammy il musical piace, ma chiede che vengano fatte delle modifiche alla regia e ai costumi. Il nervosismo cresce. Per fortuna Glynis si riprende e la prima torna in cartellone il 25 febbraio, come previsto.
Ed è un successo. A Little Night Music piace alla critica: Clive Barnes, il potentissimo critico teatrale del New York Times dal 1965 ak ’77, l’uomo che può distruggere uno spettacolo in poche righe, lo definisce “inebriante, sofisticato e incantevole”. Ma soprattutto piace al pubblico, anche se è un musical diverso dal solito, stilisticamente più simile a un’operetta e con la musica quasi tutta a tempo di valzer. Rimane in cartellone allo Shubert fino al 15 settembre di quell’anno, per trasferirsi poi, dal 17 dello stesso mese, al Majestic Theatre, dove chiude il 3 agosto 1974, dopo seicentouno repliche. Vince sei premi ai Drama Desk Award del 1973 e sei Tony, compreso quello per il miglior musical.
Ed è un successo anche a Londra. Debutta all’Adelphi Theater il 15 aprile 1975, sempre con la regia di Harold Prince. E con la splendida Jean Simmons come protagonista. Per quattrocentosei repliche. Anche se la più acclamata interprete di questo musical a Londra sarà, nel 1995, la grande Judi Dench, nel secondo revival nel West End.
La protagonista Desirée diventa ben presto uno dei ruoli più ambiti per ogni artista di Broadway: in edizioni successive di questo fortunato musical Patti LuPone e Bernadette Peters ne saranno due interpreti magnifiche, nel pieno della loro maturità artistica.
Angela Lansbury è stata una grande interprete dei musical di Sondheim, eppure non è mai riuscita ad interpretare Desirée. Ma le strade di Broadway sono fitte di incroci: nel 1979 ottiene uno dei suoi grandi successi con un altro dei capolavori di Stephen Sondheim, Sweeney Todd, The Demon Barber of Fleet Street, ancora con lo stesso librettista e lo stesso regista. E insieme a Len Cariou. Angela però riuscirà a interpretare la madre di Desirée, la saggia Madame Armfeldt, in un revival del 2009, accanto alla debuttante, a Broadway, Catherine Zeta-Jones.
Il titolo di questo musical è la traduzione letterale del nome con cui è conosciuta la serenata in sol maggiore K 525, il notturno per archi scritto da Wolfgang Amadeus Mozart nel 1787. Ricordate l’inizio di Amadeus di Miloš Forman? Il vecchio Salieri suona al clavicembalo alcune sue composizioni, ma il sacerdote non ne riconosce nemmeno una. Fino a quando accenna l’inizio di un motivo che il giovane prelato – come tutti noi – riconosce subito e comincia a canticchiare: quella è la Eine kleine Nachtmusik.
Nonostante questo riferimento mozartiano del titolo, Hugh Wheeler scrive il libretto di A Little Night Music basandosi sulla trama del film del 1955 di Ingmar Bergman Sorrisi di una notte d’estate che, presentato in concorso al nono Festival di Cannes, ottiene un premio speciale per l’“umorismo poetico”. E sempre a questo film, ma prendendosi molte più libertà di Wheeler, si ispirerà nel 1982 Woody Allen per A Midsummer Night’s Sex Comedy, il suo primo film con Mia Farrow, perché Diane Keaton è impegnata nella promozione di Reds, di cui Sondheim ha scritto la colonna sonora.
Ha ragione Woody a citare Shakespeare, perché anche nel film di Bergman le vicende delle coppie che si formano, si disfano, si ricompongono, hanno il loro culmine nella magica notte di san Giovanni, la notte più corta dell’anno, uno dei passaggi segreti tra il mondo reale e quello dei sogni. Ma non ci sono fate e folletti nella storia di Bergman, soltanto donne e uomini. E ce n’è a sufficienza. È già tutto qui.
All’inizio del film Desirée, interpretata dalla bellissima Eva Dahlbeck, che negli anni Cinquanta è una delle attrici preferite dal regista svedese, dice che “L’amore è come un giocoliere con tre clave: cuore, parole, sesso. È molto facile giocare con le tre clave, ma è anche molto facile farne cadere una per terra”.
Desirée è un’attrice, deve aver trovato naturale raccontare l’amore attraverso una metafora del “suo” mondo. E forse di questa battuta si è ricordato anche Stephen Sondheim per scrivere la canzone in cui la protagonista parla di sé e della sua vita. Siamo a metà del secondo atto: è la notte più corta dell’anno e tutti i personaggi si ritrovano insieme per una grande festa. È la notte in cui può succedere di tutto; e in cui succederà di tutto. Desirée parla con Fredrik, l’uomo che ha sempre amato, anche se non ha mai voluto ammetterlo, che è il padre di sua figlia, anche se non glielo ha mai detto, con cui avrebbe voluto vivere, ma che ha lasciato quando era giovane per inseguire un sogno. Lei gli chiede di sposarla, una cosa che non avrebbe mai pensato di chiedere, a nessun uomo. Ma Fredrik le confessa che per quanto lui l’abbia sempre amata, ama ancora di più la sua giovanissima moglie Anne. Il rifiuto è garbato, ma netto. Desirée, come succede sempre nei musical, canta; e canta quella che è probabilmente la più bella canzone che Sondheim abbia mai scritto e una delle più belle di sempre.
Desirée è un’attrice: e cosa si fa durante uno spettacolo quando ci si accorge che qualcosa sta andando storto? Si fanno uscire i pagliacci, si ricorre alle battute, si cerca di distrarre il pubblico, sperando di salvare il salvabile. Desirée, chiedendo a Fredrik si sposarla ha fatto una cosa inaudita, è uscita dal copione della sua vita. Ma di fronte a quel rifiuto, capisce che non può tornare indietro, non può tornare alla sua arguzia sensuale, alla gioia di una vita senza legami. Desirée è entrata in scena con la sua solita grazia, sicura della sua parte, ma le è successo quello di cui tutti gli artisti hanno paura: il pubblico non crede più alla tua finzione. E allora sul palcoscenico non c’è più l’attrice, ma la donna, la sua sconfitta, i suoi rimpianti e Desirée non vuole che Fredrik e il pubblico la vedano così: bisogna riempire quel vuoto, bisogna chiamare i pagliacci, bisognerebbe ridere, scherzare, tornare alla farsa frivola di sempre. Ma ormai l’incanto si è rotto: la clava è caduta, il gioco è finito.
Stephen Sondheim scrive Send in the Clowns poco prima del debutto a Broadway, non è nel progetto originale del musical a cui ha lavorato con Wheeler. E quindi quel martedì sera, poco dopo che è stato firmato l’accordo di Parigi, gli spettatori del Colonial Theater non hanno potuto sentire questa canzone. Quando sente cantare Glynis Johns, quando ne ascolta la voce che definisce cristallina, ma che non è certo potente, modella proprio per lei questa canzone più recitata che cantata. Glynis saprà interpretarla con grande intensità, con misura, trattenendo le lacrime, ma senza nascondere la rabbia per come è andata, per aver così clamorosamente sbagliato “i tempi”, errore paradossale per un’attrice della sua esperienza. E per essersi così scoperta. Sono frasi brevi, piene di rimpianto e di amarezza.
Sondheim è convinto di aver scritto una canzone che funziona, ma che vivrà soltanto nello spettacolo. Si sbaglia. Curiosamente sarà un uomo che farà la fortuna di questa canzone, perché Send in the Clowns diventerà un successo, uno standard, grazie all’interpretazione di Frank Sinatra, che naturalmente la canta più che recitarla. Ma anche lui, a quasi sessant’anni, dopo un carriera che ha conosciuto tali vette, sa che a un certo momento qualcosa si può rompere e bisogna far uscire in scena i pagliacci. E, dopo Sinatra, Send in the Clowns entrerà in classifica grazie a Judy Collins, un’artista lontana dallo stile di Broadway, una delle grandi signore del folk e della controcultura, un’artista che si è battuta con energia contro la guerra in Vietnam. E per Judy che ha sempre raccontato nelle sue canzoni gli ultimi, gli sconfitti, Send in the Clowns assume un significato davvero particolare.
E Desirée? È la notte di mezza estate, tutto può succedere e la giovane Anne scopre finalmente l’amore, in tutti i sensi, ma non con il marito: fugge con il figlio di Fredrik, suo coetaneo. E così Desirée e Fredrik capiscono che il loro destino è quello di vivere, finalmente, insieme. Lo spettacolo può continuare. I giocolieri possono continuare a lanciare in aria le loro clave. Però lei e Fredrik – e noi con loro – adesso sanno che il sipario può cadere, mostrando la verità.
Quick send in the clowns
Don’t bother they’re here
Fai uscire in fretta i pagliacci. / No, non fa niente, sono già qui.
P.S.: cercate le versioni di questa canzone, fate come abbiamo fatto Zaira ed io in queste sere d’autunno. E decidete qual è la vostra preferita. La nostra è quella di Judi Dench.
Nella foto di apertura, Glynis Johns canta Send in the Clowns (Credit: A Little Night Music by arcticpenguin is licensed under CC BY-NC 2.0.)
- Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni). Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale, per saperne di più qui