L’ho sempre amata. Anche quando gridavo yankee go home. Continuo ad amarla come si ama una donna affascinante la cui diversità ontologica rende impossibile una normale relazione quotidiana (“non sono cattiva è che mi disegnano così). L’America è la cosa più diversa che ci sia. Diversità resa straniante dal fatto che noi europei istintivamente pensiamo che l’America e gli americani siano se non come noi, nostri simili, parte di noi (A questo proposito, illuminante Una certa idea d’Europa, Garzanti, di George Steiner).
Dell’America so poco o nulla. Ho letto qualche libro, visto i film che hanno visto tutti, amato il pop che l’ha famosa nel mondo. Riguardo alle elezioni del 5 novembre, pur presagendo la vittoria di Trump non avrei mai pensato che la sua vittoria potesse essere così larga e profonda. Il “pensiero autoritario” (chiamiamolo così) ha dunque conquistato ogni gruppo sociale, etnia, classe anagrafica, genere e sesso americano?
Per istinto detesto gli sconfitti che la menano sui brogli del vincitore. Che si tratti di tennis, calcio, Formula 1 o politica, la prima (la sola) cosa da fare credo sia cercare dentro sé stessi le ragioni della perdita. “Non l’hanno visto arrivare”, declinato al maschile o al femminile, è la più stupida delle giustificazioni. Se non l’hai visto (vista) è perché sei stupido o distratto. Nel caso di Trump poi, l’avevano visto arrivare benissimo: hanno avuto ben otto anni per “vederlo arrivare”. Quello che credo si debba fare è chiedersi perché mai le élite democratiche americane non abbiano visto né fatto nulla per contrastare la marea autoritaria; perché, per ben otto lunghi anni, l’amministrazione Obama non si sia accorta di quanto stava accadendo alla base sociale del Partito Democratico. Eppure le conseguenze del turbo-liberismo esploso nei ruggenti anni clintoniani erano sotto gli occhi di tutti; eppure sapendo che il cinema USA non mente mai, sarebbe bastato andare al cinema a vedere i film sui lupi di Wall-Street; eppure bastava leggere Rifkin, mica la terza Critica di Kant, per comprendere che i colletti rossi e blu stavano perdendo lavori dignitosi e sicuri in cambio di merda sottopagata.
Non hanno voluto (saputo) vedere. Hanno continuato a non voler vedere lungo tutti gli anni della risicata elezione Biden. Hanno sostenuto una candidatura che definire senile è un atto di pietà / ipocrisia (barrare la casella preferita). Hanno scaricato il cadavere in corsa mollando la Peppa tencia alla povera Kàmala. La quale, pur avendo fatto del suo meglio per portare a casa ghirba e partita, ha puntualmente perso entrambe.
Questa storia mi ricorda gli astuti comunisti italiani. Correva il 1921 e mentre il cavalier Mussolini si preparava a marciare su Roma, in quel di Livorno dicono ciao ai socialisti; mi ricorda la genialata di Stalin che s’inventa la teoria del “socialfascismo”. Ma tornando ai giorni nostri e alle nostre responsabilità è anche peggio: facciamo spallucce alla marea neo-nazista, alla quotidiana eversione islamista, all’odio per l’ebreo che puntualmente riappare come il virus dell’herpes quando l’organismo democratico è indebolito da malattie sistemiche. Facciamo spallucce perché “fare politica” – prendere decisioni e farle rispettare con le buone e con le meno buone dello Stato democratico – è infinitamente più faticoso, più impegnativo, più adulto.
Di cosa soffra la democrazia liberale lo spiega diffusamente Andrea Graziosi nel suo Occidenti e modernità (il Mulino). Saggio di faticosa lettura (i bravi storici non sono obbligatoriamente anche bravi scrittori) utile per comprendere cosa ci sta accadendo. In ogni caso, che abbia compreso qualcosa o niente del tutto, si tratterà di rimboccarsi le maniche: ogni volta, in ogni situazione, è ora di fare del nostro meglio per spiegare che nonostante tutto il mondo libero e liberale continua ad essere il migliore dei mondi possibili.
(Credit: Donald Trump by Gage Skidmore is licensed under CC BY-SA 2.0.)