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Paolo Grugni. Da Pura razza bastarda a La trappola

In molti, tra quelli della mia generazione, abbiamo camminato nell’Italia che fu democristiana (e forse in qualche modo anche comunista), così capace di stingere nel grigio di una densa fuliggine il fuoco delle più sanguinose pagine della Repubblica.

Abbiamo visto “succedere cose”, “catturare e processare gente”, senza arrivare mai a una certezza definitiva – a una verità che sembra non possa spettare nel nostro Paese agli umani in specie se ingannati o come si diceva un tempo “depistati”.

Comunque. Ho visto poco tempo fa nella casa berlinese di un amico scrittore, Paolo Grugni – una casa nella Berlino che era Est e resta Est, a due passi da Alexanderplatz – accanto ai romanzi dei suoi amati autori tedeschi, Böll e Grass per esempio, e tutti quelli in grado di fissare senza distogliere lo sguardo la più feroce delle storie novecentesche – una catasta di libri e scartoffie molto italiane, roba alta fino al soffitto, tanti libri e documenti, tanti quaderni di appunti scritti fittamente a mano, e poi lettere battute a macchina provenienti da mittenti per me misteriosi, e poi foto e testi d’archivio…

Grugni ha dedicato i suoi recenti sforzi di “narratore investigativo” – diciamo così approssimativamente per non confonderlo con il clan dei giallisti regionali – all’Italia degli anni Sessanta, inseguendola in due romanzi storici (uno è già uscito, l’altro è atteso tra pochi giorni, per il 22 di novembre), fino a giungere all’enigma principe, a tutt’oggi secondo Grugni irrisolto, quello di Piazza Fontana.

In Pura razza bastarda pubblicato nel 2018 per Laurana, trovate in 570 e passa pagine i lunghi anni dell’antefatto – e intanto un suspenser abilmente confezionato, che si apre con il ritrovamento di un cadavere nei gabinetti di San Siro – ne La trappola. Diario d’Italia, più di 700 pagine in libreria per lo stesso editore, arriva una nuova chiave di lettura di quegli anni o forse la soluzione della storia. Di certo, dice Grugni, più di una sorpresa.

In Pura razza bastarda, racconta Paolo, c’è “…la Milano del 1965: una città che applaude l’esordio di Pavarotti alla Scala, che conosce la vecchia ligera, ma non ancora la malavita esportata dal Sud o le bande che sparano per strada, come quella sanguinaria di Cavallero”.

Qui compare e si consuma il destino di un poliziotto che è stato partigiano, l’immaginario (ma potrebbe essere reale) Sergio Malfatti, un uomo onesto, un uomo del popolo: la sua indagine si lega alla storia d’Italia, e più precisamente alle bombe e alle stragi, al terrorismo nero e rosso, ai tentativi di golpe e a Gladio, alla P2 e ai servizi deviati e paralleli… Non possiamo che riassumere con un certo sconforto: chi meglio di un commissario di pubblica sicurezza può scrivere il diario dell’Italia di quegli anni?

Ne La trappola siamo al clou, al 12 dicembre 1969 e a tutto quello che ne consegue in una partita giocata da bari, quasi stregata: scoppia la bomba a Piazza Fontana. Scatta la tagliola per incastrare gli anarchici e per la quale si ritrova in ceppi Pietro Valpreda pochi giorni dopo all’omicidio di Pinelli – “Il commissario Malfatti è nato anche perché potesse essere presente in questura la notte della  morte dell’anarchico e potesse capire lo svolgersi degli eventi”.

Ma chi ha organizzato “la trappola”? Perché è stato scelto Valpreda? E che cosa è successo davvero quella notte negli uffici delle forze dell’ordine? Malfatti, sorta di “commissario cronologico”, anzi Paolo Grugni stesso, dopo un tour de force di indagini e ricerche, spiega tutto, nella sua prosa veloce ed evocativa, vivida e persino poetica – intendo semplicemente dire che Grugni “connota” oltre a “denotare” -, lontana dal grigio giornalistese e dalla cronaca imbalsamata dei noir di routine.

Paolo mi racconta del nuovo libro, che corona la fatica di più di un lustro, mentre camminiamo verso un ristorante vietnamita di Berlino, chiacchierando degli spifferi della cronaca e del vento della storia che sta cambiando anche questa fetta di Europa. “L’ordigno non aveva non solo un mittente, ma anche un destinatario. Un destinatario non presente quel giorno nella Banca Nazionale dell’Agricoltura. Era quindi un messaggio, o meglio una minaccia, diretto a una persona, che doveva capire di smetterla con determinati atteggiamenti…”. Leggere per sapere chi è.

P.S.: nel caso non fosse chiaro, i due romanzi sono leggibili indipendentemente l’uno dall’altro. E primo o poi ne arriverà anche un terzo. Per esergo, tanto per restare a Berlino Est, vale la frase di Christa Wolf in limine a Pura razza bastarda: “Posso scrivere solo su ciò che mi inquieta”.

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