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Allonsanfàn
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Sotto la pioggia, un ragazzo in bicicletta

I bambini lo sapevano. Non saprei dire come facessero a saperlo, ma che i bambini lo sapessero non ho dubbi. Sapevano che un temporale alla fine d’agosto si sarebbe portato via l’estate. I giorni non sarebbero più stati gli stessi, i suoni non sarebbero stati più gli stessi, anche gli odori non sarebbero stati più gli stessi. Appena differenti, ma non più gli stessi.

Si, lo ricordo bene, lo sapevamo. Dopo quella, sarebbero arrivate altre perturbazioni che avrebbero guastato inesorabilmente le nostre libere e spensierate giornate estive, costringendoci a volte dentro il confinato recinto domestico.

Nulla sarebbe stato più come prima.

***

Potevo avere dieci o undici anni. Era fine agosto. Suppongo che fosse un sabato. Anzi, di sicuro era un sabato. Mi ero nascosto dietro al carro in fondo al portico, in attesa di mio fratello. Per rompere quell’attesa, con un bastoncino disegnavo qualcosa sul fondo battuto. Mi ero nascosto, per l’appunto, perché avevo in mente un piano. Ero impaziente, aspettavo, ma non serviva che tenessi sott’occhio il viottolo per controllare l’arrivo di mio fratello. L’inconfondibile rumore della sua cinquecento, che saliva la corta rampa in fondo al vicolo, mi avrebbe allertato. Ero felice dell’imminente arrivo di Giovanni, soprattutto perché sarebbe arrivato con la sua 500L. Forse era proprio questo che mi rendeva felice. Mio fratello Giovanni, di undici anni più vecchio di me, lavorava a Torino e come di consueto, più o meno alla stessa ora, il sabato tornava a casa.

Un ragazzo in bicicletta Zanco
Zanco di Villadeati (Alessandria)

Ecco in avvicinamento il crepitio caratteristico di quel motore e, poco prima che l’auto appaia, Giovanni effettua un paio di doppiette, scalando in seconda per svoltare nel vicolo e affrontare con brio la breve salita che porta all’interno del nostro cortile. Giuanin, come lo chiamavamo tutti, non aveva fatto in tempo a scendere dall’auto ed entrare in casa che io, sgusciando da sotto il portico, mi ero già infilato al posto di guida della sua auto, ferma sul selciato davanti a casa.  Aggrappato al volante immaginavo di guidare. Sognavo di guidare. Desideravo guidare. Inserivo le marce, schiacciavo i pedali, imitavo il suono del motore cambiando i rapporti. Insomma, non so cosa avrei dato in quel momento per poter guidare per davvero. Ero sicuro di poterlo fare. Come detto, avevo in mente un piano. Pensavo di togliere il freno a mano e mettere in folle, per poi giocare con la leggera concavità dell’aia lasciando indietreggiare la Cinquecento fino all’altra parte del cortile. Quindi avrei sterzato il volante verso sinistra e l’avrei fatta scendere verso la parte più bassa della corte fino in fondo, di fronte al letamaio, arrestandola all’ultimo momento con una brusca frenata. Avevo già tentato una volta, mi ero entusiasmato, ma la manovra non mi era riuscita.  Dovevo migliorare. Dovevo sterzare al momento giusto per potermi godere fino in fondo quella stimolante bravata. L’importante era non farsi beccare sul fatto. Sarebbero seguiti comunque dei rimproveri e qualche punizione, ma ne valeva la pena. La voglia di guidare era irrefrenabile.

Quel giorno non feci in tempo a mettere in atto il mio disegno. Accadde tutto in fretta. Avevo notato che il cielo si era annuvolato rapidamente, ma ero troppo preso dal mio obiettivo per badare ai cambiamenti repentini del tempo. Una sequenza di tuoni in avvicinamento misero in allarme mio fratello che uscì di corsa da casa, aprì lo sportello e scostandomi malamente si mise alla guida. “Andiamo incontro alla mamma che credo sia in campagna sotto Vadarengo, prima che si prenda tutta l’acqua” e così dicendo mise in moto e si partì di gran carriera verso la Valle Versa.

Come mi piaceva quando guidava da spericolato. Prendeva in velocità le strette curve che portavano a valle, facendo fischiare le ruote sull’asfalto ancora rovente.

La mamma stava tornando in bicicletta. La incrociammo proprio quando iniziavano a scendere i primi goccioloni. Lei avrebbe voluto che si abbandonasse la bicicletta lì in campagna, lungo la strada, ma mio fratello la imbarcò rapidamente, mi guardò sornione e disse: “Torna tu in bici, che sei giovane”. Così dicendo ripartì verso casa senza alcuna esitazione. In fondo io, forse…non aspettavo altro.

Un ragazzo in bicicletta Conzano
Conzano Monferrato (Alessandria)

Non possedevo una bici tutta mia, di rado potevo usare quella di mia mamma. Era un’occasione, perché perderla. Inforcai la bici da donna senza cambio e cominciai a pedalare mentre la pioggia cadeva con più regolarità. Dopo poche centinaia di metri mi alzai dalla sella, per poter affrontare energicamente la salita che portava su in paese. Dall’asfalto ancora caldo saliva un fastidioso vapore che faceva mancare il respiro. La pioggia aumentò ancora di intensità e tutto si raffreddò rapidamente e io, ormai completamente fradicio, serrando gli occhi sotto lo stillicidio che ora mi percuoteva violentemente la testa e le spalle, pensavo solo a pedalare. Non badavo ai tuoni e ai fulmini, mi erano indifferenti. Pedalare in salita sotto quella pioggia mi sembrava la cosa più bella della vita. Mi pareva di possedere un’energia inesauribile, provando un piacere fino ad allora sconosciuto. Non sentivo la fatica, anzi mi pareva di essere instancabile. Mi sembrava di incrementare continuamente la mia velocità mentre mi inerpicavo su per la collina. Pedalavo in piedi, in modo forsennato, facendo oscillare la bici da un lato all’altro al ritmo delle pedalate. Ricordo ancora il suono ondivago dei copertoni mentre fendevano l’acqua che scendeva a valle. Mi sentivo un campione, avrei voluto che quella salita non finisse mai. Quel gesto, in quelle condizioni, mi dava una carica inspiegabile e la consapevolezza che nessuno mi avrebbe rimproverato per aver fatto una cosa così sconsiderata.

Oltrepassai il cimitero e per un attimo pensai a mio papà, che avevo conosciuto così poco. Chissà se stava seguendo questa mia stravagante impresa.

Finita la salita attraversai di volata il paese grondante e deserto e dopo aver superato l’ultima rampa verso casa, tagliai in diagonale il cortile e mi infilai sotto il portico. Tirai i freni bloccando la ruota posteriore che derapò disegnando una curva sulla terra battuta, fino ad arrestarmi bruscamente contro la legnaia. “Che pedalata bestiale”. Bestiale rappresentava per me un superlativo assoluto che usavo senza alcuna parsimonia.

La mamma, che aspettava preoccupata, mi richiamò immediatamente in casa, dove già mi attendeva un bagno caldo nel mastello in cucina. Mi ci ficcai dentro e per sopportare il formicolio di reazione, che pizzicava la mia pelle intirizzita, mi rannicchiai nel mastello serrando gli occhi. Poi, nel caldo liquido, mi rilassai… lentamente… ripensando a quella che era stata la più bella pedalata della mia vita, tuttora ineguagliata.

Un ragazzo in bicicletta Conzano 2
Conzano Monferrato (Alessandria)

***

In quegli anni condividevo molti sogni con il mio amico Giuliano. Tra questi, per l’appunto, il desiderio di avere una bici tutta nostra. Dopo qualche anno si presentò l’occasione. Alla cooperativa agricola del paese mancava personale per la raccolta delle barbabietole e le nostre rispettive madri che ci lavoravano proposero, come ultima soluzione, di ingaggiare i rispettivi figli. Non avendo ancora l’età giusta, non avremmo potuto lavorare, ma le circostanze che si erano create imposero di chiudere un occhio. D’altronde doveva trattarsi solo di alcuni giorni, ma poi lavorammo quasi un mese. Per tutto il tempo non ci accorgemmo della fatica. Lanciavamo continuamente barbabietole sul carro come fosse un gioco. Fantasticavamo sulle nostre future biciclette: “La prendo con il manubrio diritto e i pendagli alle manopole e il cambio con quattro rapporti”, “Io la voglio con le ruote bianche e nere e il manubrio da corsa, poi ci ficco una cartolina tra i raggi per far rumore così mi sentono tutti quando passo”, “E io ci metto un campanello e una tromba”, “E io …”. Alla fine ci trovammo un gruzzolo di 27.500 lire, il nostro primo salario. Eravamo felici. Pensavamo che con tutti quei soldi saremmo potuti andare dal meccanico del Pozzo a comprarci le più belle bici in assoluto. Fu molto triste scoprire che neppure con il doppio della nostra disponibilità avremmo potuto comprarne una. Passammo qualche giorno, stizziti, a tirar sassi con la fionda, rompendo anche qualche vetro, senza dire una parola, prima di consegnarci di nuovo ad un’altra avventura.

***

Passarono molti anni da quella pedalata sotto la pioggia. Anni dediti al lavoro, alla famiglia e alla casa, con pochissimo tempo libero a disposizione, potendo fare solo qualche rara e sparuta pedalata. Quando chiusi con il lavoro, la bicicletta fu uno dei primi desideri. Finalmente avrei avuto del tempo a disposizione, tanto tempo, tempo che non avevo mai più avuto. Cominciai a pensarci mesi prima senza sapere esattamente che scelta fare.

Abito in un paese in collina, dal quale si dipartono quattro strade che inesorabilmente portano a valle. È bellissimo partire da casa in bici e subito fiondarsi giù per la discesa. Ti regala un senso di libertà che ti fa sentir felice, non so perché. Purtroppo quando si tratta di rincasare si presenta un problema. Da qualsiasi parte si decida di tornare, si dovrà affrontare una salita impegnativa.

Un ragazzo in bicicletta
Paolo Scapinello, autore di questo articolo

Ero contrastato, non riuscivo a decidermi, non mi sentivo così determinato da impegnarmi in un faticoso allenamento che mi permettesse di gestire adeguatamente lo sforzo richiesto. La soluzione me la offrì un amico, Giovanni. Un giorno lo sentii parlottare con Anna, giù in strada. Faceva freddo. Anna avvolta in un giaccone stava scherzando con lui appena giunto in bicicletta. Giovanni, vestito come di consueto, col fularin al collo, non mi pareva affaticato. Eppure aveva appena affrontato una salita abbastanza impegnativa e non mi risultava che avesse un gesto atletico migliore del mio o che andasse abitualmente in bicicletta. Rimasi interdetto finché Giovanni mi svelò che era giunto in sella a una bicicletta a pedalata assistita. Mi fece tutto uno spiegone sull’arnese e io, che non conoscevo questa nuova diavoleria, la prima frase che pronunciai fu: “Ma questo non è leale”.

“Vuoi provarla?”.  Feci spallucce, ma ero troppo curioso e allora via in un giro di prova per il paese affrontando con poco sforzo alcune salite impegnative. L’impatto con questo nuovo velocipede era stato però troppo brusco, così continuavo a ripetere “Sì, però non è leale”.

Per me pedalare rimaneva quella cosa là. Il gesto atletico, la fatica, il sudore, il fiato che ti viene a mancare con quel gusto aspretto nella saliva e il dolore alle gambe. Insomma quello che avevo sempre provato.

Un tarlo però era entrato nella mia mente. Ripensavo alla bici di Giovanni, forse non era proprio “leale” ma poteva essere la soluzione adatta a me.

Tempo dopo mi trovavo in un negozio alessandrino di accessori. Vi erano un paio di bici a pedalata assistita ben esposte. Chiesi informazioni al titolare che, dopo avermi confessato che non vendeva bici adatte a me, iniziò una lunga spiegazione usando una terminologia a me sconosciuta. Proseguì anche quando un commesso gli chiese se volesse occuparsi lui di alcuni vecchi clienti: “Ma non vedi che sono già occupato!” rispose seccato. Il negozio in effetti era pieno di gente, ma lui continuò imperterrito a illustrarmi pregi e difetti delle varie tipologie di bici lasciando trasparire tutta la sua passione. Si congedò dicendomi “Prima di prendere qualsiasi decisione devi andare assolutamente da questo mio amico a Castelceriolo. Lui saprà consigliarti per il meglio”. Così feci e finalmente mi fu chiaro quale sarebbe stata la mia bici: una MTB con ruote da 27”, doppie sospensioni, sella telescopica, batteria da 500 A, motore Yamaha.

Ne trovai una d’occasione a più del doppio del budget che mi ero imposto, ma dopo cinque anni lo considero ancora uno dei migliori acquisti della mia vita. Mi ha aperto un mondo, regalandomi una mobilità insperata.

Una bicicletta, qualunque sia, permette di spostarsi liberamente su un ampio territorio, mantenendo attivi tutti i sensi. Quando pedali avverti il clima, gli odori, i profumi, i suoni, i richiami. Ti puoi gustare il paesaggio e sorprenderti di incontri fortuiti con animali selvatici e con viandanti di ogni tipo.

Pedalare, ti fa sentir bene, molti lo sanno e hanno stabilito con la bici un legame profondo e significativo, senza sentire il bisogno di nutrire impulsi agonistici.

Un ragazzo in bicicletta
Roberto Laudati (secondo da sinistra) a Mont Saint Michel

Per esempio il mio amico Roberto Laudati, ematologo infantile, di chilometri ne ha macinati tanti. Oltre a essere un bravo medico, ha promosso diverse iniziative ciclistiche a scopo benefico. Solo per citarne una: la pedalata da Mont Saint Michel in Normandia a monte Sant’Angelo in Puglia passando per la Sacra di San Michele in Piemonte. Una pedalata organizzata per raccogliere fondi in favore dell’ospedale Regina Margherita di Torino, destinati alla ricerca delle cure oncologiche nell’infanzia. Qualche anno fa, purtroppo, gli è capitato di diventare paziente. Racconta: “Prima mi sentivo invulnerabile. Passare dal curare a essere curato cambia del tutto il proprio punto di vista.” Ma non si è abbattuto, ha reagito intraprendendo un programma di attività fisica che lo ha aiutato notevolmente a contrastare gli effetti collaterali della chemioterapia. Avendo constatato i risultati in prima persona, ha continuato a promuovere l’attività fisica come supporto alla cura chemioterapica. Ha coinvolto altri volontari, pazienti e nomi noti dello sport nel realizzare La pedalata della speranza, partita da Torino e giunta fino a Bari. Tutt’oggi, ormai ristabilito ma inarrestabile, continua la collaborazione con ricercatori sanitari e associazioni del settore, a favore della ricerca e delle cure pediatriche.

Un ragazzo in bicicletta

E poi, in bicicletta ci si può andare anche attraverso i libri. Uno in particolare mi ha coinvolto. Narra vicende simili a quelle vissute dalla mia famiglia. Si tratta di Napoleone in bicicletta di Franco Testore. Racconta di una famiglia che attraversa i periodi più drammatici del secolo scorso, ma soprattutto ti rende partecipe di un evento eccezionale. Il protagonista, che è tormentato da una serie di circostanze avverse, trova finalmente una soluzione. Si lancia in un’impresa memorabile: una pedalata che lo salverà e cambierà definitivamente il corso della sua vita. “Quella era la sua possibilità di salvare se stesso e la sua famiglia”.

Un ragazzo in bicicletta

Anche lo scrittore Paolo Rumiz ci fa percorrere strade. Con i suoi libri porta ad esplorare luoghi inconsueti d’Italia, d’Europa e non solo. Nei suoi viaggi, oltre a usare mezzi alternativi, stimola a riflettere sugli aspetti socio-ambientali che ci coinvolgono e che diversamente forse non avremmo mai preso in considerazione. Nel suo libro È Oriente racconta un’avventura in bicicletta con il figlio, dove per la prima volta usa la bici come mezzo per viaggiare. A ogni pedalata ti fa partecipe del suo viaggio, della sua nuova e appassionante avventura.

Così inizia il racconto: Pioviggina sul colle del Sonnenberg, ci alziamo sul sellino per l’ultima salita…

Mi ricorda qualcosa.

Lo so, non basta pedalare per vivere eventi eccezionali o provare sensazioni uniche, ma può succedere, sì, quando meno te lo aspetti.

Io lo so, può succedere, come successe a quel ragazzino, il giorno in cui si scoprì veramente felice pedalando libero sotto la pioggia.

Foto in apertura: Sulla strada per Lu Monferrato

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