Omicidio a Lombard Street di Amedeo Feniello è molto più di un semplice libro di storia: è un’immersione totale nella Londra del 1379, un’epoca vibrante e tumultuosa che prende vita attraverso la penna sapiente dell’autore
Com’era Londra nel XIV secolo? Per capire, annusatela: «Un odore acre. Umido e poroso […], che impregna lo spazio. […] L’odore di spazzatura. Di scarti dei mestieri. Dei macelli all’aria aperta. Delle stalle per i cavalli, tante, nei vicoli presso i moli. Del letame che corre su chiatte lungo il Tamigi. Delle cloache a cielo aperto e del putridume dei corsi d’acqua su cui galleggiano carcasse, immondizia, merda e piscio. L’odore di putrefazione dei mercati, dei laboratori tessili, del fumo pungente dei fabbriferrai. L’odore di una città che si vive già produttiva, se non industriale».
Ammesso e non concesso che il vostro olfatto – suggestionato dalla narrazione – abbia superato il primo impatto, avete appena avuto la prova provata del fatto che la storia è affascinante senza bisogno di calcare la mano su falsità (oggi chiamate fake news), luoghi comuni ed esagerazioni. Questa prova la fornisce Amedeo Feniello, professore di Storia medievale all’Università dell’Aquila e ottimo divulgatore. Ci riesce con il libro Omicidio a Lombard Street (Laterza, 2024), che è un saggio-romanzo (o un romanzo-saggio, fate voi) ambientanto nel Medioevo vero; un’Evo di mezzo che, tra tutte le epoche storiche, è quella che ha più bisogno di essere liberata dal fardello di cliché e fandonie, per lo più di carattere negativo, che le vengono affibbiati al giorno d’oggi sui mass media, sui social network, in politica e persino nelle chiacchiere da bar.
Il volume di Feniello è dunque più di un “semplice” libro di storia e più di un libro giallo: è un’immersione totale nella Londra (una «città-emporio») che esisteva davvero nel 1379, in un’epoca vibrante e tumultuosa che prende vita attraverso la penna (anzi, la tastiera) dell’autore. L’autore avverte fin dall’inizio: «La storia che state per leggere non è per niente immaginaria, né immaginata. Ma vera, in tutte le sue parti. L’epoca, alla fine del Trecento. La città, Londra, con tutta la sua gente. La strada, Lombard Street. I suoi mercanti e le sue gilde. Il re, i giudici e la corte. I coroner, gli sceriffi, i giurati. Il morto ammazzato e i suoi assassini».
In effetti, con le doti del romanziere e dello storico, Feniello ci trascina tra vicoli oscuri e taverne affollate, dove si consuma un delitto che scuote la comunità dei mercanti e banchieri “italiani”, protagonisti dell’economia locale e chiamati “lombardi” e provenienti dal Centro-Nord della Penisola. Non a caso tuttora un’importante strada londinese si chiama Lombard Street, nota anche per il fatto che Karl Marx nell’Ottocento l’ha citata nel Capitale proprio con riferimento all’attività bancaria e creditizia. Gente tanto intraprendente quanto poco amata dagli inglesi, come dimostra il fatto che a fare le spese delle trame narrate da Feniello è un genovese, Giano Imperiale, assassinato per strada.
L’autore ci svela una realtà complessa e affascinante, in cui la vita quotidiana si intreccia con intrighi politici e giochi di potere. La Londra del XIV secolo è un crogiolo di culture e nazionalità, un centro nevralgico del commercio internazionale dove si incontrano affaristi provenienti da tutta Europa. In questo contesto cosmopolita, l’omicidio di Giano, facoltoso mercante, scatena una serie di eventi che porteranno alla luce tensioni e conflitti più o meno latenti. Feniello ricostruisce il “caso Imperiale” analizzando fonti, documenti e testimonianze veri e seguendo le tracce lasciate dagli investigatori medievali. Cosicché il lettore si sente coinvolto in prima persona nelle indagini, cercando di decifrare gli indizi e di svelare il mistero che si cela dietro l’omicidio.
Tuttavia, come già segnalato, Omicidio a Lombard Street non è solo un giallo avvincente: è anche un affresco vivido della società trecentesca. Feniello descrive la vita quotidiana a Londra, con le sue contraddizioni e le sue sfide. Attraverso la storia dell’assassinio, ne offre uno spaccato inedito, svelando meccanismi economici, sociali e politici. Ci parla anche dei primi sintomi della nascita del capitalismo, delle rivalità tra le potenze europee, delle tensioni tra la Corona e la City. Ci svela poi la xenofobia che serpeggia tra gli inglesi; in particolare ce l’hanno con quelli che oggi chiameremmo “italiani” (ma sarebbe stati davvero tali solo cinque secoli dopo), perché controllano gran parte del commercio e della finanza, dopo aver sedotto la monarchia a colpi di favori, merci pregiate, tecnologie e prestiti. Tutto ciò capita in una città in continua crescita e preda di tensioni sociali, dove scoppiano rivolte popolari e lotte tra fazioni. L’autore ci mostra anche il sistema giudiziario dell’epoca, con le sue procedure e i suoi limiti, facendoci conoscere personaggi come Nicholas Dymcock, il coroner (cioè, il funzionario statale) incaricato delle indagini.
Alcuni aspetti del libro meritano di essere approfonditi. Prima di tutto, il ruolo degli “italiani” a Londra nel Trecento: Feniello descrive la loro importanza – in particolare quella dei mercanti e dei banchieri provenienti da Firenze, Genova e Venezia – nell’economia locale. Questi “lombardi” controllavano gran parte del commercio e della finanza, suscitando l’invidia e il risentimento degli inglesi doc. Ad esempio, mercanti, prestatori di soldi, banchieri provenienti dalla penisola, grazie alla loro abilità negli affari, avevano acquisito il controllo di settori chiave dell’economia londinese, come il commercio e l’esportazione della preziosa lana prodotta oltremanica e la gestione dei prestiti alla Corona. Questa posizione di privilegio aveva generato risentimento tra i concorrenti autoctoni, che vedevano in quegli stranieri una minaccia al loro benessere economico. D’altra parte, erano una «strana marmaglia apparentemente senza patria», che s’aggirava per l’Europa «con un chiodo fisso in testa – fare soldi!». Tutti figli dell’«incredibile laboratorio di esperienze che sono i Comuni dell’Italia centro-settentrionale, esplosi improvvisamente nella zona più meridionale dell’Impero germanico conosciuta come Longobardia».
Sembra un quadro attuale, sotto molti punti di vista, per quel che riguarda la xenofobia e le lotte economico-finanziarie. Infatti dalla lettura del libro emerge che le dinamiche sociali, economiche e politiche che hanno caratterizzato il Medioevo sono ancora oggi presenti, almeno in parte, nella società occidentale, soprattutto quando si modificano gli equilibri demografici ed economici. Dal racconto, vero, della Londra medievale emergono i nostri lontanissimi avi, del tutto incoscienti del futuro della Nazione italiana: d’altra parte ai nonni dei nonni dei nostri nonni l’italianità sabauda fu imposta nell’Ottocento più per decreto che per convinzione (e ancora oggi, ahimé…, lo spirito di unità nazionale traballa, tra sovranismi a capocchia e autonomie farlocche, di cui fa le spese anche l’europeismo).
Tuttavia possiamo anche essere fieri dei nostri scaltri antenati “lombardi”, incluso lo spregiudicato Giano Imperiale, vittima del delitto, del tutto inserito nelle tensioni dell’epoca: «I lombardi avevano mostrato a tutti, non solo agli inglesi, la loro superiorità commerciale: tecniche bancarie, razionalità contabili e pratiche di business, assicurative e finanziarie, tecnologie applicate al mare, rotte, iniziativa… tutto li aveva resi superiori, gli altri arrancavano». Poi per un bel po’ di secoli siamo stati surclassati. E questa è un’altra storia, seppur altrettanto vera, che ovviamente non è ancora finita.
- Marco Brando ha pubblicato Medi@evo. L’età di mezzo nei media italiani (Salerno editrice)