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Almodóvar, La stanza accanto. La poesia della fine

Nell’ultimo film di Pedro Almodóvar The room next door (La stanza accanto), a un certo punto Martha (Tilda Swinton), ex inviata di guerra gravemente malata di tumore e Ingrid (Julianne Moore), amica scrittrice che si presta ad aiutarla a morire, guardano alla tv Seven chances (Le sette probabilità) di e con Buster Keaton.

Non una scena qualunque, ma proprio la sequenza forse più esilarante della storia del cinema comico: l’omino geniale che corre come un pazzo, cade, si rialza, inseguito da una folla scatenata di aspiranti mogli, tutte cosiddette flapper, le americane degli anni Venti coi capelli corti, emancipate, anticonvenzionali. Un po’ flapper dei tempi moderni, lo scopriremo subito, è anche Martha, ma soprattutto, questa scena allegra in contesto drammatico non è affatto casuale.

Solo un uomo appassionato, entusiasta, vorace come Almodóvar può avvicinarsi da sempre, in maniera del tutto coerente, al tema della morte, fuggito a gambe levate invece da chi non ama allo stesso modo la vita. Esattamente come Tolstoj ha scritto La morte di Ivan Il, e il paragone non sembri azzardato: quel che il regista spagnolo aveva già iniziato a fare al maschile con il bellissimo, sottovalutato, Dolor y gloria, qui si compie in pieno al femminile, con due interpreti straordinarie.

Martha è malata di tumore all’ultimo stadio, è una donna di successo, una specie di Oriana Fallaci, ha vissuto da vicino ogni conflitto degli ultimi anni, s’è comprata un appartamento splendido con vista sullo skyline di New York, veste da Dio. Unico segno meno, il complicato rapporto con la figlia Michelle, avuta in età adolescenziale da una relazione fugace con un compagno di liceo.

Ingrid è una sua vecchia amica, giornalista e scrittrice, altrettanto risolta professionalmente e altrettanto affascinante. Firma le copie del suo ultimo libro alla Rizzoli, anzi, Risoli, come dicono gli americani, che compariva anche in Manhattan di Woody Allen, o in Falling in love (Innamorarsi) con De Niro e la Streep, voluto omaggio di Pedro ai film americani, questo è il suo primo in lingua inglese.

È proprio Ingrid, che non vedeva da un po’ Martha e che con lei ha condiviso, oltre ai ruggenti anni Ottanta in redazione, anche un fidanzato, Damian (John Turturro), ecologista e attivista, l’unica ad accettare di aiutarla ad andarsene dignitosamente. Allo scopo, Martha affitta per un mese una meravigliosa dimora nei boschi che somiglia alle case di Frank Loyd Wright, dove un giorno non meglio precisato, prenderà una pillolina trovata nel dark web. Il segnale tra le due donne sarà la porta della stanza chiusa, anziché aperta.

Il tema è fortissimo, Almodóvar, vincitore del Leone d’oro al Festival del cinema di Venezia, ha ritirato il premio con un accorato e sacrosanto discorso a favore di una legge che permetta il diritto all’eutanasia, da noi e non solo, ancora osteggiato.

La sua bellissima e commovente cifra fa la differenza tra un film a tesi e una meravigliosa opera tutta da godere, nonostante la materia. Perché anche nella tristezza c’è possibilità di gioia e di allegria, ok, c’è chi penserà siano più facili la gioia e l’allegria in case milionarie, con vestiti fantastici, un Hopper forse autentico alla parete, e la scatola svuota-tasche dei torroncini di Dolce & Gabbana, ma saranno i prosaici, quelli che criticano anche l’upper class di Allen, ogni regista filma il suo immaginario.

Anche nell’addio alla vita, c’è l’amore estremo per tutto ciò che l’ha riempita di occasioni, incontri, colore, curiositàAnche nell’addio alla vita, c’è la possibilità di alimentare rinascite, di amicizie e di relazioni. Soprattutto, anche nella fine, se dignitosa, c’è poesia, e Almodóvar, grandioso, cita a più riprese uno dei finali più belli della storia della letteratura. Regalatevi la visione di questo film, non abbiate paura del tema! Se siete vivi, ne uscirete con la voglia di fare sesso, bere un bicchiere di vino buono, ridere con un amico.

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