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Allonsanfàn
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Una notte a New York in taxi con Sean e Dakota

Una notte a New York. Due in taxi. Cioè: una bella thirty something piuttosto incasinata – si capisce a occhio da quanto è nervosa – e un taxista âgé e per via del lavoro esperto di vita sua e altrui.

Lei prende la vettura all’aeroporto JFK di New York in direzione Manhattan, un passaggio trafficato da un’ora e passa che il film teatrale (e anche claustrofobico ma con garbo) riporta in tempo reale, tracciando le variabili di un’interazione a due, come direbbe un sociologo, senza mai uscire da o smettere di ronzare intorno all’auto pubblica.

Interazione a due che potrebbe prendere una piega horror, lo penso nei primi minuti, ingannato dalla tensione all’interno del cab e dalla tintura nera della barba che conferisce un aspetto demoniaco al taxista Sean Penn. Ma l’incontro potrebbe rivelarsi pure un abbozzo di love story, non dico una scopata – e però sempre la penniana barba da orco avverte che c’è troppo gap di età tra i due… Così, mi rassegno a pensare che Una notte a New York sarà soltanto un film tra due anime che per un attimo si toccano – uno choc da incontro benjaminiano con acceso tassametro – nell’alienazione del mondo contemporaneo; un passo a due nel caos del traffico con epifania incorporata riguardo altre chance di vita possibili… Dakota Johnson è perfettamente in parte. Penn giocoforza gigioneggia trasformandosi di volta in volta da ficcanaso in maieuta, da chiacchierone futile in analista dell’animo, da corteggiatore gentile in anziano prostatico che, senza uscire di vettura, vuol pisciare nel bicchiere del milk shake… Dakota inorridisce!

È in sala dal 19 dicembre con Lucky Red Una notte a New York, prodotto, scritto e diretto da Christy Hall (sceneggiatrice di It Ends With Us – Siamo noi a dire basta), qui al primo lungometraggio, sviluppando un testo che doveva essere teatrale, prima che se ne innamorasse Dakota (anche produttrice).

Hall considera la sua opera come un omaggio ai buoni vecchi rapporti umani ante social network. E infatti dichiara: “L’esperienza unica di chiacchierare con un tassista sboccato di New York sta innegabilmente facendo la fine dei dinosauri, rendendo questo film una sorta di capsula del tempo. È questa una piccola storia con implicazioni universali. La nostra connessione con gli altri, in particolare con coloro che non pensano, parlano o agiscono esattamente come noi, si sta estinguendo. Ma non fatevi illusioni. Un estraneo può cambiarci la vita,  se solo siamo disposti ad ascoltare”.

Intanto mentre il cab si ferma per far defluire le auto coinvolte in un incidente e mentre, dopo circa un quarto d’ora di sosta, siamo tentati di suonare il clacson per fare arrivare prima alla meta il taxi e poter così scendere anche noi, riepiloghiamo tutti i precedenti tassinari della storia del cinema (Sordi, De Niro, Jarmusch…), per trovare un paragone onorevole a Penn. Di sicuro Sean vince nella categoria gigioni/marpioni. Comunque: il film si fa vedere volentieri pur se da un momento all’altro temiamo che al taxista coli la tintura.

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