L’altra sera in televisione passava Io e Annie. Stando ai commenti su Facebook devono averlo visto in parecchi. E come al solito quando si tratta di Woody Allen, la più parte pare abbastanza commossa. Ora io che sono un inguaribile cinico e non mi commuove neppure lo spot del Mulino bianco quello della bambina col gattino sotto la pioggia, una spiegazione me la sono data. Ciò che muove a commozione non sono le vicende fritte e rifritte di un vecchio film del 1977. Conosco gente che si commuove persino pensando a quando era militare, e nel farlo è convinta di rimpiangere l’alzabandiera o la merda del nonnismo in luogo della perduta giovinezza. Figurarsi se non si emoziona pensando a quant’è vecchio Woody Allen, che poi quando morirà pioveranno i RIP, le foto e i coccodrilli.
Chiariamo subito prima che mi righiate l’auto con le chiavi: Woody Allen è un genio matricolato. Ma è il genio di una volta sola. I suoi film, quelli in cui recita sé stesso con le mossette, i birignao, le faccette e tutto il repertorio dell’imbranato nevrotico, possono essere visti una volta sola. La seconda stroppa, come quasi sempre accade con i caratteri. Perché il Woody Allen spermatozoo incapace, ladro deficiente o innamorato imbelle, sono le rappresentazioni di un carattere. Sempre lo stesso. Altro discorso quando Allen posa la maschera e racconta una storia in terza persona (Radio Days, Zelig…).
Certo, so che ci sono millantamila persone che adorano le maschere e i caratteri. Gente di valore e di pensiero che va pazza per Totò che fa Totò. So anche che c’è gente di assai scarso valore e pochissimo pensiero che adora Franco Franchi che ripete all’infinito la mossa dello scemo con la mascella. È il motivo che muoveva gli spettatori al teatro di Dapporto piuttosto che di Petrolini, l’attesa di quella gag, di quella mimica, di quel bercio caratteristico. Proviamo allora a dire qual è la differenza che corre tra un attore e un grande attore: Sordi che fa sempre Sordi (con la sola eccezione di un film politico e tristissimo) o Verdone che ripete all’infinito le sue quattro maschere. Il grande attore interpreta un personaggio; passa dal registro tragico a quello comico; è al servizio di una storia. Grandi attori: Gassman e Mastroianni, ad esempio.
È questa la ragione che ci fa assistere a più Re Lear, rivedere nonostante tempi narrativi di sapore pleistocenico Il settimo sigillo, ascoltare per la millantesima volta un’opera lirica. Ogni volta ci appariranno nuove e diverse. Mentre i tempi comici di Woody che fa l’imbranato sono solo dilatati oltre misura nell’attesa di ciò che sappiamo dovrà accadere. (Anche nel Settimo sigillo o nell’Antigone sappiamo come andrà a finire. Quel che non sappiamo è come reagiremo noi lungo il corso di una storia nota).
Lo so che sul capo della Madonna Piero della Francesca ci ha sospeso un uovo (e che uovo). Ma tutte le volte che lo vedo – l’uovo, la Madonna e tutto il resto – sono allibito dalla sua (dell’uovo) indispensabilità. Allen che fa il goffo e pronuncia le pur memorabili battute stile “anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano” la prima volta è sbalordente, la seconda è previsto, prevedibile e quindi stucchevole. L’amore vuole stupore. Se non glielo dai lo troverà altrove.