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Allonsanfàn
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In Correzione, Bernhard scrive come il miglior Bernhard

In Correzione, facciamo subito conoscenza con due prototipi bernhardiani, due austriaci nati in un Paese infame per storia recente se non per tradizione: c’è Roithamer che fa la spola tra Cambridge, dove insegna e studia scienze naturali, e la soffitta dell’imbalsamatore Höller, compagno di gioventù, che gli si è rivelata una sorta di “camera del pensiero” nonostante la casa dell’imbalsamatore sia sita nella gola piuttosto inospitale dell’Aurach in Alta Austria.

Qui, forte di un’eredità, Roithamer ha atteso all’impresa di ideare e costruire un cono da erigere nel centro del Kobernausserwald, la qual cosa in onore della amatissima sorella, e poi lavora allo scritto che dovrebbe integrare l’impresa, ma Roithamer sopporta di restare nella soffitta solo per pochi giorni di fila, prima di rifugiarsi nella sua proprietà di Altensam e poi, trovando insopportabile vivervi, fare ritorno da Höller o ripartire per l’Inghilterra…

Il secondo personaggio, l’abituale spalla bernhardiana, è il narratore. Guarito alla meglio da una polmonite e informato del suicidio di Roithamer, vuole trasferircisi lui stesso, nella soffitta, per ricordarlo o forse in qualche modo completarne l’opera. La soffitta di Höller, zeppa delle carte e di tutti i calcoli fatti per approntare il cono, appare anche al narratore, da sempre sodale di Roithamer, come un luogo d’ispirazione. Intanto, la costruzione, per volontà del suo creatore e per azione della natura nemica, va in rovina, essendo morta la sorella ed essendo un’impossibile promessa di felicità in un Paese che era il centro d’Europa e ora è uno stato fondato sulla ferocia di una borghesia nazista – che sia dannata l’Austria con le sue valli. Qualunque cosa rappresenti il cono per Roithamer, non faremo torto a Bernhard traducendolo in una letteraria torre post romantica – la letteratura tedesca è zeppa di torri, compresa quella di Amras – o in un bunker a cielo aperto oppure in tempio votivo, in simbolo fallico o in perfetta figura geometrica comunque destinata al disastro…

Thomas Bernhard negli anni Ottanta

Nel 1975 Bernhard, ormai assurto alla fama in patria e altrove, pubblica la prima parte dell’autobiografia, e con questo testo narrativo – che desidera e annuncia più radicale de La fornace – riprende i suoi temi e li tratta con una prosa smagliante pronta a divenire inconfondibile e non imitabile – a scapito di essere scontati, va ribadito: Bernhard come tutti i grandi scrittori è la sua prosa, perché è dentro questa che tutto accade.

Nei due lunghi capitoli sovrapponibili di Correzione – il secondo come coronamento del primo trattiene la versione (raggelante o agghiacciante) di Roithamer – brilla una miniera di topoi bernhardiani. Per esempio, l’eredità di un luogo odiato, la proprietà di Altensam, che viene rifiutata e dispersa dall’erede, in questo caso affidata non ai fratelli ma ai criminali usciti dal carcere. Anche qui troviamo un personaggio sull’orlo o oltre l’orlo della follia – per Bernhard spesso coincidente con l’estrema lucidità di indicare e ribadire il “non senso” di cui viviamo; c’è un’impresa apparentemente gratuita da compiere (il cono) e la scrittura impossibile di un’opera – il compito che un personaggio si autoimpone, al punto da farne il compito e il fallimento di un’esistenza – riflessa nel resoconto allucinato compilato dal narratore, il quale timbra il discorso diretto del protagonista di infiniti e burocratici “così Roithamer”.

Ovvero: “così Bernhard” crea, innescandolo con l’ira, l’angoscia e il disprezzo, un continuum di ripetizioni e riprese, appronta una forma labirintica – che spesso riporta il lettore allo stesso specchio dove aveva battuto la testa molte pagine prima – per la storia di una impossibile formazione e di uno scontato ma non per questo meno doloroso scacco.

Mi fermo, annotando le somiglianze della biografia di Rothaimer con la vita di Wittgenstein, che rimanda il lettore al più tardo Il nipote di Wittgenstein, e copiando due righe di George Steiner. Nel 1986, Steiner firma sul New Yorker Black Danube, noto saggio dedicato a Kraus e a Bernhard, di cui apprezza in particolare Correzione: “Erede della marmorea purezza della prosa narrativa di Kleist e della vibrazione di terrore e di surrealismo in Kafka, Bernhard ha fatto della frase breve, di un’impersonale sintassi, vistosa nella sua invadenza, e di una totale riduzione all’osso delle singole parole, uno strumento completamente adeguato al suo intento demolitorio. I primi romanzi di Beckett possono dare al lettore inglese un’idea approssimativa della tecnica di Bernhard…”. In Correzione è molto citato, significativamente, anche Adalbert Stifter.

La traduzione di Correzione è di Giovanna Agabio (riprende quella Einaudi del 1995) ed è una buona idea che il volume porti in cover un disegno di Alfred Kubin, autore particolarmente caro ad Adelphi per via del suo “libro unico” L’altra parte, che ne inaugurò la Biblioteca nel (lontano? Leggendo oggi Bernhard sembra ieri) 1965.

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