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Darwin, Nevada. Marco Paolini e il pensiero scientifico a rischio di estinzione

Nei sondaggi effettuati un quarto di secolo fa da Gallup, Istituto statunitense per le ricerche statistiche e l’analisi dell’opinione pubblica, alla domanda “da quanto tempo l’uomo si trova sulla Terra?”, il 45% degli americani rispondeva che è stato creato nella sua forma attuale circa 10.000 anni fa. Un altro 40% sosteneva invece che si è evoluto nell’arco di milioni di anni da forme di vita meno avanzate, ma sotto la guida di Dio.

Nello stesso periodo, nel 2001, dalla biblioteca di Cambridge venivano sottratti i quaderni di Charles Darwin, taccuini in cui lo scienziato aveva annotato le riflessioni che lo avrebbero condotto a formulare la teoria dell’evoluzione. Una ventina di anni dopo, nel 2022, i quaderni venivano misteriosamente restituiti, in una busta dov’era scritto “Librarian/HappyEaster/x”.

Chi ha rubato (o preso in prestito…) quei piccoli libri che hanno dato origine a una delle più controverse rivoluzioni scientifiche?

Parte da qui Darwin, Nevada, un progetto di Marco Paolini con la regia Matthew Lenton, in prima assoluta al Teatro Strehler di Milano fino al 16 febbraio 2025.

«Il pensiero scientifico è in via d’estinzione» ha commentato (desolato) Marco Paolini durante la presentazione alla stampa dello spettacolo. «E che ci sia gente che ancora nega la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin per una visione creazionista, beh, mi fa impressione. Tanto più nella prospettiva, a cui oggi siamo chiamati, di dare risposte serie sui destini del pianeta».

Ma cos’è Darwin, Nevada? È un racconto di frontiere, di spostamenti e migrazioni, di frammenti di storia della scienza, di conflitti e cambiamenti in corso. «Raccontiamo Darwin» ha spiegato Paolini «immaginando che i taccuini abbiano ripercorso il suo viaggio esistenziale in mano a qualcuno che volesse farne un racconto epico. Insieme a fatti di cronaca recenti come gli incendi in California o la profanazione con una bomboletta spray della tomba di Darwin, si riafferma l’importanza di una voce che deve pesare nel nostro tempo, quella della scienza». A vederli, a sentirli parlare, il regista Matthew Lenton e Marco Paolini sono quanto di più diverso si possa immaginare. Eppure, insieme, hanno trovato una sintonia che li ha portati a mettere a punto lo spettacolo (a cui, in realtà Paolini pensava da anni) in un tempo ridotto. Intrecciando i loro linguaggi, hanno saputo dare vita a una storia potente. «Abbiamo immaginato una ghost town dell’America profonda, in mezzo al deserto, Darwin, che nella realtà è in California, ma abbiamo giocato di fantasia spostandola in Nevada, dove una apocalittica alluvione – accaduta realmente nel 2023 – mette in crisi quattro personaggi: Emma, che ha il nome della moglie di Darwin, e poi una biologa attivista, una che bazzica Wall Street e uno sceriffo trumpiano, patito delle farfalle monarca. La loro storia si incrocia con il furto dei taccuini di Darwin. Noi giochiamo sull’identità del ladro di quei quaderni e su come il loro contenuto cambi la vita dei personaggi di fronte alla catastrofe ambientale».

Darwin Nevada Paolini
La conferenza stampa di presentazione di Darwin, Nevada. Da sinistra Claudio Longhi, direttore del Piccolo Teatro di Milano, Marco Paolini, il regista Matthew Lenton e l’interprete.

Nello spettacolo, a cui hanno collaborato scienziati come Niles Eldredge, teorico dell’evoluzionismo, James Moore, biografo di Darwin, Telmo Pievani e Francesco Niccolini, «convivono» ha detto Claudio Longhi, direttore del Piccolo Teatro di Milano, «la capacità affabulatoria di Paolini, la sua perizia artigianale nel plasmare un racconto contagioso in cui la parola vortica e danza liberamente, e il lavoro del regista Lenton, di rara suggestione visiva, dal registro onirico, in bilico tra drammatico e post drammatico».

Paolini è partito da un interrogativo ben preciso: «Quello che si chiede cosa rimanga oggi di una teoria che è stata tra le rivoluzioni scientifiche più importanti. Che è anche tra le più controverse, perché è difficile accettare che l’uomo non sia frutto di un Dio ma di una evoluzione, e che non abbia un posto speciale nell’universo ma sia una delle infinite forme di vita». Una deriva che aveva già preoccupato Darwin. Prima di pubblicare nel 1859 L’origine della specie, aveva impiegato quasi due decenni a cercare prove, riscontri alle sue teorie, consapevole che, nei loro fondamenti, sarebbero entrate in rotta di collisione con il pensiero comune e con le religioni.

La solidità della scienza e la sua verità sono oggi in pericolo? «Quello che vedo» ha risposto Paolini «è che la paura di un futuro incerto, a partire dai cambiamenti climatici che non sappiamo governare, sta portando a galla pregiudizi antiscientifici e pericolosi fanatismi. Il nostro è un tempo in cui le cose stanno cambiando velocemente e noi siamo il motore di questo cambiamento, ma non possiamo governarlo perché non siamo capaci di rallentare».

Per capire che aria tiri, non servono le trionfanti dichiarazioni del neoeletto Presidente degli Stati Uniti. «Basta ascoltare i lamenti dell’industria dell’automobile in Europa per realizzare che è difficile cambiare passo nella strada sulla quale siamo. E allora, se non c’è mitigazione possibile, l’unica alternativa è l’adattamento. Noi in teatro dobbiamo raccontarlo. Quanto ha scritto Charles Darwin ci dice esattamente questo e che l’adattamento sarà feroce. Ne faranno le spese molte delle cose a cui siamo affezionati».

Chi è Charles Darwin per Matthew Lenton?

«La maggior parte di noi lo conosce come scienziato che ha fondato la teoria dell’evoluzione, che di fatto renderebbe inutile l’esistenza di Dio» ha risposto il regista. «Prima di iniziare a lavorare sullo spettacolo, per me Darwin era uno scienziato che basava i propri ragionamenti su prove oggettive. Poi, quando ho iniziato a concentrarmi sull’essere umano Darwin, ho capito che si trattava di uno come tutti, con lo stesso bagaglio di ansie, problemi, angosce. Nello spettacolo, Darwin è lo scienziato al quale facciamo ricorso per riflettere sulla crisi che sta affliggendo il nostro mondo. Che è alla base della storia in palcoscenico, vicenda comunque di fantasia ambientata nel presente».

E chi è Darwin per Marco Paolini?

«Per me è un antieroe, ma soprattutto qualcuno che esorta a tacere. C’è una foto che lo ritrae molto anziano, capelli bianchi e barba fluente, mentre con l’indice sulle labbra sembra invitare a fare silenzio. Sembra che ci voglia dire prima di parlare studia. Amo la sua antiretorica perché mi ricorda Pasolini che, quand’era intervistato, abbassava la testa e prendeva tempo prima di rispondere. Oggi, in quello spazio di riflessione, infilerebbero tre spot pubblicitari».

  • Darwin, Nevada, al Piccolo Teatro Strehler di Milano fino al 16 febbraio 2025. Progetto di Marco Paolini, regia Matthew Lenton, con Marco Paolini e con Clara Bortolotti, Cecilia Fabris, Stefano Moretti, Stella Piccioni.
    Coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Stabile di Bolzano, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Vanishing Point, Jolefilm in collaborazione con La Fabbrica del Mondo
  • Foto in apertura: Marco Paolini con il regista di Darwin, Nevada Matthew Lenton. Credit: Masiar Pasquali
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