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Allonsanfàn
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Noi e loro, e la faccia da grande attore di Vincent Lindon

Guardo Vincent Lindon in Noi e loro (il titolo originale è Jouer avec le feu, quello internazionale The Quiet Son) e penso che, con gli anni, ha acquistato una bellissima faccia da grande attore francese.

Non so bene che cosa significhi, ma basta la sua faccia in primo o in primissimo piano per fare cinema – la fronte alta, gli occhi chiari, sottolineati dalle occhiaie, il naso importante, la bocca che è un taglio. Lindon è il riassunto di tutti i vecchi protagonisti di polar e porti delle nebbie, di commedie dai cuori invernali e drammi della douce o amara France.

Di recente, Vincent Lindon ha illuminato lo schermo, mostrando i travagli di uomini comuni, come gli operai o i dirigenti sotto pressione nella stupenda trilogia sul lavoro di Stéphane Brizé. Lì, in quelle storie, Lindon combatte in una società incivile e feroce che se ne frega di lui e che quasi irride i suoi sforzi, lui che invece è pronto a lottare finché attorno sopravvive un barlume d’onestà. Il barlume che trovi sulla sua bellissima faccia, invecchiata, da grande attore francese.

Pensavo a questo guardando Noi e loro – quando cominciamo a dire “noi e loro”, “loro” hanno già vinto, è questa la morale – il film di Delphine e Muriel Coulin, dove Lindon è di nuovo un umile combattente in un posto difficile. Interpreta Pierre, padre vedovo che abita a Metz, Francia del Nord Est, sgobba in giubbotto arancione alle ferrovie e, appena smonta, corre a casa, apparecchia tavola e prepara da mangiare ai due figli.

Louis, il più giovane, è silenzioso e saggio: avanza nella vita fino ad ambire, da provinciale, a iscriversi alla Sorbona – è in tal senso riuscito e significativo il viaggio a Parigi dei due, padre e figlio, “rispettosi” e quasi un po’ intimoriti mentre prendono in affitto una stanza per lo studente nella capitale.

Intanto, il figlio maggiore, soprannominato Fus, gioca al calcio, ma appena il padre distoglie lo sguardo, si mescola a una banda di violenti e razzisti, fascisti di cui pullula il mondo, ponendosi agli antipodi dei valori in cui è stato cresciuto. Le conseguenze delle scelte di Fus saranno drammatiche e ricadranno sul resto della famiglia… Di nuovo Lindon mette la sua bellissima faccia impassibile o pietrificata dal dolore in un film che narra la storia attuale del suo Paese (e a ben vedere anche del nostro).

Dice la scheda del film, e io sottoscrivo, che Delphine e Muriel Coulin “dirigono con affetto e precisione un dramma familiare intenso, attuale e coinvolgente, un film d’attori e di emozioni capace di parlare a più generazioni con un monumentale Vincent Lindon (Coppa Volpi a Venezia 81) e il talento fresco e versatile di Stefan Crepon (Peter von Kant) e Benjamin Voisin (Illusioni perdute)”. Buona visione.

A margine È curioso il fatto che Lindon sia invece un parigino dell’ottima borghesia, figlio di un industriale e nipote addirittura di Jérôme Lindon, leggendario editore delle Éditions de Minuit (avete presente la cosiddetta Scuola dello Sguardo?), nonché ex fidanzato in gioventù della principessa Carolina di Monaco. È curioso anche che abbia debuttato facendo il regista a teatro per l’anarchico talento di Coluche e poi sia arrivato alla fama con lo zuccheroso Il tempo delle mele. La prima parte della sua carriera lo ha visto più volte anche nella banda degli scalcagnati sodali di Claude Lelouch. E però non è mai stato felice al cinema come adesso, dopo Venezia (“sono pazzo di felicità”, ha detto fresco di coppa Volpi) e dopo aver preso gli applausi di Cannes per Titane di Ducournau.

  • Tra l’8 e l’11 febbraio gli attori protagonisti faranno un tour delle sale italiane che toccherà Firenze, Milano e Bologna. Il 10 febbraio l’Università IULM di Milano attribuirà il Master honoris causa in arti del racconto a Vincent Lindon (diverte notare che il mondo è capovolto: sarà Lindon a dare dignità alla università milanese e non viceversa). Il film è nelle sale dal 27/2
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