Prologo. Jamaica Kincaid, la scrittrice di nascita di Antigua, locata letterariamente sempre a un passo dal Nobel, qualche tempo fa è stata protagonista di un incontro milanese che aveva per titolo This Topic: le conseguenze del colonialismo. Un piccolo gruppo educato di persone la ascolta e si emoziona un po’ a vedersi davanti l’autrice di libri di culto, come Lucy o Vedi adesso allora (Adelphi, come gli altri).
Ecco che dopo i convenevoli e i saluti e le traduzioni incrociate, Kincaid dice con tranquillità che “un piccolo gruppo di persone, gli europei, un tempo sono usciti dalle loro terre per imporsi al resto del mondo, depredando e facendo violenza”. Citando un suo romanzo, può aggiungere sarcasticamente che gli inglesi devono essere ben tristi e sopportarsi ben poco l’un l’altro visto la foga con cui hanno lasciato la loro isola per andare all’avventura.
Strano poi che abbiano cercato di trasformare in una sorta di Inghilterra le terre che hanno conquistato. Potevano stare a casa dato che ogni luogo è stato trasformato a somiglianza dell’isola madre… “Si può perdonare ma non dimenticare”, dice Kincaid. “Non amo la parola rimediare… Il male non si riscatta con i soldi, può unicamente essere fermato, si può solo pensare a una giustizia che ponga piatti uguali sulla bilancia”.
Da una medaglia d’onore inglese, che effigia uno schiavo nero in catene, ai forni crematori, aggiunge, il passo è breve. Inutile scrollarsi di dosso l’impressione che siamo tutti molto inglesi… Ho raccontato questo perché svela in un episodio marginale la chiarezza di pensiero e di ispirazione dietro e dentro l’opera così viva di Kincaid.
Ritrovo ora Jamaica Kincaid in Passeggiata sull’Himalaya (Piccola Biblioteca Adelphi), che fa parte della sua produzione non fiction. È il reportage di un viaggio di interesse botanico, che si svolge al seguito di un amico vivaista sulle colline pedemontane dell’Himalaya per “raccogliere semi” e magari riportarli nel Vermont, dove Kincaid risiede con il figlio Howard (il libro esce nel 2005, raccontando episodi del 2002). Che Kincaid abbia una passione botanica è noto, idem la sua propensione a chiamare fiori e piante con i loro nomi latini – sulla tomba di suo padre in Mr. Potter raccontò di aver trovato assenzio, usato dalla madre come elisir di pulizia per l’utero, insieme a Tradescantia Albiflora…
Passeggiata sull’Himalaya ci reca la Kincaid che meglio conosciamo nel saggio introduttivo – quella dei temi che mai abbandona, i crimini non solo ideologici di colonialismo e post colonialismo – e insieme una scrittrice che si muove agilmente su un altro registro, rimanendo riconoscibile. I suoi intrecci di parole si sciolgono ora nella verve di un’osservatrice vigile sul crinale dove la cronaca diaristica può imbattersi nella storia.
Comunque. Among Flowers – titolo originale del libro, vivacemente tradotto da Franca Cavagnoli – rammenta nella prosaicità dell’esotismo di oggi un tempo vastissimo che retrocede addirittura fino all’Eden e alla Caduta.
Poiché Kincaid scrive non di agricoltura (Albero della Vita) ma di giardino (Albero della Conoscenza), è giustificato il ritorno al prototipo biblico, che si specchia a sua volta nell’Africa lussureggiante ridotta a Nuovo Mondo dai colonizzatori.
Il viaggio di Kincaid, così ben organizzato dalla modernità a servizio dei turisti, comincia però idealmente con quello di Colombo, oppure sulla nave del capitano Cook che solca il Pacifico portandosi a bordo il botanico Joseph Banks, il quale – prima di trastullarsi con le piante – capisce come l’albero del pane cresciuto lontano dalle Indie Occidentali, poiché cresce in assai in fretta, sia un buon cibo per gli schiavi delle Indie Occidentali…
Egualmente Kincaid avrà per luce durante il suo tracking nepalese “il raccoglitore di piante” Frank Smythe, autore di The Valley of Flowers, che ha ispirato il titolo di Among Flowers e aiutato Kincaid a capire che si poteva girare il mondo, resuscitando un Eden perduto, per scoprire una nuova primula, raccogliere i semi di fiori e piante sconosciute. Dunque seguiamo la scrittrice in questa e altre scoperte dove, in bilico sopra lunghi ponti pensili, tra attacchi di sanguisughe e trattative nei villaggi in mano ai maoisti, può mostrare anche un’inusuale leggerezza e aprirsi alla meraviglia. Con la consapevolezza che il suo giardino nel Vermont, questo simulacro dell’Eden, da idillio diverrà ideale “solo se potrò popolarlo di piante provenienti da un’altra parte del mondo”.