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Allonsanfàn
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In the Mood for Love di Wong Kar-Wai e il segreto dell’amore

Alle 10.40 di un mattino di sabato, le sedie del benemerito Beltrade di Milano sono tutte occupate per In the Mood for Love. A naso, nel 2000, anno di uscita del film di Wong KarWai, quasi metà della sala non era ancora nata. Non è la prima volta che il capolavoro romantico del regista di Hong Kong viene riproposto al cinema, ma ogni volta il pubblico risponde ardente. La storia vissuta al rallentatore nella Hong Kong del 1962 da due vicini di casa, la signora Chan e il signor Chow, che scoprono fedifraghi i rispettivi coniugi e indagano sul come e sul perché, attrae irresistibilmente chiunque.

In the Mood for Love Wong Kar Wai

Senz’altro lo splendore filiforme di Maggie Cheung nei suoi elegantissimi qipao; la poetica visiva del regista, che ci regala un quadro perfetto a ogni inquadratura; la colonna sonora dove volano alte, indimenticabili, canzoni d’amore cantate in spagnolo da Nat King Cole, hanno un peso specifico non indifferente. Che non basta, però, a spiegare il potere suadente, irresistibile, di questa pellicola ormai leggendaria. Anche perché tutto quel che si vede e si sente al di là dei dialoghi, quindi i colori dei vestiti e della carta da parati, le finestre, gli angoli di strada, la pioggia, le macchine da scrivere, non sono mai capriccio estetico, ma narrazione imprescindibile.

In the Mood for Love è il trionfo del vero cinema. Il cinema puro, che non a caso usa a mani basse i soliti meravigliosi, indispensabili rossi e verdi del Technicolor – chiedere alla buon’anima di Lynch, a Wes Anderson, soprattutto al Maestro Hitchcock in Vertigo (La donna che visse due volte) – quei colori fermati con sapienza da Victor Fleming ne Il mago di Oz (chi volesse approfondire, cerchi il documentario di Alexandre O. Philippe Oz-Lynch, anch’esso proiettato al benemerito Beltrade nel 2022), quei colori che da allora disegnano immagini oniriche, e che anche qui compaiono più e più volte.

La signora Chan (Maggie Cheung) e il signor Chow (Tony Leung, anche lui bellissimo, l’elogio dell’uomo in giacca e cravatta), indagando sulle loro solitudini ed elaborando la sindrome d’abbandono, a loro volta s’innamorano. Wong Kar-Wai usa spesso il ralenti, mai per sfizio, bensì per dirci quel che qualunque innamorato sa molto bene: nella mente di chi è in the mood for love”, ogni gesto dell’amato, ogni singolo particolare vive nel tempo reale degli accadimenti, ma rivive altre mille volte nei ricordi, in un certo senso fotografato, fermato nella mente per poterselo riguardare con calma, con gioia oppure con rimpianto, a seconda di come va a finire, proprio come in un  film.

In the Mood for Love Wong Kar-wai
Il signor Chow (Tony Leung) e la signora Chan (Maggie Cheung)

Chan e Chow inizialmente vogliono capire per quale motivo sono stati traditi, desiderano vivere situazioni che invece neppure in sogno potranno mai conoscere veramente. Come sarà iniziata? Quali parole avranno pronunciato i loro partner? L’altra, l’altro, fantasmi imperscrutabili, cosa mangiano, cosa amano e cosa odiano? Un mistero insondabile, eppure allo stesso tempo, vicinissimo: mettendo in scena i possibili eventi – addirittura provano a recitare i dialoghi che potrebbero essere intercorsi tra gli amanti, mangiano insieme al ristorante piatti che forse stati ordinati – ecco che ai due protagonisti accade la stessa cosa accaduta ai loro partner. Fino a arrivare a sentire nelle loro stesse emozioni reciproche la risposta a tutte le domande, perché come si dice a un certo punto, “Adesso ho capito. Le cose accadono, così”.

Gli amori clandestini nascono per attrazione sessuale, ma anche perché con una specifica persona, che veste in un certo modo, si muove in un certo modo, parla in un certo modo, pensa in un certo modo, riemerge un dialogo agito e muto che s’era interrotto o non c’era mai stato. Capita che ci s’innamori anche recitando l’amore, il bisogno di connessione è invincibile, dice Wong Kar-Wai, che per questo film s’è vagamente ispirato a un racconto breve intitolato Un incontro, di Liu Yichang.

In the mood for love Wong Kar Wai
Eröffnungsabend der 63. Berlinale
Jurypräsident Wong Kar-Wai

Amiamo questo film anche perché mette in scena qualcosa che tutti sperimentano: cercano di contrabbandarci l’idea, utile all’ordine sociale, che il vero amore sia nel quotidiano, anche quello prosaico, andare insieme a fare la spesa al supermercato, decidere se investire i risparmi per una nuova cucina o per un viaggio all’estero, comprare casa o affittarla. Ma uomini e donne continuano invece a cercare soprattutto quel che tiene vivo il cuore. Come fa pensare Marguerite Yourcenar all’imperatore Adriano: “Quasi tutto quello che gli uomini han detto di meglio è stato detto in greco” e dunque sempre lì si torna, all’eterno ideale di Platone, al mito del Simposio:Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, per tornare all’antica perfezione”.

Il film si conclude in Cambogia, al tempio di Angkor Wat. Lì il signor Chow, sconfitto, come la signora Chan, dai pregiudizi sociali che paralizzano gli slanci, compie un rito antico del quale aveva parlato con un amico, per preservare il suo amore segreto. «Quando ripensa a quegli anni lontani, è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato. Il passato è qualcosa che può vedere, ma non può toccare; e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto», recita l’epilogo. Come dire: la nostra mente è un tempio inaccessibile, dedicato ai ricordi di quel che ha segnato la nostra cifra di umani, poco importa se con l’happy end o meno.

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