Il “comune spettatore”, cioè non il critico cinefilo che si eccita di citazioni cinematografiche, ma (per dirla come Oreste Del Buono nell’omonimo libro edito da Garzanti) “quello che paga il biglietto”, non amerà troppo Le donne al balcone, e se poi il “comune spettatore” è di sesso maschile non lo amerà proprio per niente questo film dove gli uomini fanno tutti una brutta figura e una bruttissima fine, risultando insopportabili persino post mortem in veste di fantasmi petulanti.
È un film tutto fatto da donne, Le donne al balcone–The Balconettes della regista Noémie Merlant (ex modella e già premiata attrice protagonista del Ritratto della giovane in fiamme), che ne ha scritto anche la sceneggiatura insieme a Céline Sciamma. A firmare la fotografia è Evgenia Alexandrova, e le musiche sono di Uèle Lamore, compositrice di brani sperimentali e direttrice d’orchestra, qui autrice della colonna sonora “di ispirazione jazz” – come lei stessa l’ha definita – con dissonanze da jam session: variazioni sul tema in contrappunto alle sregolatezze di una trama truculenta che balza e rimbalza senza freni da un genere cinematografico all’altro.
Il suddetto team femminile (tutte “ragazze” generazione X o più o meno millennial) ha dato vita a un film coraggioso e imprevedibile, pieno di errori, difetti, e di “sana volgarità” (sostiene Merlant): una black comedy all’insegna della sorellanza che però ben presto si trasforma in thriller, ghost story, pulp, splatter, gore e quant’altro, con una tale quantità di citazioni – Hitchcock Almodóvar Tarantino e tanti altri ancora, da far pensare, se non vi si percepisse dentro una autentica passione “umana”, che potrebbe essere il prodotto creato dai un’Intelligenza Artificiale in funzione al tema del film.
Con le prime scene (immagini bellissime) riprese dall’alto a inquadrare i balconi di un caseggiato dove gli inquilini spiano stancamente gli uni nelle case degli altri siamo dalle parti della Finestra sul cortile. Ma poiché ci troviamo a Marsiglia in un arroventato giorno d’estate, abiti e colori sono quelli pacchianamente mediterranei di un Almodóvar, sgargianti, violenti, eccessivi, adatti alle protagoniste del film: tre amiche e coinquiline, un’aspirante scrittrice, una professionista della web cam contenta del lavoro che fa, e la terza, un’attrice che le raggiunge arrivando da Parigi in fuga dal marito (la tormenta con la continua richiesta di fare un figlio) ancora vestita come nello sceneggiato che sta girando su Marilyn Monroe, l’abito rosso del film Niagara.
E dunque dal balcone di quelle tre se ne cominciano a vedere, di cose. Intanto una donna anziana con evidenti segni di recenti percosse, che con un getto d’acqua viene risvegliata dal sonno o forse da uno svenimento, dal marito che la sollecita a preparare la cena “senza fare troppi drammi”, cosicché la donna finalmente gli spacca la testa con una pala e lo finisce soffocandolo col peso del suo possente sedere. Con questo inizia la serie di maschi che splatteralmente vengono fatti fuori, compreso il dirimpettaio delle tre ragazze, un fotografo di moda che sembrava perbene ma quando le invita una sera a cena nel suo appartamento cerca di stuprare la web cam girl Ruby e perciò finisce letteralmente fatto a pezzi, anzi a pezzettini, uno dei quali, la punta del suo membro, finirà nel frigorifero delle ragazze.
Tutti predatori, stupratori, violenti, i maschi di questo film?: «Mi sarebbe sembrato banale mettere anche quello “buono”, come il poliziotto buono dei polizieschi, si sa che esistono anche uomini rispettosi…», spiega la Merlant. Comunque qualcuno di questi maschi se la cava con una “lezioncina” come nella sequenza dove Ruby, piegando violentemente il polso a un attonito cassiere di supermarket che l’ha vista in rete nel suo lavoro e fa dello spirito sulle “donne di oggi”, gli spiega – a lui maschio e pertanto portatore di genitali platealmente “esterni” – come invece quelli femminili si trovino “dentro” il corpo, come un tempio sacro, una grotta, una casa dove per entrare bisogna chiedere permesso, aspettare il momento giusto sfiorando con dita delicate il clitoride, che è circondato da circa diecimila terminazioni nervose e dunque molto sensibile e, insomma, come dovrebbero aver insegnato da piccolo anche al cassiere del supermarket – gli ricorda Ruby – in casa d’altri non si entra sfondando la porta. Due minuti di film che andrebbero fatti vedere ai ragazzi nei corsi scolastici di educazione sessuale. Ma (domanda): ci sono, a scuola, i corsi di educazione sessuale?
Credit: 2024 NORD-OUEST FILMS – FRANCE 2 CINÉMA Foto della regista Noémie Merlant: (c) Kit Harington
- Jonne Bertola ha pubblicato il romanzo Fuori Copione (LuoghInteriori