“Se esiste l’antimafia vorrà dire che esiste pure la mafia”. La frase di Luciano Liggio ripresa tempo fa da Marcello Dell’Utri (ognuno ha le sue fonti di ispirazione) può essere letta in modo diverso da quanto intendeva il padrino corleonese. Perché in effetti l’antimafia esiste quando esiste la mafia salvo poi subirne la strategia di inabissamento che ne contraddistingue la storia. Il periodo corleonese, fatto di omicidi e stragi, è infatti solo una parentesi di una storia centenaria dove meno chiasso si fa meglio è. Tanto è vero che appena passata lo tsunami delle bande assassine guidate da Totò Riina è tornato il quieto vivere.
La mafia è sparita dalle pagine dei giornali, cambiando strategia si è fatta pure antimafia, e l’antimafia quella vera, movimento ad alto tasso di emotività, ha ripiegato. È quanto racconta Franco La Torre, figlio di Pio La Torre parlamentare del Pci ucciso da Cosa Nostra nel 1982, nel libro L’antimafia tradita. Riti e maschere di una rivoluzione mancata (Zolfo).
Torre, tramite la storia di famiglia, racconta l’evoluzione del movimento antimafia, prima caratterizzato dalle lotte contadine con le uccisioni dei sindacalisti e poi movimento urbano quando la mafia dalle campagne si sposta nelle città. L’impegno civile fa parte del Dna della famiglia che prima con il padre e la madre e poi con Franco attraversano decenni di storia siciliana e di evoluzione delle lotte contro Cosa Nostra. Pio La Torre con Virgilio Rognoni firmò la legge che introdusse il reato di “associazione di tipo mafioso”, il famoso articolo 416 bis, e le misure patrimoniali contro le ricchezze illecite.
Franco La Torre racconta la vicinanza del Partito quando il padre viene ucciso, vicinanza che sbiadisce negli anni come il colore rosso delle bandiere e le sigle che si sovrappongono. E bisogna aspettare Gianfranco Fini, presidente della Camera, per vedere realizzata una targa che nel salone d’ingresso di Montecitorio ricorda l’unico parlamentare ucciso dalla mafia. Prima di lui non ci avevano pensato i presidenti Nilde Jotti, Giorgio Napolitano e Luciano Violante.
La madre è sempre più impegnata nel movimento contro la criminalità organizzata, ma con l’avanzare degli anni gli cederà il testimone. La Torre si trova così catapultato in Libera che gli regala esperienze, amicizie, umanità. Partecipa ai lavori dell’associazione, si occupa della rete europea fino ad allora gestita con disinvoltura, entra a fare parte dell’ufficio di presidenza, ha un ottimo rapporto con don Ciotti. Poi si candida con Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia, una scelta non brillantissima, ammette. Don Ciotti però lo sostiene, tutto sembra procedere, nonostante l’insuccesso elettorale, fino all’assemblea nazionale di Libera ad Assisi che si svolge nel novembre 2015.
La Torre si presenta con un intervento di analisi critica della situazione. In 12 minuti spiega l’involuzione dell’associazione, l’incapacità di vedere ciò che succedeva a Palermo con Silvana Saguto e a Roma con Roma Capitale. E cita la riunione nella sede romana di Libera alla quale parteciparono anche personaggi che sarebbe stato meglio evitare. “Non abbiamo bisogno di lezioni” è il commento immediato di don Ciotti. Nei giorni successivi non c’è modo di chiarirsi con il leader, poi il 13 la doccia fredda. Un sms lo liquida: “È venuto meno il rapporto di fiducia”. È l’ultimo contatto fra Franco La Torre e don Ciotti.
Poi ci sono le voci su un dossier che conteneva le sue malefatte, La Torre che voleva soffiare il posto a don Ciotti. L’associazione si chiude a riccio. E quando si scopre l’indagine su Antonello Montante campione dell’antimafia, don Ciotti rinnova “ad Antonello” tutta la sua fiducia.
Incapace di fare rete, appiattita sulle indagini dei magistrati, non in grado di leggere il movimento sommerso di una mafia scomparsa solo in superficie e che addirittura gioca a fare l’antimafia, il movimento contro la criminalità organizzata “sembra essere diventata uno stanco rito dove sempre le stesse persone ricordano i caduti di una terribile guerra”.
Parole molto chiare per un libro scomodo, che non piacerà a molti e che per questo ha visto stendere attorno a sé una cortina di silenzio. Se avrà poche presentazioni non sarà per paura degli assembramenti e del Covid.
Il libro. Franco La Torre L’antimafia tradita (Zolfo)