Manifesto del libero pensiero (La Nave di Teseo/Repubblica) è un libriccino scritto da Paola Mastrocola e Luca Ricolfi. La prima reazione è la stizza: capperi, dovevo scriverlo io questo pamphlet; era tanto che ci pensavo, mannaggia a me. La seconda è lo sgomento. Ma come, le censure stupidissime e infantili che gli autori elencano non accadevano in qualche lontana università della California? Ma come, le cancellazioni infami e tutto il repertorio dello sciocchezzaio nativista, terzomondista e africanista (“Torniamo alle radici”!) che il povero Harold Bloom denunciava con vigore pari solo al suo immenso coraggio ne Il canone Occidentale adesso riguardano anche noi? Parrebbe che sì. Il tentativo di rimozione di tutto ciò che non garba perché ritenuto non inclusivo se non addirittura offensivo, è in atto anche nel Regno Unito, in Francia e in Germania. Un fantasma s’aggira per l’Europa. È lo spettro del ridicolmente corretto.
Gli esempi di Mastrocola e Ricolfi formano un catalogo esaustivo delle ingenuità, delle scempiaggini e dei veri e propri misfatti compiuti dai crociati del politicamente correttissimo. Scorrendo le pagine troverete tutto: dalle sciocchezze sull’uso della lingua al trionfo della permalosità, dalla morte dell’ironia alla censura della storia e al razzismo all’incontrario: vietato a una poetessa bianca tradurre l’opera di una poetessa nera; obbligatorio scritturare un attore omosessuale per doppiare un attore omossessuale; se vuoi parlare d’Islam devi essere islamico, donna se l’argomento è la condizione femminile, africano se il tema è l’Africa. Per estensione, si potrebbe inferire che è impossibile studiare il mondo degli anfibi a meno di essere una rana. Inutile sottolineare come in questo festival della castroneria il merito – ovvero la competenza, il talento, l’impegno – sia più impalpabile della verginità di Maria.
Alle ortiche Platone e Aristotele, maschi di pelle bianca teorici della schiavitù. Smettiamo di rappresentare Shakespeare perché dileggia gli ebrei. Fuori dalle biblioteche scolastiche anche personaggi come Tom Sawyer e Huck Finn nei cui dialoghi gli afroamericani vengono chiamati negri. Stop anche a Dumbo per via delle orecchie e ai Sette Nani per ragioni di brevità. Abbattiamo le statue erette in onore di Colombo e di quel criminale di Winston Churchill. Eccetera eccetera eccetera. Sembra uno scherzo, una parodia, una pièce del teatro dell’assurdo. Invece è tutto (ridicolmente) vero.
Come e perché ci siamo ridotti in questo stato? La responsabilità secondo gli autori va cercata a “sinistra” (lo scrivo tra virgolette perché il significato oggi è più oscuro di un canto orfico), al progressismo di matrice sessantottina che stabilisce moralisticamente cos’è il bene e cosa è il male, cosa è inclusivo e cosa escludente; operoso come un baco da seta compila liste di proscrizione da Esiodo sino ai giorni nostri. Purtroppo l’analisi di Mastrocola e Ricolfi trascura di menzionare l’altro fenomeno clamoroso, cioè l’assenza di una destra conservatrice e democratica; è una postura mentale classica da parte dei critici del mondo di “sinistra” (tra virgolette). E la mancanza di una destra presentabile rende claudicante il confronto politico nella società italiana.
Ho usato il termine claudicante.«Agg. [part. pres. di claudicare]. – Zoppicante, zoppo: passo c.; è c. dalla nascita. Anche in senso fig.: periodi c., in un pezzo di prosa; nel linguaggio giur., contratto c., quando uno dei contraenti non è nelle condizioni richieste per contrarre validamente» recita la Treccani. Il rischio è aver urtato la suscettibilità di qualcuno (pochi, tanti?). Succede abbastanza spesso. Persino qualche lettore delle mie “Madeleine” si è lamentato per l’uso di termini come “cerebroleso”, “ritardato mentale” riferiti a qualche uomo politico non particolarmente dotato, sentendosi in qualche modo (quale?) offeso. Forse per via di una persona cara, un congiunto, un amico, la zia Peppina. Purtroppo di individui cerebrolesi in senso figurato e non è pieno il mondo, e le loro doti cognitive non muteranno anche se espurgassimo – come qualcuno propone – i dizionari. Così come non ricrescerebbero i capelli ai calvi, anche le persone in sovrappeso che abbiamo sempre allegramente e impunemente chiamato “ciccioni” non perderebbero neppure un etto grazie alla censura.
Ciccione, calvo, ritardato mentale (ecc. ecc.) sono una descrizione della realtà oppure sono sempre e necessariamente un’offesa? Anche in questo caso viene in nostro soccorso la difficile arte della distinzione. Ci aiuta a comprendere le differenze tra situazioni, casi e contesti. Non è un mestiere facile. Diciamo che è una conquista propria dell’età adulta, condizione che parecchi individui non riescono a raggiungere. A questo proposito nei giorni scorsi mi sono imbattuto in un’affermazione sorprendente: “Mi piace parlare delle persone con cortesia, ma delle cose con libertà”. È attribuita a Robert Boyle, chimico, fisico, inventore e filosofo naturalista irlandese, famoso anche per i suoi scritti di teologia (sul finire dei Seicento i confini dei saperi non erano definiti come lo sono oggi). Credo che questa petite phrase, insieme ad un’altra formulata da Emma Bonino (“Il personale è politico, ma il privato non è pubblico”) sia più che sufficiente per scavalcare senza danni i cavalli di Frisia degli adepti del ridicolmente corretto. La libertà di pensiero e di parola (mi viene da aggiungere: pure l’amore per la grammatica, la morfologia e la sintassi) sono valori non negoziabili.
La terza e ultima reazione (alla lettura del libriccino) è lo sconcerto prima e l’irritazione poi. Dove sono finiti i Pillon, i Bannon, i monsignori Viganò e tutta l’accozzaglia nazional-sovranista, i nemici delle libertà che distinguono le democrazie occidentali dai medioevo? Omettere le origini del “ridicolmente corretto” nato quale sacrosanta risposta alla violenza verbale di fascisti, maschilisti e omofobi assortiti, mi pare disonesto oltre che inelegante. L’ennesima rimozione all’insegna di un altro “politicamente” corretto?