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Allonsanfàn
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Julian Barnes e la morte. Niente paura, tanta paura, zero cupezza

Sappiamo che un giorno non esisteremo più, qualcuno prima o poi ha dovuto confessarcelo quando eravamo bambini, magari perché “era morto il nonno”, o perché qualcuno che conoscevamo spariva improvvisamente dalla circolazione e non potevano, gli adulti intorno a noi, far finta di nulla.

Questo lacerante “réveil mortel”, come lo chiama lo scrittore Julian Barnes (Leicester, 1946) in Niente paura (Einaudi), termine di ardua traduzione (la consapevolezza improvvisa di dover morire? Mah), questo strappo nell’illusione di essere immortali viene poi, negli anni, lentamente metabolizzato, rimosso dal vivere quotidiano, trasformato in maleficio che riguarda gli altri ma noi no, non ancora, non adesso, e poi vedremo. Finché, oltrepassata una certa soglia (anagrafica o anche solo mentale) riemerge come un fastidioso rumore di fondo, sempre meno lontano, sempre più assordante.

Barnes, che del pensiero della morte, e soprattutto della sua personalissima e inaccettabile caducità, è ossessionato al punto da svegliarsi piangendo nel cuore della notte, ha deciso di farne il cuore di una narrazione che, in 256 pagine, diventa memoir d’infanzia, lessico familiare, riflessione filosofica, esercizio supremo di cultura, tormentone (auto)ironico, implacabile frantumazione di ogni lieto fine religioso: pensare che, dopo aver chiuso gli occhi per sempre, li riapriremo (almeno in senso metaforico) nell’Aldilà, con una divinità di buon carattere che ci aspetta sulla soglia come il titolare di un metafisico hotel a infinite stelle, è francamente puerile, obietta Barnes. Oltretutto, per chi non si rassegna all’idea, rinascere come anima disincarnata e amorevolmente accudita (in un qualsiavoglia paradiso) o come particella quantistica fluttuante in un nulla-tutto cosmico insieme ad altre microentità, è di risibile consolazione.

Ma non solo di se stesso racconta lo scrittore inglese. Ben prima di lui, molto meglio e più profondamente di lui – come  ammette – altre anime inquiete si sono poste la stessa domanda: perché? Seguita da tutte le variazioni sul tema: perché io? Perché ora? Soffrirò? Me ne accorgerò? Morirò da solo? Nel mio letto, in un ospedale? Come potrà il mondo esistere dopo di me, senza di me, come potrò io fare a meno di tutto questo, di non sapere, di non esserci mai più. Mai più.

Ripercorre, Barnes, tutte le risposte, i mantra, gli scongiuri, gli antidoti intellettuali che scrittori, filosofi, pensatori illustri si sono dati in passato. Le argomentazioni geniali, i paradossi illuminanti: finché ci sono io non c’è lei (la morte), quando ci sarà lei non ci sarò più io. E dunque perché temerla?

O ancora: non ci siamo stati per milioni di anni prima, e non ce ne siamo addolorati; perché dispiacersene adesso? Dobbiamo andarcene per far posto ad altri che verranno, così come gli altri hanno fatto posto a noi.

Ma figuriamoci, risponde Barnes. Non mi va giù esattamente l’idea che quando arriverà lei, la molesta falciatrice, dovrò andarmene io. Il fatto di non esserci stato prima (quando non sapevo e non pensavo) nulla toglie al terrore e allo sgomento del non esserci dopo (ora che so, ora che penso).

Quanto allo squisito – per quanto obbligato – gesto di far posto agli altri, mica siamo in un teatro a numero chiuso per cui “si accomodi pure al mio posto, tanto stavo per alzarmi”. In realtà sì, la Terra è un fondale a numero chiuso, ma intanto io sto seduto qua, mi guardo lo spettacolo e gli altri sono gli altri.

Tutto il libro è costellato di giri larghi e stretti intorno al nostro destino finale, di humour dolente e irresistibile, di vanità personale candidamente ammessa (per uno scrittore, l’idea di sparire senza lasciare indelebili tracce è sempre seccante) di ricordi personali fragili e sfuggenti, come lo sono i nostri.

Niente paura, e tanta paura. Ma davvero niente cupezza e niente angoscia, e zero enfasi. Se mai è stato scritto un libro amabile, seppure amaro, sulla morte è questo. E se poi qualche lettore dovesse venire a visitare la mia tomba, conclude Barnes, vi dico già che sì, mi farà piacere.

Il libro. Julian Barnes, Niente paura. Traduzione di Daniela Fargione (Einaudi).
  • Alice Caroli è una giornalista torinese

(Credit: WanderingTrad e Cover of Nothing to be Frightened of by Julian Barnes” by Annie Mole is marked with CC BY 2.0)

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