Breve, brillante e infelice vita di Mario Mieli: oggi incontestabilmente definito icona del movimento Lgbt italiano, visse trent’anni, ad alto voltaggio, anche di più, e li finì in modo disperato.
Oggi non è difficile – o almeno non pare – mettergli l’etichetta, ma nei Settanta Mieli era più cose insieme, e nuove: un attivista del nascente movimento omosessuale, un intellettuale originale, un performer e uno scrittore, infine persino un alchimista – oltre che, come proclamò lui stesso, uno schizo paranoide, uscito di manicomio.
Affronta la difficoltà di metterne in scena la biografia Andrea Adriatico, al quinto lungometraggio con Gli anni amari (finalmente in uscita post Covid-19): mentre ritorna a un periodo di generose lotte e cambiamenti nei costumi, fotografa il suo eroe in un instabile equilibrio tra gioia e dramma, e soprattutto tra pubblico e privato, due dimensioni che, allora, nei Settanta, andavano di pari passo, scelleratamente confuse.
Dalle note di regia, infatti: “Mieli era un genio, che ci ha sedotto, come riusciva a sedurre tutti coloro con cui entrava in relazione. Ma era anche un ragazzo immerso in una profonda solitudine, quella in cui aveva costruito la sua bolla di sopravvivenza e quella in cui era relegato da chi lo considerava troppo snob o scomodo”.
Abile a narrare in modalità docu, come in + o – il sesso confuso. racconti di mondi nell’era aids, Adriatico sceglie una scarna rappresentazione, e la sdoppia tra cinema delle idee – il lungo e didascalico girovagare dei personaggi attorno alle fondamenta di un mondo da cambiare – e scene di vita di tutti i giorni, che non temono il chiacchiericcio e nemmeno una traccia di mélo. Ma i cliché, così come i buchi della sceneggiatura, passati per ellissi, stanno sempre in agguato come incidenti nel percorso.
Sono solidi Sandra Ceccarelli e Antonio Catania, la madre e il padre, mentre a Nicola Di Benedetto spetta il ruolo impossibile del protagonista, da cui esce con l’onore delle armi, risultando alla fine persino misurato. Molto meno riuscito il karaoke dei personaggi noti nel contorno, da Piero Fassoni a Ivan Cattaneo, da Angelo Pezzana a Umberto Pasti, futuro scrittore e grande amore di Mieli.
Mario – o se preferite Maria – Mieli, come diceva e dice nel film, mise la testa nel forno a 30 anni, nel 1983. Ha lasciato due libri, Gli elementi di critica omosessuale del 1977 – di cui parla nel film il Mieli autentico resuscitato in un’intervista tv – e un romanzo, Il risveglio dei Faraoni, uscito postumo nel 1994, su cui si addensano tutte le nubi nere del finale. La didascalia in chiusa del film lo da incomprensibilmente per introvabile.