Ho visto e rivisto, tre volte a seguire, i sei episodi, accorpati in tre puntate, della versione televisiva di Esterno notte di Marco Bellocchio. Sono 6 ore di immagini e dialoghi. Dato il deciso accompagnamento promozionale dei media, la qualità professionale del regista e degli attori coinvolti, il team di giornalisti e storici interessati quali consulenti, l’opera merita ampia attenzione.
Ricordo benissimo quei momenti della primavera 1978, come ricordo benissimo quanto avvenne in Italia dal settembre 1974 con l’arresto di Curcio e Franceschini a Pinerolo, la fuga di Curcio dal carcere di Casale Monferrato il 18 febbraio 1975, il rapimento Gancia il 4 giugno 1975 e il conflitto a fuoco della cascina Spiotta del giorno successivo con la morte della Cagol e del carabiniere D’Alfonso, l’uccisione del giudice Coco e dei due agenti della scorta l’8 giugno 1976. E altro ancora, del terrorismo. Fino al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro.
Vedendo e leggendo Esterno notte, con il filtro del giovane studente universitario di allora, del cittadino più avvertito e dell’uomo del diritto oggi, ho unito apprezzamento, ma anche sconcerto e stupore.
Apprezzamento per la qualità filmica del prodotto, per la sceneggiatura, per la fotografia, per il ritmo composto e riflessivo dell’azione, per le musiche e il montaggio. Apprezzamento per la recitazione degli attori in gioco, tutti, da Gifuni a Buy, a Servillo, Contri, Alberti, Alesi e altri.
Sconcerto e stupore, invece, per la narrazione proposta e le emozioni molto parziali cercate ed evocate. Per i vuoti e i silenzi.
In sintesi e chiarezza. A marzo 1978, le BR non erano marziani improvvisamente giunti a colpire la nostra società. Avevano già sparato da anni, avevano gambizzato, rapito e distrutto cose e famiglie, in nome di una follia rivoluzionaria senza costrutto; avevano ricevuto alimento culturale e sostegno da più ambienti e organizzazioni. Si pensi a Soccorso Rosso e ai comitati per la difesa dei detenuti BR in carcere, a certa tolleranza in fabbrica anche se sparuta.
Magistratura, carabinieri, polizia, corpi speciali, carabinieri di Dalla Chiesa, servizi segreti italiani e stranieri, tutti da anni conoscevano l’efferatezza delle BR. Dalla Chiesa ne aveva studiato genesi e comportamenti, ispirazioni culturali e sociali. Giornalisti e uomini di cultura ne avevano esplorato origine e caratterizzazioni.
Certa sinistra, nel suo variegato mondo, conosceva bene gli obiettivi, i modelli ideologici e le dinamiche delle BR.
In Esterno Notte non vi sono cenni e collegamenti con la matrice culturale ispiratrice delle BR; i brigatisti appaiono come una squadra violenta che deve giocare una partita esiziale contro il potere e soprattutto contro la DC. Nella serie televisiva manca la corretta contestualizzazione di quei drammatici fatti. Le BR vollero colpire, senza alcun dubbio, l’intesa tra DC e PCI, colpire la nuova storia che Moro intendeva avviare: una sinergia anche istituzionale fra partiti popolari di massa. La violenta ribellione delle BR fu un attacco forte anche alla sinistra guidata dal PCI e dalla CGIL. Nel film non si evidenzia affatto. Solo sparuti cenni. Si polarizza ogni attacco alla DC.
Vi è poi un eccesso nell’iconizzare solo alcune figure: Andreotti, Cossiga, Leone, Zaccagnini, il Papa, il consulente americano Steve Pieczenik. È notorio, invece, come in quei drammatici 55 giorni si tessero molte ipotesi, tra la fermezza sostenuta pubblicamente e i tentativi di contatto e trattativa comunque coltivati. Attorno a Cossiga e pure attorno ad Andreotti operavano ampiamente i servizi segreti, con collegamenti con la Cia e i servizi israeliani e dell’Est Europa; attorno a Zaccagnini vi era un gruppo di parlamentari della DC che si impegnarono a fondo per liberare Moro. Nel PCI vi era allora anche un team preposto alla sicurezza dello Stato e delle informazioni, con il ruolo fondamentale di Ugo Pecchioli. Si parlò anche dell’esistenza della Gladio rossa. Negli ultimi trent’anni, le testimonianze giunte dalle varie commissioni parlamentari Moro o Stragi, le risultanze dei processi celebrati, i libri autobiografici di militanti delle BR, il lavoro di ricerca storica, nonostante depistaggi o lacune, hanno fornito argomenti per ricostruire molto della storia delle BR. Ma non del tutto. Vi sono ancora zone inesplorate, ricostruzioni che necessitano di coraggio investigativo ed espositivo, anche con approdi ai servizi segreti europei e dell’Est.
Ancora sconcerto, per l’errata e immotivata immedesimazione della storia della DC con l’immagine iconografica del potere assoluto. Non fu così e neppure in quegli anni e in quei mesi.
Il popolo italiano e il mondo cattolico che esprimevano solidarietà a Moro nelle piazze, nelle scuole e nelle università con la Fuci sapevano bene che la DC era un partito popolare, espressione di varie e diffuse istanze di rappresentanza di ceti medi, operai e impiegati, lavoratori autonomi e volontariato, di giovani e di cultura, di un mondo pacifico e non conflittuale; che la DC non governò mai da sola, sempre con alleanze e più partiti; che la DC era una forza politica inclusiva e dialogante con i nuovi fermenti sociali, ma che invece era erratamente considerata vittima e scelta come obiettivo unico dalle BR, perché tentava una alleanza con la sinistra storica e strutturata del PCI, una inclusione nella sfera di governo, forse fuori dagli schemi dei rapporti Usa-Urss.
Bellocchio identifica in modo astorico la DC solo con il potere assoluto, fine a se stesso, unendo in modo iconografico la figura di Andreotti, Cossiga, Leone, Zaccagnini.
Proprio Zaccagnini, ex partigiano e parlamentare rigoroso, la sua storia e la sua espressione politica, non possono affatto meritare una immedesimazione univoca con il potere che si vuole evocare a ogni fotogramma. Un collaboratore stretto di Zaccagnini di allora, anni dopo, disse che Zaccagnini morì psicologicamente con Moro sequestrato.
Manca nell’opera di Bellocchio la concitazione, l’effervescenza di apprensioni e iniziative investigative che segnarono i 55 giorni. Appare tutto programmato, non modificabile, tutto da subire, con un approccio ieratico. Così non fu.
Vi sono alcune immagini dedicate al processo a Torino del 1978 alle Brigate Rosse storiche. È un inserto importante, per la tensione rivissuta in aula, ma anche perché quella città, quegli anni, quel processo, quei magistrati e quegli avvocati furono segnati per sempre dalle BR. Con aspetti da chiarire ancora oggi, proprio da Torino. E ancora, ci sono viventi alcuni politici di allora che si sporcarono le mani nella ricerca di salvataggio e liberazione di Moro. La loro narrazione è ben diversa, più articolata.
Come alcuni esperti hanno più volte sostenuto, sarebbero stati sufficienti una decina di giorni per giungere a una azione di sorpresa con forze speciali e liberare Moro. Tutto invece è precipitato. Forse hanno giocato un ruolo distorsivo alcuni confidenti e infiltrati, agenti destabilizzanti nelle BR.
Vi sono stati inceppi nelle trattative? Le trattative ebbero vari protagonisti e visioni tattiche; si tentò molto.
Legittima domanda: le BR scegliendo un commando preposto all’uccisione efferata di tutta la scorta, un commando che sparò senza esitazione, potevano pensare di salvare Moro?
E ancora: la famiglia Moro si interessò poco delle famiglie degli agenti della scorta uccisi? Ci furono solo telefonate difficili? Non è stato così, come molti invece hanno testimoniato. La scorta era una seconda famiglia per Moro. La famiglia Moro fu il soggetto più colpito dal sequestro e dall’uccisione del leader democristiano. Ancor oggi la famiglia chiede rispetto delle emozioni e sentimenti, ma esige rispetto e ricerca della verità.
Bellocchio dedica molto rilievo e sviluppo al ruolo di Paolo VI e del Vaticano. Vari tentativi ufficiali e nascosti, con intermediari e contatti con la famiglia Moro e le BR. Un affresco efficace e coerente, pur con comprensibili cedimenti alle esigenze di sceneggiatura.
Appare, invece, reticente e in parte fuorviante il quadro narrativo attribuito ai vari componenti della famiglia Moro. La moglie Eleonora fu così combattiva, confliggente con tutta la DC? Dove sono i rapporti amicali per decenni fra Moro e molti leader a lui vicini nel partito e nell’università?
Bellocchio ci presenta un’avversità radicale e severa. Ma allora: Moro, leader per decenni della DC, innamorato della sua DC pur con i vari distinguo, dalla medesima eletto Presidente, avrebbe condiviso per decenni i metodi e gli obiettivi di un partito assetato solo di potere e connotato da corruzione? Avrebbe coltivato rapporti elettorali, dialettiche interne non accorgendosi di lavorare per un partito negletto e ispirato solo da mero potere? Non fu così. L’intelligenza di Moro non sarebbe stata così facilmente ingannata. Moro era uomo di cultura, delle istituzioni, era statista. Ovvero, vi sono altre letture di quei tragici momenti.
Sono convinto, se ci fosse stata una capacità investigativa diversa e la piena collaborazione dei vari servizi segreti, italiani e europei, senza cogenti logiche atlantistiche e di provenienza NATO; se ci fosse stata una decisa condivisione operativa dei vari protagonisti nelle trattative nascoste, partiti, famiglia, Vaticano, soggetti esterni e collaterali alle BR, certamente si sarebbe potuto giungere a una liberazione con la forza, come avvenne poi per il generale Dozier nel gennaio 1982.
Il grande sforzo economico, organizzativo, culturale e tecnico che è stato a monte di Esterno notte, con 6 ore di filmato conclusivo, avrebbe potuto eliminare questi silenzi e questi vuoti. Ne avrebbe guadagnato la fondatezza storica e la coerenza ricostruttiva. Gli inserti onirici frequenti, le pennellate abbondanti e talvolta eccessive nella caratterizzazione psicologica dei vari personaggi, le immaginazioni e le emozioni certamente fanno e devono fare parte di un’opera filmica; devono arricchire, suggerire pensieri, ma mai decontestualizzare il canovaccio autentico della vicenda che si intende narrare, tradire la realtà dei fatti.
Quando si osservano le opere Guernica di Pablo Picasso o il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo si apprezzano i pregi artistici, ma si colgono altresì, con immediatezza e unicità, i messaggi rappresentati e trasmessi dall’artista. Come in altri capolavori d’arte, vi è frequente coincidenza fra ispirazione narrativa, realizzazione e percezione da parte dell’osservatore.
Qui no, con Esterno notte si ha certamente una significativa opera di tecnica cinematografica, ancorata tuttavia ad un percorso ricostruttivo parziale e lacunoso, con vuoti e silenzi. Non sono sufficienti i richiami, posti in coda ai titoli, alla libertà artistica e alle esigenze drammaturgiche del lavoro per assicurare un apprezzamento completo. Si rischia così di trasmettere un messaggio viziato, di appannare le gravi responsabilità delle BR nella storia politica e sociale italiana, di dare corpo a riletture errate che accusano in modo manicheo il fronte della fermezza e auspicano un colpo di spugna per le BR.
Accanto a tanti libri, altri film, interviste, ancora un’opera sul tema spinoso del sequestro e uccisione di Moro, ma non affatto occasione per aiutare la ricerca della verità. Si dice che la caccia della verità non è compito di Bellocchio, è di altri. Giusto, ma è corretto remare tutti verso la verità e non confonderla in un’area indistinta.