Per uno scrittore parlare della morte di un altro scrittore (per quanto diverso da lui, per piccolo o grande che sia) significa confrontarsi con la propria, di morte, lo diceva Iosif Brodskij. E dunque, quale migliore occasione per ritornare a Giorgio Manganelli – alla sua poetica, alla sua vision, si direbbe oggi – che leggere l’obituary composto per Jorge Luis Borges?
Morendo, il grande argentino sarebbe stato tentato dal “vecchio gioco di esistere cessando di esistere”. Ovvero “…il gioco millenario dell’occultamento della metamorfosi in puro nome; la tentazione di dare un volto al nulla”, il gioco di impersonare una “ironica imitazione di Dio”. Jorge Luis Borges il cui fascino di scrittore risiede nella “demolizione della figura retorica che diciamo realtà” e che, laddove in letteratura trionfavano “vanitose e crudeli certezze”, ha riportato “la quiete, l’ombra e insieme l’angoscia dell’enigma”. Jorge Luis Borges, conscio di aver scritto sotto le insegne del “duplice nulla” connaturato alle lettere, il “nulla da dire” e il “dire il nulla”…
Non è certo affetto dalle vertigini del senso comune il Manganelli dei necrologi riservati a amici o uomini illustri, né compensa mai la perdita con lo stereotipo e la lode gratuita: questo vale per gli obituaries raccolti dalla figlia Lietta ne Il vecchio gioco di esistere (Hacca edizioni), dove Manganelli si accosta alle dipartite con “dolore e letizia” (e leggendo capiremo perché), non foss’altro che – spiega la figlia in prefazione (un bellissimo necrologio per il padre) – “…la morte per lui fa parte della vita, anzi ne è la naturale conclusione, naturale, e in fondo non inattesa”.
Continuando a leggere, ed essendo più attenti allo scrittore Manganelli che agli scomparsi – siano essi Mircea Eliade e Augusto Frassineti, Gastone Novelli e Fausto Melotti oppure uno spiaggiato capodoglio immagine della morte animale – l’obituary più interessante è quello per Ernst Bernhard, cui è destinata anche una letteralmente spiazzante Comunicazione personale: psicanalista junghiano, giunto a Roma nel 1937 e lì morto nel 1965, ebbe in cura Manganelli tre volte a settimana dalla fine degli anni Cinquanta.
Ernst Bernhard è il guaritore, anzi il “decifratore” della malattia, il quale sta dalla parte dell’ombra, là dove “il grumo dei significati si addensa e oscura”. Manganelli ce lo addita, scomodando Platone, come un maieuta socratico: tipo fisico da satiro (Marsia), che nasconde però dentro di sé immagini di dei, tale è il misterioso Bernhard, intento a compilare un testo esoterico che trascende il concetto fisico di libro.
Quest’uomo dell’ombra discende dai Grandi Mentitori che “smentiscono il povero mondo della veridicità”, è l’eversore sociale che dubita del buon cittadino, e invita gli umani, in terapia e non, a passare “di labirinto in labirinto”, da una “morte estranea” alla morte che a loro appartiene, contagiandoli con la sua sanità (necessario ossimoro), lui che non ha parti in commedia (o in tragedia) essendo di volta in volta “l’uccisione, l’ucciso, il guaritore”.
Come racconta Lietta Manganelli: Bernhard aiutò un timido professore d’inglese a divenire il geniale scrittore di Hilarotragoedia. Abbiamo riaperto quel libro d’esordio (Feltrinelli 1964, Adelphi 1987) per chiudere il cerchio mortuario aperto con i necrologi. Niente di più pertinente: spacciato per manualetto teorico pratico dedicato ai “cultori della levitazione discenditiva”, Hilarotragoedia vede Manganelli svariare tra “la salvezza dell’abisso”, “la dolcezza della fine” e “l’orgasmo dello sfracello” per assestarsi nella catalogazione delle angosce, con “inserto sugli addii”, non dopo aver formulato, tra l’altro, un’ipotesi estrema, accarezzata in un profluvio di ammicchi e di barocchi e sinuosi vocaboli e costrutti, ovvero l’ipotesi di un dio morto ab aeterno, enorme cadavere disfatto, nel buio e nel tanfo della cui decomposizione siamo da sempre vissuti, facendo come se niente fosse le nostre mondane stupidaggini, per esempio – chissà perché mi sono rimaste in mente queste due attività – votare a destra e leggere rotocalchi illustrati.