Fabio Gambaro parla di Italo Calvino. Lunedì 23 ottobre, ore 18,30, The Mill, Via Cappuccio 5, Milano
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Studioso di letteratura, francese per residenza da almeno trent’anni, Fabio Gambaro libera con Lo scoiattolo sulla Senna. L’avventura di Calvino a Parigi (Feltrinelli 2023) un libro prezioso che è insieme saggio critico e indagine giornalistica.
Punto di partenza: il trasloco dello scrittore sanremese nella Ville Lumière; Calvino vi arriva nel 1967 per rimanere fino al 1980, prevede di stare a Parigi per cinque anni, si ferma per tredici, quando viene quasi costretto a un trasloco romano (anche) da banali questioni di moneta. Comunque: alla fine dei Sessanta Calvino, già molto francese per cultura, diviene una sorta di Eremita a Parigi – come da titolo di una raccolta di scritti – per un complesso di ragioni cui non sono estranee esigenze sentimentali: il 12 di square de Châtillon è l’approdo ideale, la metaforica casa di campagna, per la famiglia formata con Chichita e i due figli; e poi Calvino desidera più che tutto uno stacco, stabilire una distanza, avere una prospettiva diversa della realtà italiana, meno ingaggiata sull’immediato.
Ma perché lo scrittore ha scelto Parigi? Gambaro è esaustivo. Calvino si è distaccato dall’impegno politico e, in un mondo ancora dominato dalla carta da lettere e dalla reperibilità dei testi in un luogo fisico, da scrittore engagé è diventato uno scrittore inquieto – gli è estraneo l’edulcorato neorealismo che esalta le classi subalterne così come la nozione di avanguardia del Gruppo ’63, spesso portatrice di illeggibilità. La scomparsa di Elio Vittorini gli ha levato mosse diversamente calibrate. Parigi nei Sessanta è la capitale di una nuova cultura, di una Nouvelle Vague che tocca ogni campo dello scibile, è soprattutto la città dell’Oulipo e dello Strutturalismo, e attraverso il severo Raymond Queneau e l’abile François Wahl delle Éditions du Seuil Calvino conosce e diventa amico del giovane Perec e di Roland Barthes. Scarta il confronto con altri maestri di ieri oggi domani, per esempio Jean-Paul Sartre e Jacques Lacan.
Non a caso, uno dei luoghi che più ama da subito è la Bibliotèque Nationale, ai tempi ancora nella sede dell’Hôtel de Nevers, dove lo scrittore riparte creativamente non più dalla memoria individuale, ma dalla consultazione dei libri degli altri.
Grazie a Lo scoiattolo sulla Senna, ho visto Calvino all’estero, garbato e sfuggente, curioso di tutto e chiuso in se stesso, un po’ imbranato secondo il cliché dei maschi poco pratici d’allora – ma nel caso interviene Chichita, risolvendo anche difficili incontri tra riluttanti principi della penna e del pensiero – l’ho visto, dicevo, a poco a poco trasformarsi nel signor Palomar, protagonista di una delle ultime raccolte di prose, 27 racconti in cui lo scrittore cerca di insegnare “un modo di guardare”.
Palomar, personaggio “in cerca di armonia in un mondo tutto dilaniamenti e stridori” (da una presentazione poi scartata), cammina per la città soltanto dopo che Calvino ha licenziato in una quasi intollerabile tensione (o almeno molto se ne lamenta) i suoi tre grandi romanzi francesi – Le città invisibili, Il castello dei destini incrociati e Se una notte d’inverno un viaggiatore – e con essi si è lasciato alle spalle la fatica di dare loro una struttura (la parola chiave di un’epoca).
È questo, per certi versi, il cuore pulsante o meglio l’approdo del saggio di Gambaro, sicuro che quei tre libri sono il vero viaggio in Francia dello Scoiattolo. Gambaro sembra suggerire che il giudizio su quei tre libri ha bisogno di essere di nuovo costruito e pronunciato. È un quesito di valore dato per scontato, ma in qualche modo cruciale, da cui dipende la comprensione dell’ultimo Calvino. Anzi, forse la grandezza stessa di Calvino si misura qui e qui infatti il giornalista Gambaro lascia il posto allo studioso per una disamina che è il compimento dell’informatissimo studio parigino.
La prosa algida e poetica delle Città invisibili, e quella variamente movimentata dei seguenti libri di narrativa, Il castello dei destini incrociati (in versione completa) e Se una notte d’inverno un viaggiatore, ingaggia una visibile lotta per adattarsi ad architetture complesse, necessarie anche se arbitrariamente decise, degne di piccole “opere mondo”. Un impero inimmaginabile e immaginario come quello narrato da Marco Polo a Kublai Khan, una storia muta fatta con le figure dei tarocchi (e pure di due mazzi diversi), una collezione di incipit che portano il Lettore daccapo o forse, in cornice, tra le braccia della Lettrice Ludmilla (tra parentesi, è un avatar di Chichita). Va detto: pur nell’esibizione stupenda del significante, come sempre in Calvino il significato, quasi per una sorta di senso pratico scientifico del narratore, riesce infine piuttosto chiaro (e persino condensabile in un paragrafo di Wikipedia).
Non ricordavo invece che in Italia questo Calvino sofisticato e cerebrale, debitore della critica strutturalista e dell’Oulipo con i suoi percorsi di letteratura a ostacoli (ah le “e” di Perec!), non avesse preso solo applausi. Ad alcuni critici, lasciando a parte il “piacentino” Goffredo Fofi che lo distrugge dando una gomitata pure a Borges, lo scrittore delle Città invisibili sembra vittima di una dimensione “ludico-ingegneristica”, oltre che di una pessimistica disfatta della ragione che lo distoglierebbe da ogni apertura per il futuro sociale (Vittorio Spinazzola su L’Unità). Ma oggi? Appunto. Leggere Gambaro è il primo passo per farsi (o rifarsi) una propria strada.
Rimane una domanda su che cosa ne è della fama dello scrittore in terra di Francia nell’anno 2023, con il centenario dalla nascita pronto a esser festeggiato il 15 ottobre. Calvino è un nome un po’ dimenticato, ovvero non sfogliato, proprio nel côtê più transalpino (ma anche in Italia credo che avvenga lo stesso): Se una notte d’inverno un viaggiatore resta il best seller e la trilogia de I nostri antenati è di uso scolastico. Presto, però, Calvino dovrebbe entrare nel Pantheon letterario della Pléiade: e Gambaro apre un altro degli interessanti spiragli di cui è ricco il suo Scoiattolo (e inaspettato, almeno per me profano), quando affronta la scontentezza di Calvino per le versioni francesi dei suoi libri…
(Credit foto di apertura, part. della cover del libro: @Ulf Andersen/Getty Images)