«Ho scritto questo libro perché ho sentito troppi ebrei italiani che la pensano come me sostenere quello che sostengo io e poi aggiungere “però è meglio non dirlo in pubblico”». Gad Lerner è l’autore di Gaza. Odio e amore per Israele (Feltrinelli), che tratta il conflitto tra Israele e Palestina. Un libro “bello e molto duro, anzi qualcosa più di un libro”, così lo ha definito Corrado Formigli in una delle puntate di Piazza Pulita su La7. Anche spiegarlo – soprattutto spiegare il pensiero di un ebreo sulla strage del 7 ottobre e sulla reazione di Israele – è qualcosa di bello e di duro. E Lerner lo sa. Come bene ha detto in un incontro alla Fondazione Feltrinelli di Milano e in numerose interviste. «Ho esitato a scriverlo ma poi ci ho messo l’anima. Vivo il disonore, vivo la macchia sulla reputazione dei crimini di guerra compiuti da Israele sulla popolazione civile di Gaza, e sento di dover dire la mia».
All’inizio di Gaza, riferendosi al 7 ottobre – proprio a quel giorno – Gad Lerner scrive: “Bisognava decidere, dunque, quale posizione assumere. Schierarsi in nome del mio vincolo di appartenenza al popolo ebraico, del mio amore nonostante tutto per questo Israele che da anni mi appariva prossimo allo snaturamento? Schierarsi e basta, di fronte all’aggressione subita, ammettendo che neanch’io avrei mai immaginato un fallimento tanto catastrofico quando scrivevo di un Israele che stava andando verso la perdizione? Tacere per non espormi all’accusa di tradimento che già in passato mi era stata rivolta e che sapevo mi sarebbe di nuovo toccata?”.
L’8 ottobre, il giorno successivo alla strage, iI quotidiano israeliano Haaretz riportava queste parole: “Il disastro che si è abbattuto su Israele durante la festività di Simchat Torah è chiaramente responsabilità di una persona: Benjamin Netanyahu”. E proseguiva sostenendo, testuale, che Netanyahu aveva dato vita a un “governo di annessione e di esproprio”. Scrive Lerner: “Non saprei trovare definizione più corretta: un governo di annessione e di esproprio… Così ho accettato di nuovo, stavolta più malvolentieri che in occasione di altre guerre mediorientali, la mia collocazione nella parte dell’“ebreo buono”, presentabile al largo pubblico. Quello che difende Israele ma ha anche il coraggio di parlarne male. Uso il corsivo per evidenziare la sgradevolezza di certi schieramenti di comodo. Quand’anche te ne derivino apprezzamenti – il più frequente è riconoscermi obiettività –, dopo ogni esibizione mi resta un po’ di amaro in bocca. Sospetto di essere visto bene, io, l’“ebreo buono”, per via del retropensiero diffuso che ci siano in giro una maggioranza di “ebrei cattivi”. E la cosa ovviamente non mi va giù”.
L’idea che sembra passare «è che bisogna difendere sempre e comunque Israele e chi lo governa. E se chi lo governa sta cacciandosi in un vicolo cieco, ci disonora e macchia la reputazione di Israele dobbiamo stare zitti. Altrimenti si tratta di alto tradimento. Io ho un’idea completamente opposta».
C’è una riflessione angosciosa che Lerner si pone. «Noi, che siamo nati dopo la seconda guerra mondiale e lo sterminio delle nostre famiglie, abbiamo visto in Israele la salvezza e una certezza che sono venute meno. È accaduto per l’idea che si potesse negare per più di mezzo secolo l’esistenza della questione palestinese. Che bastasse la superiorità militare e tecnologica per agire con la sopraffazione. E questo ha fatto sì che da una parte esplodesse il fanatismo, l’idea di una grande Palestina dal fiume Giordano al mare. Dall’altra l’idea di una grande Israele senza i palestinesi, perché è questo che vuole la destra israeliana che ci ha portato nel vicolo cieco».
La strage del 7 ottobre e la reazione di Israele sono temi difficilissimi da affrontare oggi. Il rischio è di essere accusati di tutto, a partire dall’antisemitismo.
«Esiste il trauma della Shoah» dice Lerner, «ed esiste quello della nakba, l’esodo forzato palestinese del 1948 dopo la fondazione dello Stato di Israele. L’inimicizia profonda e radicata che genera nuovo terrorismo si supera soltanto facendo una battaglia culturale nel riconoscimento reciproco del trauma vissuto».
In Italia gli ebrei sono poco meno di 30 mila, in America sono 6 milioni «e negli Usa la critica a Israele non viene vissuta come alto tradimento. Ma come amore, come aiuto a costruire un futuro. Non avrei mai pensato che il futuro di Israele potesse essere in forse. Ma è stato trascinato in forse dalla rimozione prepotente di quei palestinesi che abitano, insieme a ebrei, in un fazzoletto di terra. Sono destinati a convivere e spero non lo facciano in un grande cimitero come appare oggi Gaza con le sue macerie».
Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale dell’Aja, ha chiesto alla camera preliminare del proprio tribunale di emettere mandati di arresto per entrambe le parti coinvolte nella guerra di Gaza. «Ma le accuse» dice Lerner, «non sono uguali. Hamas è accusato di aver commesso il 7 ottobre crimini di guerra mentre il governo di Israele è accusato di affamare la popolazione civile allo scopo di perseguire Hamas. Gli israeliani parlano di oltraggio, ma è un oltraggio che si sono perseguiti da soli scegliendo la leadership di Netanyahu».
Israele, sostiene Lerner, è andata a cacciarsi in un vicolo cieco da cui non riesce a venire fuori. E una parte della società israeliana grida nelle piazze che ci vuole un cessate il fuoco. «Lo Stato di Palestina non è un’utopia, è l’unica soluzione ragionevole. Le utopie (criminali) sono la grande Israele e la grande Palestina, gli uni senza gli altri».
Sulla copertina di Gaza. Odio e amore per Israele l’immagine di un episodio della Bibbia: Sansone che abbatte le colonne del palazzo dei filistei, il popolo che ha dato il nome alla Palestina e ai palestinesi. Sansone chiede a Dio di dargli forza ancora una volta e dice: “che io muoia con tutti i filistei”. E la Bibbia aggiunge “E fu così che il guerriero Sansone nel darsi la morte, uccise più filistei di quanti ne aveva uccisi in vita”.
«Io temo» dice Gad Lerner «che l’azione su Gaza intrapresa da Israele – e non era una strada obbligata – somigli in qualcosa alla storia di Sansone: l’autodistruzione insieme all’illusione di distruggere il nemico».
- foto in alto, tratta dalla copertina del libro: Baruch Wind, Sansone l’eroe, Ashdod