È possibile riportare indietro l’orologio della storia? Ripetere il passato, mutandolo, per cambiare così il presente? Ricombattere i conflitti bellici, rigiocare le battaglie, scongiurare a posteriori la caduta di venerabili civiltà? Il metodo, o meglio l’artificio, esiste e viene detto Ucronia: parente stretta dell’Utopia, riguarda il tempo che è stato e non lo spazio che sarà – l’Utopia fin dal suo principio si realizza nel futuro e spesso con un viaggio.
L’intellettuale francese Roger Callois, che vanta un ucronico e vertiginoso Ponzio Pilato (1961), infilzato all’aut aut tra Gesù Cristo e Barabba, è riuscito a evitare al suo mondo cartaceo nientemeno che l’avvento del soggetto cristiano borghese …
Di ucronia scrive e ha scritto, ai tempi degli studi universitari, un filosofico e assai brillante Emmanuel Carrère, che ora recupera e rinvigorisce la sua lezione magistrale in un adelphino (il primo copyright è di P.O.L. Éditeur nel 1986) – lo scopo essendo, innanzi tutto, quello di esumare l’ucronia e circoscriverne le possibilità illustrandoci gli esempi più significativi.
Ucronia, dunque: in una versione debole del termine può sfiorare tutta la creazione letteraria, nel momento in cui l’irreale eroe Fabrizio Del Dongo si presenta, senza però fare la differenza, sul campo di Waterloo. In una foggia appena più potente, un sospetto di ucronia può attraversare i romanzi storici che pongono alla corte dei sovrani illustri sconosciuti nati dalla fantasia di uno scrittore – Dumas con i suoi moschettieri fa paradigma.
Dopo averci incuriosito, Carrère presenta chi ha compiuto il passo decisivo realizzando appieno l’ucronia. Buon esempio Louis Geoffroy, figlio di un ufficiale morto a Austerlitz: nel 1836, ha i suoi motivi personali per prolungare fino alla conquista del mondo la carriera di un Napoleone invitto alla Beresina. Il racconto affettuosamente consolatorio di Napoleone apocrifo assume bizzarre notazioni che paiono temi da lisergica sci-fi – mentre Bonaparte impera sul globo terrestre, si ha la quasi totale abolizione della morte o il moltiplicarsi naturale della razza degli unicorni…
Ucronia. Ovvero come la storia avrebbe potuto svolgersi, secondo la definizione del filosofo Charles Renouvier, il francese che la battezzò nel 1876. Da che cosa nasca quest’esigenza di volontaria falsificazione, però poco importa: che sia generata da rivalsa o ribellione, da rabbia o desiderio di sollievo, che scaturisca da una fede religiosa o da un flirt borgesiano per gli infiniti possibili, ogni opera ucronica svelle il certo per l’incerto, mina la nostra visione borghese del mondo, “giacché insinua il dubbio che la storia sia un gigantesco trompe l’œil frutto della cospirazione millenaria ordita da generazioni e generazioni di intellettuali, che si sarebbero passati ininterrottamente il testimone”, parola di Carrère.
L’ucronia comporta una reinvenzione “controfattuale”, trattando “della storia se le cose fossero andate diversamente”, la quale operazione può avere un ritorno devastante sull’oggi, e su di noi. Anche la più confortante realtà può di colpo spalancarsi sull’abisso… – tra parentesi, non vi sono passati per la mente, in questo molto retorico discorrere, termini dall’impatto fortemente concreto come “negazionismo” o “complottismo”?
E infatti: l’ucronia è applicabile al singolo – quante vite parallele e alternative, attribuite al passato, possono travolgere o arricchire ad arte la fragile costruzione del nostro io? – oppure, ed è un compito eseguito egregiamente dagli stati totalitari, l’ucronia colpisce la storia tout court. Un caso molto orwelliano: quando il leader albanese Berija cade in disgrazia, il suo nome è cancellato nell’Enciclopedia sovietica e al suo posto viene appiccicato un altro lemma, relativo allo Stretto di Bering – Lo stretto di Bering è poi il titolo francese acutamente scelto da Carrère per questo librino.
L’ucronia è all’insegna di un incontrovertibile – ma quanto importante? – fatto: nessuno, per quanto malinconico o depresso, triste o nichilista (al proposito vedi il Philip K. Dick di La svastica sul sole) può davvero cambiare il passato o pensare di farlo, a meno che non sia folle oppure non creda ai miracoli di Dio o di un’anima particolarmente devota e insistente.
Proprio per questo – mi pare di capire – il luogo ideale per l’ucronia risiede nel libro, un ideale spazio per sogni ucronici esagerati ed esaustivi, per “una storia immaginaria redatta sotto la pressione costante della storia reale”. Non è forse una definizione che calza perfettamente ai romanzi o ai memoir, ai saggi o ai libri giornalistici del nostro scrittore parigino, a cominciare dai Baffi e da L’avversario?
(credit: “Emmanuel Carrère, escritor” by Casa de América is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.)