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Berlinguer. La grande imitazione: poco più di una sit-com(unista)

Ed ecco un bigino sul sogno dell’eurocomunismo, tagliato sul suo eroe italiano, sogno che venne poi affondato politicamente, tra una trama sovietica e l’altra, dal rapimento di Aldo Moro, su cui il PCI scelse la linea della fermezza.

Incominciamo ad apprendere la molto semplificata lezione politica sulla “grande ambizione” di realizzare il socialismo nella democrazia, da un omino – Elio Germano nei panni di Enrico Berlinguer, il segretario comunista più amato dagli italiani – che, mentre prepara un discorso, in piedi appoggiato a una sedia, slancia a destra e a manca la gamba munita di pantalone e calzino in un’imitazione della ginnastica in evidente versione austerity anni Settanta.

Da subito non si capisce perché Andrea Segre, l’irreprensibile Andrea Segre, non abbia confezionato un bel docu dei suoi, un genere in cui è indubbio maestro, e abbia invece inserito pochi ma emozionanti filmati d’epoca in una sorta di sit-com (credo che visivamente il film si imparenti davvero con una sit-com) di imbarazzante pochezza e trasandatezza. Le scenette famigliari dell’euro-guru Berlinguer in primis.

Non che chiedessi per l’attentato bulgaro del 1973 – meritevole di essere ricordato! La Guerra Fredda contemplava vero fuoco amico – non che chiedessi, dicevo, effetti speciali da action movie su Amazon Prime… Ma comunque: mentre scorre la sceneggiatura burocratica di un testo scolastico da esame per fuori corso in scienze politiche, noto con fastidio che l’omino Elio Germano non assomiglia affatto a Berlinguer essendo oltretutto troppo giovane (40 anni circa contro circa 60) e non riesce a ricordare il leggendario segretario neanche in un ammicco, in un sorriso, in una smorfia di amarezza, in una ruga – e ciò sarebbe il minimo sindacale, dato il tema trattato, il quale infatti dovrebbe sobbarcarsi oltre all’istruzione basica per chi non c’era, ed è cresciuto in questi tempi di barbarie, pure il peso di un po’ di commossa memoria.

Lo so, non stiamo giocando alle imitazioni, ma poi un po’ anche sì, è inevitabile, e disturba un Andreotti spiritoso e romanista che assomiglia a un personaggio di Verdone, l’Ingrao pop cucinato dall’ex ristoratore della gens Ristuccia, e il povero Pennacchi che vaga spettinato interpretando Barca, per non dire di un Moro poco amabile perché affidato a un Roberto Citran scarno e piatto, senza il background d’abisso spirituale garantito allo pseudo statista dalla coppia Volonté-Gifuni.

Sembra di essere  tornati ai film politici con sosia improbabili che immeschinivano le ricostruzioni dei decenni passati – cito Giuseppe Ferrara ma pure il grande Francesco Rosi – prima ancora che arrivassero gli educativi sceneggiati sugli eroi patri di madre Rai.

E però non comprendo come sia possibile il moto critico di massa rivolto all’incensamento di questo Berlinguer – La grande ambizione, prodotto alla fin fine paratelevisivo, e non so proprio cosa abbia fatto gridare al miracolo che sarebbe stato compiuto sul suo stesso corpo dallo smilzo e catechizzante in simil sardo Elio Germano.

Che tutto tenga e piaccia perché era così forte e buona e giusta la proposta politica di Berlinguer con i suoi euro discorsi casalinghi (“Bianca, non uscire senza il maglione!”) o moscoviti davanti a un Breznev indifferente, che inarca ovviamente le super sopracciglia?

Che si tratti una potente e giustificata reazione allergica all’Italia del 2024 che coccola la sua odiosa ducetta dei coatti e si piega ogni santo giorno che passa a miserabili e criminali narrazioni fasciste? Probabile che sì.

Agli spettatori che andranno al cinema l’ardua sentenza. A me ridate piuttosto, riguardo il ricordo del povero ginnasta Enrico, il romanzo di Francesco Piccolo (premio Strega in materia con Il desiderio di essere come tutti) e persino il languoroso Veltroni del docu sugli strazianti funerali di massa.

(Credit: Berlinguer 02 by Gorup de Besanez is licensed under CC BY-SA 4.0.)

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